Creato da Maddalena_e_oltre il 30/04/2013
C'è una forza misteriosa nelle cose esteriori [...]. Un attore, per immedesimarsi perfettamente nello spirito del personaggio da rappresentare, deve indossarne il costume.*
 

 

A voce alta

Post n°103 pubblicato il 31 Luglio 2014 da Maddalena_e_oltre


Una casa piena di libri, pareti rivestite di parole su fili neri di inchiostro.
Placano colpe, le parole? Giustificano colpe, le parole?
Quanto fiato dovrò avere a narrare storie perchè tu solo intuisca l'orrore del silenzio e della notte in cui tacciono le luci? Pensi mai al passato?

No, finchè ho nelle orecchie solo l'eco della nuda stanza. Ma appena iniziano a fluire le parole allora posso annegare nella loro rivelazione. Parole come minuscoli uncini nella carne sensibile della mia coscienza. Possono espiare colpe, le parole? 
Tolgo le scarpe. Volo. Libera.

 

 
 
 

Di lupi e nuvole

Post n°102 pubblicato il 29 Luglio 2014 da Maddalena_e_oltre

Poi succede, una sera, quando già imbrunisce e nuvole cupe si allineano lungo i bordi frastagliati delle montagne, che decidi di andare a buttare la carta proprio nel cassonetto dell'isola ecologica dietro la chiesa. Ci vai a piedi naturalmente, per raffrescare i pensieri del dopo cena, in quella rara parentesi di non-pioggia della giornata. Fino al cassonetto, tutto fila liscio che è una meraviglia. Il cielo è mosso e bellissimo, l'aria tersa e i profili di ogni cosa nitidi.
Così decidi di fare il giro lungo per tornare a casa. In fondo c'è solo da stare attenti a non calpestare sull'asfalto lucido quelle schifose lumache rosse-senza-guscio che escono dai prati lungo la strada.
Poi però arrivi nel tratto che costeggia il bosco, dove le case sono rade e nessun'anima decide di farsi vedere anche solo alla finestra. E le lumache sembrano moltiplicarsi. Poi c'è quel ricciolo che continua a sfuggire dalla coda e a solleticarti il collo e tu ti immagini schiere di falene terribili nel loro velluto nero che vampirescamente attentano alla tua carotide (da dietro certo... hanno denti lunghi le falene, si sa). Poi dal bosco odi provenire un verso decisamente strano e poco classificabile. E ti chiedi quale animale sconosciuto possa emetterlo. Decidi debba essere un uccello. Innocuo. Sì ... ma che strano verso davvero...
E già che ci pensi, non ti eri accorta di giorno quanto fosse folto e denso e incombente e profondo il bosco. Nero soprattutto. E spii, di sottecchi certo perchè non se ne accorgano eventualmente, ogni ombra che pare uscire da dietro la prima fila di tronchi. E ti sembra che pure i cani ululanti in lontananza abbiano un che di diverso.
Naturalmente ti racconti che a te i lupi stanno simpatici e che loro, semmai ne incontrassi uno, lo capirebbero e tu ci faresti amicizia come con Zanna Bianca.Però nel dubbio ... acceleri il passo, facendo i conti, se mai dovesse essere necessario, dell'altezza del recinto dei cavalli, giusto per saltarvi dentro... e chissenefrega se è tutto un fango, le scarpe sono pure vecchie! Finchè arrivi alla strada di casa, quando ormai senti alle calcagna l'alitare del mastino dei Baskerville come minimo... e solo dopo esserti chiusa il cancello alle spalle, tiri un sospiro di sollievo!

La morale è: mai andare a buttare la carta dopo le nove di sera in una sera post temporalesca se sei un tipo suggestionabile.

 

 
 
 

Fede

Post n°101 pubblicato il 24 Luglio 2014 da Maddalena_e_oltre


 

Fede e fiducia. Alla fine tutto si riduce ad un'ammissione di colpa. Quella presunzione altera che ci porta a pensare di sapere e di conoscere. Quell'arrogante pensiero di discernere i limiti altrui e di poter indurre ad affrontarli, a valicarli, a risolverli.
Si procede su strade cieche, oltrepassando segnali che rimangono moniti superflui e inascoltati, nella testarda convinzione che siano puri accidenti, eccezioni alla teoria generale. Poi le strade di colpo si assottigliano, i segnali si diradano per la decenza di evitare il sovraffollamento, e ci si trova in mezzo al deserto. Senza riferimenti conosciuti, senza nulla che risulti familiare. Terra bruciata del nostro smarrimento.
Il "Chi era costui?" vacilla, sfaldando ogni nostra mappa, ogni nostra certezza.
Nulla sarebbe se dalla tabula rasa, si potesse ripartire conservando solo memoria e voci di grilli parlanti. Ma la spada di Damocle pende quando fili, che non si possono spezzare, rimangono a segnare il travagliato percorso nel labirinto.
E noi rimaniamo condannati a ripercorrerli, ogni giorno, a chiederci il perchè di ogni bivio avventato, a scrutare impotenti il volto del nostro personale Minotauro.

 

 
 
 

Los murmullos

Post n°100 pubblicato il 20 Luglio 2014 da Maddalena_e_oltre

 


E' un paese di ombre, di echi, di mormorii. Sono arrivato a Comala.
Era l'imbrunire o forse poco prima dell'alba. O forse era in sogno. Non ricordo più.
Me l'ha chiesto mia madre, prima di morire. Ecco la sua ultima preghiera:
"Cerca tuo padre, chè ti conosca". E io ho promesso, trattenuto dalle sue mani magre. E ho fatto la strada che si snodava tra le montagne fino a questa pianura di cicale.
Il paese è disabitato. Mio padre è morto. Questo ho pensato appena ho visto le case immobili e le strade vuote, le porte aperte. Ma ormai era sera e io dovevo riposare la mia stanchezza. Così mi sono coricato, pensando a mia madre.
La notte ha riempito le vie e si è affacciata alle finestre. Allora ho sentito le voci bussare, i sassi fremere per gli echi di passi, lamenti e risa stanche. E ogni voce portava un volto trasparente, il gesticolare di mani nell'aria e una storia. Un mondo avvolto nel fumo o nella nebbia, come la strada che conduce da Comala a Contla, quella su cui rompersi l'osso del collo. E io cercavo mio padre e non ero orgoglioso di lui per le voci che di lui narravano, per l'oblio che aveva regalato a me e a mia madre.
Uscii dalla casa senza poter riposare, camminai tra le ombre che mi fermavano e chiedevano ascolto. Poi ho riconosciuto mia madre che mi parlava dolcemente con gli occhi tristi. E allora ricordai il passo con cui ero inciampato e l'urlo della pietra contro la mia tempia accaldata e il mio sangue sempre più lento e nero.
Ho trovato dimora a Comala e ogni sera passo a rammentare a mio padre il pegno per il suo oblio.

(la suggestione è venuta dalla lettura del bellissimo Pedro Paramo di Juan Rulfo)

 

 
 
 

sottrazioni

Post n°99 pubblicato il 15 Luglio 2014 da Maddalena_e_oltre

Potrei congiungere il polpastrello del mio pollice a quello del mio indice e avanzerebbe aria attorno al tuo omero. Mentre ti guardo struggendomi, mi chiedo come possa guardarti tua madre e sopravvivere alla tua sottrazione. Mi chiedo in quale abisso di anestesia può sprofondare un dolore quando si fa insopportabile.

Io non riesco nemmeno a chiuderle quelle dita, spero, in qualche remota piega del mio sentire, che i miei occhi sbaglino misura. Io non riesco nemmeno ad arrivare in fondo alla galleria di immagini rimanendo ad occhi asciutti, per la rabbia e l'impotenza.

E so che domani scriveremo ancora di sciocchezze e di nullità, di speculazioni filosofiche, artistiche, economiche, di cronache e di vanità amorose. Sarò io la prima a innalzare un calice di piacevoli vuote e inutili parole, ma stasera rimane lo sgomento e la piaga. Rimane quel fremito sottopelle che tende i nervi e chiede voce.

 

 
 
 

Il solista*

Post n°98 pubblicato il 14 Luglio 2014 da Maddalena_e_oltre


 

Ti ho trovato seguendo il suono di due corde superstiti. Un Orfeo di solitudine e di stracci. Spingi la tua casa di fil di ferro su ruote sbilenche in travestimenti sempre nuovi, a seminare passi. La vuoi quella donna di legno e la sinuosa linea bruna dei suoi fianchi? Il totem di Ludovico Van (lo stesso di altre follie, quelle del drugo Alex): la voce di Dio? Chiudi gli occhi in estasi mentre nelle palpebre scorre un caleidoscopio di mille colori. E' bellezza la musica. Insostenibile. O forse insostenibile è la vita senza bellezza.
Le tue dita agili sull'archetto e il tuo volto dipinto di bianco. Con che voce ti parla la follia? In quel brillìo di felicità quando la città urge alle tue spalle. Quella è la voce di Dio. La tua paura è nel silenzio di stanze estranee, vuote da riempire, allora si assiepano le voci e i mormorii si compongono in un turbine caotico e vertiginoso che sprofonda nella tua testa.
Fammi vedere il tuo sorriso bianco mentre cerchi le corde, quelle quattro corde che si staccano dal ponticello, e parlami con quella voce che tacita le belve.

( * )

 

 
 
 

Pollicino

Post n°97 pubblicato il 07 Luglio 2014 da Maddalena_e_oltre


 

C'era una volta una bambina. Una bambina gaia e ciarliera in una grande casa vuota e silenziosa. Le case grandi, vuote e silenziose spesso assomigliano a labirinti ostili o forse questo dipende dalla certezza di non trovare tesori nelle loro stanze. La bambina aveva un coraggio da esploratrice, ma la porta scura della sua cameretta le sembrava un varco troppo cupo e così pensò che avrebbe esplorato il "dentro" anzichè il "fuori". Costruì un cerchio magico, un grande orso protettore e dentro i confini delle sue zampe, ogni viaggio poteva cominciare.  Una bambina ciarliera costretta al silenzio dalla solitudine, non può che inventare dialoghi. Le parole erano i sassolini su cui seguire rotte tracciate nei luoghi più lontani e fantastici. I sassolini che biancheggiavano nello scurire delle ore, nell'addentrarsi folto su sentieri ombrosi. Vascelli e dirigibili, cavalli e draghi, cavalieri e pirati, castelli e grotte, tesori e pugni di cenere.

La bimba sapeva però che avrebbe sempre dovuto fare rientro. Al termine del labirinto/corridoio c'era l'entrata della casa e ad una precisa ora del pomeriggio il campanello avrebbe squillato e lei, ad occhi chiusi per non dover contare le ombre, sarebbe corsa ad aprire ed il suo eroe l'avrebbe salvata in un abbraccio.
Allora la casa si sarebbe animata, si sarebbe sentito parlare e ridere e rumori e musica.
Allora il grande orso bruno sarebbe tornato nel suo angolo a sorridere con i suoi inermi occhi di vetro nero e i sassolini nuovamente raccolti nelle pagine, inerti segni neri.
Sarebbero rimasti i dialoghi, accesi nuovamente nella notte, nel ricordo, nei sogni.

 

 

 
 
 

La lettera

Post n°96 pubblicato il 02 Luglio 2014 da Maddalena_e_oltre


 

"Chi conosce i poteri di una madre esercitata alla nostalgia?"*

Abbi pietà di me. Leggimi quella lettera. Ma leggimi anche ciò che non c'è scritto. Ancora una volta dopo le mille e mille volte ancora. Tu sai che ogni segno tracciato dall'inchiostro è monumento a ogni giorno trascorso, monito al mio amore materno, lacrima versata o trattenuta, sale del grembo.

Io non so leggere, sono una povera vecchia, ormai cieca. Passo il mio tempo seduta a contare i ronzii delle mosche e i giorni d'afa o di pioggia. E' così poca la pioggia. E tu, figlio mio, avaro come questa terra, una sola lettera, soldato, mi hai mandato.
Ma io leggo, io a dire il vero ascolto, anche ciò che tu vuoi dirmi e non hai scritto. Io so che significa bere la stessa acqua e tu hai vissuto nell'acqua del mio ventre.

Tu, ragazzo che sai leggere, abbi pietà di me. Leggi ancora una volta questa lettera che ormai sfarina tra le dita tanto è consunta. L'inchiostro è sbiadito, ma tu leggi, leggi le parole del mio bel figlio soldato. Leggimi, chè io lo raggiunga e lo possa vegliare nelle notti buie, il figlio mio caro, il sale del mio ventre, il mio giorno, il mio tutto.

Leggimi, egli mi chiama e io devo andare.

* Mia Couto, Il dono del viandante e altri racconti

 

 
 
 

wormholes

Post n°94 pubblicato il 04 Giugno 2014 da Maddalena_e_oltre

 

 

La scrittura è un vizio solitario, una necessità, a volte un vezzo, un narcisistico bisogno di denudarsi. La scrittura è un bisturi, tenta di togliere il velo che ricopre le cose. Un indagare appena sotto la superficie, un pescare sul pelo dell'acqua.
Non mi piace rischiare di svegliare i mostri marini che abitano le profondità.
Scrivere è cercare le domande giuste, quelle che ti portano più vicino ai meccanismi delle cose. Quando scrivo mi immedesimo, trasfiguro la mia storia, indossando altre vesti e, con quelle, spero, altri pensieri. Credo che sarebbe un esercizio salutare per ognuno. Non solo per ogni singolo individuo, ma per questa misera collettività intera che pare aver dimenticato il concetto, la fondante significatività, di “società umana”. Se ognuno provasse a indossare quelle altre/altrui vesti, saprebbe rinunciare alla sete prevaricante, alla febbre di potere che tutto insegue e a cui tutto si sacrifica.

La sensibilità è la moneta per questo spettacolo di mimi. Paghi pegno quando il travestimento riesce e tu davvero indossi per un attimo i panni del bimbo profugo o del soldato ferito o della donna sfregiata e stuprata. Il pegno è una tacca in più sul perimetro del tuo cuore, qualche lacrima versata e un impegno a divenire quella goccia nel mare, contro ogni evidenza e contro ogni impotenza che vorrebbe ridurti al silenzio.

Credo siano stati i libri che mio padre ha donato alla mia infanzia ad inculcare questo imperioso senso di equità e di giustizia. L'etica della lealtà e dell'onestà, questa fede cavalleresca nel diritto pari per ogni uomo sulla terra. Certo mio padre non avrebbe voluto che io fossi tanto prodiga nel pagare il pegno alla mia sensibilità, tanto vulnerabile. Ma non mi pento di questo precipitare sempre più nella vertigine della condivisione. È stato un buon insegnamento, uno dei pochi degni di essere trasmessi, il sacro calice del rispetto e la preziosità della vita, dono inestimabile e unico.

 

Le parole sono l'unico mezzo che conosco per dire qualcosa quando quel qualcosa trabocca e urge. La musica e ogni altra arte sarebbero certamente più efficaci, più capaci di cogliere le sfumature e le incertezze, ma io non le possiedo. Ascolto molto, questo sì. Mi piace ascoltare e mi piace guardare, tutto quello che mi viene dato, tutto quello cui riesco a giungere. Però, se devo parlare io, devo scrivere.

 

 
 
 

Mr. Tuttle

Post n°93 pubblicato il 23 Maggio 2014 da Maddalena_e_oltre

 

E se qualcuna mi telefonasse nel cuore della notte, mentre tu sei lontano. E mi dicesse di conoscerti, di conoscerti a memoria, ripetendomi cose che io di te non so. Forse cose del tuo passato, forse cose che non ho visto. Resterei con la cornetta in mano e la voglia di tapparmi le orecchie.
Se tu scomparissi, sarebbe un figlio folle creato dalla mia immaginazione, ad occupare le stanze della tua assenza. Lo crescerei come un figlio prezioso mai nato. Gli insegnerei a parlare con le tue parole e i tuoi gesti.
Non crederei a quella voce sconosciuta che ti dipinge nella notte come un estraneo. Non delegherei a nessuno il ricordo della linea pura del tuo naso e delle tue labbra. Mi racconterebbe di qualcuno che non so.
Ma io, in quel nostro figlio visionario, racchiuderei ogni tuo pensiero e ogni racconto, ogni poesia. Nei suoi capelli di sabbia metterei tutti i luoghi in cui non siamo stati e negli occhi fondi, quelle superfici che abbiamo percorso sull'orlo di abissi sorvolati. Nella sua pelle liscia sarebbe il coraggio di  voci urlate e il pudore delle frasi trattenute. Gli insegnerei a camminare, poi a nuotare, poi a volare, poi a lasciarmi andare per tornare da te.

 

 
 
 

incontri

Post n°92 pubblicato il 20 Maggio 2014 da Maddalena_e_oltre

 

E' stato improvviso. Un baluginio sull'asfalto. Nero su nero. Lucido nero su nero opaco. Neppure il tempo di reagire, solo una coda serpeggiante all'angolo dell'occhio.
Come quella Mk.23 posata sul tavolo. In attesa. E sai che il momento è arrivato, quella fottuta meta cui hai teso per tutta la giornata. Solo che il senso di distruzione ha perso quell'alone grandioso e creativo che albeggiava al mattino. Ora ha preso una sfumatura indistinta, ma irreversibile, crepuscolare e definitiva. Sai che finirà con un nome e due date su una lapide di cristalli azzurrini, abbandonata all'ombra incolta di qualche viale ghiaioso dimenticato. E non ha più senso la ricerca di una legge naturale, di un ordine o di una corrispondenza tra le cose. Quel filo che hai seguito attraverso viaggi esotici e grandi safari, quando eri intoccabile, invulnerabile e distratto come un dio pagano.
Ora la tua asimmetria ha alzato la voce, sopra l'algida geometria dei tuoi numeri e delle tue previsioni. Sembravi incosciente come un bambino intento ad un gioco di pedine. Perchè al di là del vetro non si distinguono le pedine dagli uomini e il sangue è uguale al ketchup sul tuo dannato hot dog.
Ma forse ora, sul lieve sobbalzo dell'auto, guardando dentro il buco nero della canna, salverai la legge del disordine e del caos, quella tua asimmetria che ne è portabandiera. Assolverai la follia che ti conosce meglio di quanto tu abbia mai supposto. Troverai la quiete, tu, quando Teseo, tuo redentore, brandirà la spada di bronzo sul tuo capo e tu, cedevole, lo asseconderai.

 

 
 
 

Soma

Post n°91 pubblicato il 14 Maggio 2014 da Maddalena_e_oltre

 

Ci sono guerre che non si combattono con kalashnikov e machete, ma con piccone e badile. Soldati lenti e neri che si inabissano prima che faccia giorno e riemergono quando il buio è ormai calato. Una guerra che ha in palio il piatto di minestra da portare a tavola per illudere le pance di figli che nemmeno si vede crescere.
Non so nemmeno come facciano a nascere quei figli. Non so nemmeno come trascorrano le ore del giorno quelle mogli, forse in una muta continua preghiera, chè la terra sia forte e non ceda, che il passo non vacilli e la mano non tremi.
Ci sono guerre che per combatterle bisogna diventare altro che uomini, a volte talpe, a volte uccelli, a volte salamandre. E quel che avanza è una manciata di ore di sonno, quel tanto che nemmeno basta a recuperare forze, perchè probabilmente è un sonno privo di sogni, perchè la stanchezza è troppa persino per immaginare.
Non so pregare, ma prego. Prego che i miracoli accadano qualche volta. Prego che un qualche dio pietoso, regali quel sonno sognante e indolore, laggiù sottoterra.

 

 
 
 

Inutile

Post n°90 pubblicato il 11 Maggio 2014 da Maddalena_e_oltre

 

Inutile. Certi giorni nascono perduti. L'insegna che vi garrisce sopra è quella dello sconforto. Si costruiscono barricate di finta indifferenza, di algido distacco. In fondo nulla può toccare tanto in profondità. Questa la pietosa bugia.
Come il vestito di spine di Enrosadira. Dietro le splendide rose pungono senza posa e sempre più nella carne, centinaia e centinaia di aculei.
Poi il pensiero ha uno scarto, prova ad andare oltre il limitato orizzonte della propria pelle. Allora sorvola quelli di vite abbreviate, storpiate, rubate, distrutte e si beffa di quel meschino piccolo panorama privato, di tanto poco conto e tanto poca importanza. E così allo sconforto si aggiunge la vergogna, per una fortuna immeritata e che mai sarà guadagnata nè tanto meno ripagata. La visione sul resto del mondo non salva dalla propria banale ottusità e non salvano le domande oziose che ci si pone e a cui si danno comode risposte, speranzose come quelle dei bimbi e altrettanto infondate.
E proprio come una bimba cocciuta e triste chiudo partita, in perdita clamorosa, con l'abitino macchiato e la treccia sciolta.

 

 
 
 

devozione

Post n°89 pubblicato il 08 Maggio 2014 da Maddalena_e_oltre


 


Non darmi la vista del tuo sguardo rassegnato e stanco. Non ricordarmi il peso della soma di ogni giorno al traino. So quanto sia tutto fatica e responsabilità e impotenza e frustrazione. Ma non offrirmelo, proprio tu, come fosse l'inevitabile.
Le conosco già tutte queste corde, tutte queste catene, ne ho la pelle segnata. Ma tu porgimi uno specchio di quelli antichi, ombrati, in cui la pelle risplenda luminosa e intatta e lo sfondo assomigli ad una sala da ballo in attesa della festa. Cerca ovunque una bacchetta magica, un ramo d'alloro, una radice fatata e usali per me. 

Regalami una visione, una cometa da seguire, per andare via. Lontano dalle bugie che ci vogliono muti e asserviti.

Portami nel bosco, lontano dalle piazze troppo vuote, dalle pagine imbandite di nulla. Feriscimi per farmi capire che ancora sono viva, che ancora so il colore del sangue. Fammi vedere le stelle nella notte, come in un deserto. E ad una ad una raccontami la sua storia, raccontami ogni Berenice, ogni Perseo. Incantami e fammi spalancare gli occhi, fammi sognare, fammi viaggiare su queste ali leggere.

Poi possiamo pure tornare, indossare di nuovo i vestiti smessi e l'espressione usuale, abbassare le palpebre a custodire meraviglia. Poi possiamo pure tornare, tra le righe, ad un'altra dose di soma e di scudiscio.
Ma intanto... portami via.

 

 
 
 

Il pegno

Post n°88 pubblicato il 05 Maggio 2014 da Maddalena_e_oltre

 

 

E' inutile. Pago pegno ogni volta che te ne vai. Allora non trovo via d'uscita, come una falena che avanzando dalla notte buia, sbatta sul vetro anelando alla luce, oltre.
Grande obolo ai mostri, alle fantasie che assillano in grandioso girotondo, alle immagini che gridano dal pozzo del visto, del vissuto, del sentito.

Il labirinto sta lì, senza sforzo ad ingoiarmi, come tra i vicoli bui di Napoli sotterranea, sotto l'ira di un Vesuvio che furioso leva voci infuocate. Corro per scappare verso un mare che, creduto salvezza, si rivela impenetrabile, senza quiete da offrire, e rimango con il fiato corto sulla spiaggia a chiudere gli occhi e a tapparmi le orecchie, per non vedere e non udire quella folla che preme. I Cristi crocifissi nelle lande deserte da aguzzini della sabbia, le fanciulle offese, elette a Madonne da una morte errabonda e i bambini affamati di ogni fame. Tutti loro urlano, sommessamente, oltre le mie dita trasparenti. Io devo ascoltare ogni storia, guardare ogni piaga, sentire ogni dolore.

Pago il pegno e ingoio tutto quel mondo, fin giù, dentro. Fino al ballo di un vagabondo davanti alle vetrine illuminate di un Natale estraneo, fino al suo figlio forse perduto e ad uno inventato. Fino a quello sognato e desiderato.

Pago pegno. Poi so che tutto passa.

 

 
 
 

Area personale

 

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