Guardo la brughiera e i suoi cespugli bassi: nuvole e cespugli bassi fino all'orizzonte.
Un grigio lattiginoso sutura sul fondo nubi e terra. La mia gabbia è una finestra incrostata di ghiaccio. Così belli i suoi labirinti cristallini sul vetro, così letale il suo abbraccio all'aperto.
La casa alle mie spalle sussurra. A volte non ho il coraggio di uscire dalla mia stanza, di attraversare il corridoio e di scendere le scale rivestite da un vecchio tappeto sbiadito. Vite umbratili seguono i miei passi e io temo trovino il coraggio di pararmisi innanzi, prima o poi, non più trattenute dalla diffidenza per il colore roseo delle mie guance.
Ogni volta le loro voci sottili mi chiamano, a volte supplichevoli a volte beffarde.
Non mi sento padrona in questa casa, ma ospite.
Prima o poi so che me ne andrò via, aspetto sia primavera e che il sole mi apra la strada. Intanto preferisco aspettare nella mia stanza, preferisco l'ululato del vento nella brughiera e cerco di non guardare le ombre che il fuoco proietta nel camino.
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