Messaggi di Ottobre 2008

Post N° 102

Post n°102 pubblicato il 11 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera
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Un aspetto trascurato del grande gesuita

Teilhard de Chardin mistico

Le tappe di una esperienza privilegiata. Le tre “vie”

“Il bisogno di possedere interamente qualcosa di “assoluto” fu, sin dalla mia infanzia, l’asse di tutta la mia vita interiore.   Fra i piaceri  propri di  quell’età io non ero felice che in riferimento ad una gioia fondamentale, la quale consisteva in generale nel possesso (o nel pensiero) di qualche oggetto più prezioso, più consistente, più inalterabile.  A volte si trattava di un pezzo di metallo, altre volte, saltando all’estremo opposto, mi compiacevo nel pensiero di Dio Spirito (la Carne di Cristo mi pareva, a quell’età, qualcosa di troppo fragile e di troppo corruttibile) .

Questa preoccupazione potrà apparire strana. Ma ripeto che a me capitava così, senza interruzione.  Sin da allora provavo il bisogno invincibile -  vivificante e riposante -  di adagiarmi senza paura  in Qualcosa di tangibile e definitivo e dovunque cercavo questo Oggetto fonte di beatitudine.  La storia della mia vita interiore è la storia di questa ricerca di realtà sempre più universali e perfette.  In fondo, la mia tendenza naturale profonda è rimasta assolutamente inflessibile,  da quando mi conosco”.

Sono parole di Pierre Teilhard de Chardin, scritte nel 1917, in piena prima guerra mondiale: sono parole che, meglio di qualsiasi altra, gettano luce su un aspetto della complessa personalità del celeberrimo gesuita (spentosi nel giorno di Pasqua del 1955 a New York) che sinora i “teilhardisti” hanno scarsamente studiato, l’aspetto mistico.   Anche se la “teilhardite acuta” di cui furono affetti gli ambienti intellettuali cattolici degli anni sessanta (pro o contro) sembra essersi ormai calmata, peraltro l’opera filosofica e scientifica di Teilhard de Chardin continua ad essere fonte di studio e di riflessione, ma,  stranamente, Teilhard mistico è ancora poco noto.  Questo spiega l’eccezionale affluenza di pubblico avutasi venerdì 10 marzo ( 1972 n.d.r.) al Centre Saint Louis de France in occasione di una conferenza tenuta su Teilhard mistico da colui che fu uno dei suoi superiori provinciali, padre  Andrè Ravier.

Padre Ravier, che conobbe molto da vicino Teilhard de Chardin ed è depositario dei suoi “carnet” intimi (che conta  di poter un giorno pubblicare) ha voluto anzitutto delineare brevemente quale fosse il pensiero di Teilhard sulla mistica. 

Esisteva per lui una “via prima” che parte  dall’amore esclusivo della terra e conduce al Nulla, esisteva una “via secunda” che parte dall’amore esclusivo per il cielo e porta direttamente a dio ed è la via solitamente seguita dai grandi mistici, una Teresa d’Avila,  o un San Juan de la Cruz:  fra queste due strade mistiche, esisteva secondo Teilhard una “via tertia” che attraverso il cosmo, l’amore per il cosmo quale realtà non già terminata ma che “si inventa” ogni anno che passa, porta al Cristo “ricapitolatore” di tutto e quindi a Dio.   Dalla “via termia” si arriva alla “via secunda”.

E’ la “via tertia” quella che Teilhard scelse, unendo all’amore per la terra l’amore di Dio,  arrivando all’ amore di Dio attraverso l’amore per la terra e gli uomini.  Non che Teilhard  concedesse scarsa importanza alla strada seguita da Tersa, alla “via secunda”:  le riconosceva anzi un valore eccezionale , visto che un mistico che abbia scelto quel cammino “è colui che Iddio ha chiamato a realizzare, prima della sua morte, quel collegamento tra “via tertia” e “via secunda”  che gli altri realizzano solitamente al termine della loro esistenza.    Ma a Teilhard Dio aveva riservato di arrivare molto più lentamente, con ben maggiori angoscie – attraverso l’amore  del   cosmo -  la dove una Tersa o un San Giovanni della Croce erano arrivati fulmineamente.

Secondo Padre Ravier quello dell’autore de: “Le coeur de la matiere” era un “temperamento mistico caratterizzato” :  l’intangibilità di Dio è stata per Teilhard  “la difficoltà  profonda della sua vita”, quel continuo cercarlo ( perché l’aveva, si,  trovato da parecchio tempo, ma non riusciva ad impossessarsene per calmare la sua sete di assoluto)  è stata fonte di continue terribili angosce .  “Du canard, delivrez-moi Jesus”, scriverà in una pagina dei suoi “carnet” intimi.   “Le canard”: uno stato d’animo intermedio fra il tedio e l’angoscia.  Quel “canard” - ha notato padre Ravier- che  ritroviamo sotto  differenti forme in Ignazio da Lodola (e che spiega il suo tentativo di suicidio) nel  curato d’Ars, in Francesco di Sales.

In un altro “carnet” troviamo questa annotazione :” senso della presenza, dubbio dell’inesistenza”.   Senso vivissimo della presenza di Dio,e, allo stesso tempo, dubbio sulla sua esistenza:  quale grande mistico o anche semplicemente quale umile cristiano  non ha provato a volte e quel senso e quel dubbio?

Si immagini ora un uomo angosciato come Teilhard costretto al silenzio dai suoi superiori, preoccupati per alcuni aspetti quanto meno discutibili della sua dottrina.  Fu un autentico calvario , “un dramma atroce” per riprendere le parole di padre Ravier.  Se Teilhard  seppe sopportarlo fu perché a differenza – ad  esempio -  di un Lamennais , aveva una profondissima fede religiosa.

“Se mi ribellassi – scriveva al suo consigliere spirituale, Auguste Valensin -  sarei infedele alla mia fede”:  e  più tardi aggiungerà  “ con gioia profonda comunicherò a questo piccolo calice, ma almeno possa essere  sicuro che è sangue di Cristo!”.

Teilhard accetta il calice della sofferenza: si augura solo che all’origine di questa sofferenza vi sia il desiderio di Cristo di metterlo alla prova e non la maldicenza o, peggio, la cattiveria degli uomini.  Gesuita attaccatissimo alla sua Compagnia , Teilhard amò come pochissimi altri la Chiesa.  Nel 1945 scriveva:” sprofondare, sparire”:  inabissarsi nell’anonimato, scomparire,  ecco quanto desiderava come ultima prova del suo amore per la Chiesa .

Che era un po’ ripetere quanto aveva invocato secoli prima Jacopone: “ Gesù, speranza mia subissame en  amore…”

Massimo OLMI

(in Avvenire 15 marzo 1972

 

 

 

 

 

 

 
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Post N° 103

Post n°103 pubblicato il 12 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera

Filosofo, paleontologo, teologo

TEILHARD DE CHARDIN

Audacia di un non conformista

“Pierre Teilhard de Chardin, filosofo, teologo, scienziato, la cui speculazione e le cui opere hanno considerevolmente arricchito il pensiero religioso, filosofico e scientifico proponendo gli elementi di una civiltà dell0Universo…”  In questi termini si esprimeva a Belgrado, nel 1980, la Conferenza Generale dell’Unesco quando ha deciso all’unanimità che l’Unesco celebrasse nel 1981 il centenario della nascita di Teilhard.

Un colloquio internazionale si è quindi riunito a Parigi, nel settembre del 1981, con la partecipazione di non meno di quaranta personalità: specialisti di paleontologia, preistoria, etnologia insieme a famosi teologi provenienti da diciotto paesi di tutti i continenti.  Il Direttore generale dell’Unesco, Amadou-Mahatar M’Bow e il Presidente della Repubblica francese Francois Mitterand hanno preso la parola alla seduta di chiusura di questo colloquio.

Un omaggio così solenne ha potuto essere motivo di sorpresa per qualcuno.  Certamente l’opera scientifica è ben conosciuta e altamente apprezzata tra gli studiosi di paleontologia e di preistoria, ma molto meno da gran parte del pubblico.  Quanto al suo pensiero filosofico e religioso, sembrava un poco dimenticato, dopo aver suscitato un grande entusiasmo negli anni successivi dalla sua morte: si sa che, mentre era vivo, le autorità cattoliche romane non autorizzarono la pubblicazione degli scritti in questo campo.

Il colloquio dell’Unesco  ha potuto dimostrare che la personalità di Teilhard ed i diversi aspetti del suo pensiero richiamavano al massimo l’attenzione degli specialisti, anche se alcuni di essi non condividono le sue convinzioni religiose.

Pierre Teilhard de Chardin nacque in Francia, in Alvernia, da una famiglia appartenente alla borghesia agiata e di tradizione cristiana.  Niente nella sua infanzia, se non un interesse preciso per le pietre e i minerali, facevano prevedere l’uomo dalle grandi vedute e l’esploratore infaticabile, appassionato dell’avvenire oltre che del passato del mondo e dell’uomo.

Nel 1899 entra nell’ordine dei Gesuiti.  Gli anni della sua formazione iniziatasi in Francia lo conducono nell’isola britannica di Jersey, dove,pur proseguendo i suoi studi di filosofica, si interessa già alla mineralogia ed alla geologia; e poi  in Egitto, al Cairo (dal 1901 al 1905) dove insegna fisica al Collegio dalla Sacra Famiglia e consolida il suo interesse per le scienze della terra; infine in Inghilterra, ad Hastings, presso Londra, dove dedica il suo tempo libero lasciatogli dalla teologia a lavori di paleontologia.

Tuttavia è soltanto nel 1912 che si impegna veramente nella carriera scientifica: viene accolto a Parigi al Museo di Storia Naturale diretto da Marcellin Boule, celebre per i suoi lavori sull’uomo fossile de “La Chapelle aux Saints”.  Sopraggiunge la guerra nel corso della quale, dal 1914 al 1919, presta servizio come infermiere portantino.  A quell’epoca risalgono i suoi scritti di grande intensità riuniti sotto il titolo “Scritti del tempo di guerra”.

Ritornata la pace, riprende il suo lavoro a Parigi al Museo di Storia Naturale, specialmente con un giovane studente, Jean Piveteau, oggi membro dell’Accademia Francese delle Scienze ed anche all’Istituto di Paleontologia umana, dove conosce l’abate Henri Breuil, le cui scoperte, soprattutto sull’arte preistorica, conosceranno una grande notorietà.

Teilhard sostiene nel 1922 la sua tesi di laurea sul tema dei mammiferi dell’Oceano meridionale francese.  Nel 1923 la sua carriera scientifica conosce un momento decisivo: la sua partenza per la Cina (non voluta ma obbligata dalle autorità religiose romane n.d.r.) dove rimarrà, salvo alcuni ritorni in Francia per brevi soggiorni, sino al 1946.  In questo luogo svolge tuttavia numerose missioni: nel 1928-29 in Etiopia e in Somalia e più tardi in India, Birmania, Indonesia.

Ritornato in Francia nel 1946 gli offrono nel 1947 una cattedra al College de France.  Ma i suoi superiori religiosi, preoccupati per l’audacia delle sue vedute, non gli permetteranno di accettarla.   Per le stesse ragioni, gli si chiede, nel 1951, di allontanarsi da Parigi.  Si stabilisce  allora a New York dove viene accolto alla Fondazione Werner Gren che lo incarica di due brevi ma importanti missioni nell’Africa australe, nel 1951 e nel 1953.  Teilhard muore a New York il 10 aprile 1955, giorno di Pasqua.

L’opera scientifica  di Teilhard de Chardin pubblicata in undici volumi si compone di oltre 4000 pagine.  L’unità del suo pensiero, esposta nelle sue opere scientifiche, anche se ha nutrito le sue convinzioni filosofiche e religiose, non appare per nulla “alterata” da queste.  Si rivela nettamente autonoma in tutto l’insieme dei suoi scritti.

Anche se il principale interesse scientifico di Teilhard  riguardava le origini dell’uomo, questo argomento non occupa che una piccola parte della sua produzione scientifica per la maggior parte consacrata alla geologia della Cina e anche, sia pure in minima misura, di altre parti dell’Asia.  E questo per due ragioni.  Da una parte Teilhard ha ben presto compreso che per essere convenientemente spiegate le origini dell’uomo presuppongono delle investigazioni geologiche molto approfondite.  D’altra parte nominato nel 1929 membro del servizio geologico della Cina, Teiklhard, insieme con il suo compatriota Padre Emile Licent, ma anche con geologi cinesi e con altri scienziati europei e americani fu spinto a compiere numerose missioni geologiche in quasi tutte le regioni della Cina.  In particolare, fu uno dei membri del gruppo cinese della spedizione francese Haardt-Citroen nel 1931-1932 (chi volesse vedere alcuni filmati della famosa Crociera Gialla può visitare il sito ufficilale della Citroen e aprire il link: Crociera Gialla n.d.r.)

Inoltre Teilhard doveva svolgere un ruolo importante negli scavi della famosa località di Chu-ku-tien, vicino a Pechino.  Non è certo a lui che si deve la scoperta, avvenuta nel 1929 in Cina, del primo cranio dell’Homo erectus, che fu chiamato “sinantropo” e che nell’evoluzione dell’uomo rappresenta lo stadio precedente a quello dell’Homo sapiens.  Ma Teilhard fu uno dei principali animatori del gruppo che per più di dieci anni esplorò la località e contributi specialmente a dimostrare che il “sinantropo” conosceva il fuoco e fabbricava degli utensili.

Anche se meno estesi, meritano anche attenzione i lavori di Teilhard sulla paleontologia del sud e dell’est dell’Africa.  Egli ebbe la premonizione che bisognava rivolgere molto più interesse di quanto non si era fatto a queste regioni, dal punto di vista delle origini dell’uomo.  Si conoscono le importanti scoperte che sono state fatte dopo l’inizio degli anni sessanta per quanto riguarda i primi ominidi, gli australopitechi e l’Homo abilis, che sarebbe l’antenato dell’Homo  erectus.

Quello che distingueva Teilhard  dalla maggior parte dei grandi scienziati della nostra epoca  era che, senza pregiudizio per la sua opera scientifica, egli ha voluto essere qualcosa di più che uno studioso in senso stretto.  Non che egli abbia sottovalutato le scienze, al contrario, nessuno più di lui ne ha espresso tutta la portata e tutto il significato.  Ma aveva la certezza che quello che doveva dire andava al di là della scienza.  Era qualcosa di più che egli intendeva trattare, cioè una concezione evolutiva e dinamica di tutto l’universo, dell’uomo e dell’umanità.  E ciò non solo nel loro passato, ma, alla luce di esso, nel suo avvenire.  Un messaggio caratterizzato da una viva preoccupazione di sintesi, di unità, così come ha detto Amadou-Mahtar M’Bow, al colloquio dell’Unesco: “ il suo pensiero come uno spartito musicale, non può comprendersi per brani separati”.  Per esporlo dobbiamo però dividerlo in alcune grandi tesi distinte, ma strettamente legate fra loro.

Queste tesi possono essere raggruppate in due categorie, anche  se lo stesso Teilhard non le ha presentate così.  La prima riguarda delle vedute che discendono direttamente dalla scienza, più precisamente dalla paleontologia e dalla teoria dell’evoluzione.  La seconda è costituita da opinioni più lontane dalla scienza, che derivano soprattutto dalla sua filosofia e dalla sua fede cristiana.

Fra le tesi della prima categoria, segnaliamo in primo luogo la legge di complessità-coscienza, intravista prima di lui, ma che egli per primo enunciò esplicitamente in tutta la sua portata.  Si tratta della constatazione che il corso dell’evoluzione si presenta a noi come due crescite parallele, intimamente associate;  da una parte la complessità, principalmente quella del sistema nervoso e del cervello, e dall’altra lo psichismo e la coscienza.

Questa legge, che per Teilhard era fondamentale, supera non poco la scienza, intesa in senso stretto.  Ma è notevole, come è stato fatto notare chiaramente nel corso del colloquio dell’Unesco, che oggi essa è quasi unanimemente riconosciuta da tutti coloro che cercano di comprendere il processo dell’evoluzione, quali che siano le loro convinzioni filosofiche e religiose.

Più personale, ma comunemente accettata , anche se appare come una diretta derivazione della legge della complessità-coscienza, è l’altra grande opinione di Teilhard secondo cui l’apparizione della vita non è accidentale, non un fatto anomalo, ma un processo inevitabile, sostanzialmente un balzo dello Spirito coronato dall’apparizione dell’uomo;  l’evoluzione, divergente sino a quel momento, diviene convergente per concludersi nell’uomo, rigoglio finale del suo divenire. E’ quello che Teilhard ha sintetizzato nel suo “credo”, la sua opera Le Phenomene humain: “Centro di osservazione, l’uomo e al tempo stesso centro di costruzione dell’Universo”.

Sempre assai vicina alla scienza, anche se la supera, è  quest’altra opinione di Teilhard che precisa il processo dell’evoluzione.  Questo processo segue una progressione costante, ma comporta dei momenti critici, delle soglie: il  passaggio dalla materia alla vita, riflessione nel momento dell’umanizzazione.  Su quest’ultimo punto, Teilhard concorda con l’eminente biologo inglese Julian Huxley, che fu il primo Direttore Generale dell’Unesco, quando afferma;”L’apparizione dell’uomo è l’evoluzione divenuta cosciente di se stessa”.

Un’altra soglia dobbiamo varcare per arrivare alla seconda categoria delle grandi idee di Teilhard; quelle che sono fondate su di una base scientifica o che non lo sono affatto.  Si tratta della “planetizzazione” dell’umanità che è certamente uno dei fatti da cui Teilhard trarrà  delle  conseguenze riguardanti l’avvenire del genere umano e che superano largamente questo semplice atto.

Teilhard viene perciò indotto a sviluppare delle grandi idee su questa presa in massa dell’umanità per quanto riguarda il suo avvenire.  Non ci dice quello che avverrà necessariamente, ma a quali condizioni essa può essere salvata.  L’umanità è libera di accettarle, ma non può garantire che essa eviterà la catastrofe: “Non ci sono delle sommità senza abissi”, egli scrive.

Queste condizioni che egli ritiene dovrebbero essere condivise da tutti quelli che siano  le loro opinioni, sono l’unica strada perché l’umanità raggiunga il suo vero scopo, che risiede essenzialmente in una convergenza.  L’umanità si unifica non nel senso della creazione di un termitaio, ma di una unione in cui le persone non sono uniformizzate, meno ancora schiacciate, ma conseguono il loro pieno sviluppo ciascuna secondo i propri caratteri originali con una vocazione propria.  E’ quello che Teilhard riassume nella famosa formula: “L’unione differenziata”.  Questa idea presuppone che superando gli orizzonti secondo lui troppo angusti delle religioni, non si debba operare per l’avvento  di un amore universale: amore della Terra, delle grandi imprese umane – ciò che egli definisce “fede nell’uomo” – amore che dovrebbe unire tutti gli uomini orientandoli verso un “supremo Qualcuno”.

Tra queste imprese umane , Teilhard mette in primo piano il progresso del sapere, le scienze.  Più che la maggior parte degli studiosi contemporanei, egli ha saputo riconoscere tutta l’importanza, tutto il valore della ricerca:  Il perseguimento del sapere è più di una passione, più dell’aspettativa di realizzazioni utili.  Dedicandosi alla scienza, l’uomo deve  tendere “ a sapere per essere di più”.

E poiché spesso ancora oggi le religioni, persino il cristianesimo che era la sua fede, mostrano scarso interesse per la scienza, perché non le attribuiscono il giusto peso, quand’anche non temono di esserne distrutte, Teilhard ritiene che le religioni debbano collaborare con la scienza e che soltanto così l’umanità troverà la sua vera unità.

Se, ad un certo momento della sua vita, Teilhard ha potuto ritenere che le grandi religioni del mondo non accordano a questa ricerca tutta l’importanza che egli avrebbe desiderato, doveva indicare negli ultimi scritti quello che ciascuno potrebbe apportare alla convergenza, all’unione, alla spiritualizzazione dell’umanità.  Più audacemente, ma assai naturalmente, avendo invocato la convergenza dell’umanità auspicando che essa si raccolga in se stessa.  Teilhard ha concepito quello che chiamato “punto Omega”, ossia  il punto di ultima convergenza che deve segnare il raggiungimento dell’obiettivo finale dell’umanità.

Questo “punto Omega” egli lo pone in un primo tempo come una nozione  derivante da una pura  deduzione filosofica.  E’ solo in un secondo tempo che, accettando di non essere seguito che dai cristiani, Teilhard penserà a congiungere, ma senza confonderli, il “punto Omega” con il Cristo, il Cristo universale che abbraccia tutte le cose, dando ad esse la consistenza piena, con la capacità soltanto sua di riunire in un amore del quale Egli è la vera sorgente.

Si comprenderà facilmente come le idee di questa seconda categoria, per grandiose che siano, non avrebbero ricevuto l’unanime consenso.  Soprattutto le idee propriamente religiose che abbiamo esposto.

D’altra parte, ci si potrebbe stupire che Teilhard affrontando il tema dell’avvenire dell’umanità abbia dato così poco spazio all’arte, alla cultura ed anche alle realtà politiche – Stato, nazione – e,  cosa ancor più grave, nella malvagità dell’uomo e degli uomini, al problema del male di cui ha minimizzato l’importanza e non abbastanza scrutato l’origine.  Ma quale grande pensatore non ha avuto le sue deficienze?  Basta pensare a Cartesio, a Leibniz, per non citare che due nomi.

Per quanto lirici siano spesso i discorsi scientifici ,filosofici e religiosi di Teilhard, non per questo sono privi, salvo qualche eccezione, di un’alta qualità intellettuale.  Ma egli non  fu in  nessun modo un puro tecnico del pensiero.  Per quanto valida la sua speculazione, egli l’ha sviluppato per metterlo al servizio di un’azione, il primo e vero raggiungimento dei fini dell’uomo.

Di qui il calore, talvolta la veemenza che caratterizza i suoi proponimenti.  Egli ha voluto certamente elaborare una sintesi, ma direi anche  e soprattutto quello che egli aveva “visto” e secondo i suoi termini, “esprimere delle vedute ardenti2.  Delle vedute che tanto hanno saputo sollecitare l’essenza di tante culture e tante diverse condizioni.

FRANCOIS RUSSO s.j.

(in Corriere Unisco …….1981

 

 

 

 

 

 

 
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Post N° 104

Post n°104 pubblicato il 12 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera

         Pierre Teilhard de Chardin s.j.

 

         Un sommario della mia prospettiva

                       fenomenologica

 

“ Esiste, e si propaga contro corrente attraverso l’’Entropia , una deriva cosmica della materia verso strati di asservimento sempre più complicati (in direzione – o all’interno – di un “terzo infinito”, l’”infinito di Complessità”, tanto reale quanto l’Infinito e l’Immenso)  E la coscienza si presenta sperimentalmente come l’effetto, o proprietà specifica, di questa Complessità spinta a valori estremi”.

Se si applica alla storia del Mondo questa legge di ricorrenza (detta di “complessità-coscienza”), si vede delinearsi una serie ascendente di punti critici e di sviluppi singolari.  Eccoli.

1) Punto critico di vitalizzazione

In qualche parte, a livello delle Proteine, si produce in seno al Previdente (almeno a nostra esperienza) un’emersione iniziale della Coscienza.  Grazie al meccanismo concomitante di “riproduzione”, l’aumento di Complessità si accelera sulla Terra per “via filetica” (genesi della specie o speciazione).

A partire da questo stadio (e nel caso dei viventi superiori) diventa possibile “misurare” l’avanzata della Complessificazione organica attraverso il progresso della celebrazione.  In virtù di questo artifico, si stacca, in seno alla biosfera, un asse privilegiato di Complessità-Coscienza: quello dei Primati.

2) Punto critico di riflessione (o di Ominizzazione)

In seguito a qualche mutamento cerebrale “ominizzante”, che si produce negli Antropodi verso la fine del terziario, fa irruzione nel mondo, e apre un campo del tutto nuovo in Evoluzione, la Riflessione psichica, che non solo è “sapere ma sapere di sapere”. Nell’uomo, sotto le apparenze di una semplice “famiglia” zoologica nuova, in realtà, una “seconda specie di vita” comincia, con un nuovo ciclo di possibili adattamenti e uno speciale involucro planetario (la noosfera).

3) Sviluppo della Co-riflessione ( o comparsa di un ultraumano)

Applicato al grande fenomeno della Socializzazione umana, il criterio di Complessità-Coscienza offre talune indicazioni decisive.  Da una parte, nella società umana, un irresistibile adattamento tecnico-culturale, di dimensioni noosferiche, chiaramente in progresso.   D’altra parte, per effetto della Co-riflessione, lo spirito umano non cessa di elevarsi collettivamente (grazie ai legami tessuti dalla tecnica) alla percezione di dimensioni nuove: per esempio, organicità evolutiva e struttura corpuscolare dell’Universo.  La coppia  organizzazione –interiorizzazione” riappare qui con evidenza.  Ciò significa che, sotto i nostri occhi il processo fondamentale di cosmogenesi continua come prima ( oppure ricomincia di bel nuovo (Con la sola differenza, che a partire dall’uomo, con assoluta evidenza, la complessificazione cosmica prende la forma non più soltanto di un adattamento fortuitamente trovato,, per effetto di grandi numeria ultimo nelle sue porzioni più vive, di un auto-assestamento pianificato).

Considerata nella sua  totalità zoologica, l’Umanità offre lo spettacolo unico di un “phylum” che si sintetizza organico-psichicamente su se stesso.  Veramente una corpuscolizzazione e una “contrazione” (o centrage) su se stessa della Noosfera “as a whole”.

4) Probabilità di un punto critico di Ultra-riflessione in avanti

Estrapolata nel futuro la la convergenza tecnico-socio-mentale dell’umanità su se stessa, impone la previsione di un parossismo di Co-riflessione, a una qualche distanza finita, davanti a noi, nel tempo: parossismo che non può definirsi meglio ( e neppure in altro modo) che come punto critico di Ultra-riflessione.  Non sapremmo naturalmente immaginare nel descrivere un tale fenomeno (che implica apparentemente un’evasione al di fuori dello Spazio e del Tempo).   Tuttavia certe condizioni energetiche precise, alle quali l’avvenimento previsto deve soddisfare (attivazione crescente nell’uomo, al suo approssimarsi, del “usto di evolvere” e della “volontà di vita”), ci costringono a pensare che esso coincida con un definitivo accesso all’irreversibile (poiché la prospettiva di una Morte totale arresterebbe di colpo, per scoraggiamento, il regresso dell’Ominizzazione).

A questo termine  superiore della Co-riflessione umana (cioè, in realtà, dell’ominizzazione) ho dato  il nome di “punto Omega”: centro cosmico personalizzante di unificazione e di unione.

5)Verosimiglianza di una reazione (o riflessione) di Omega sull’Umano in via diCo-riflessione ( Rivelazione e fenomeno cristiano)

Più si riflette alla necessità di un Omega per sostenere ed animare la continuazione dell’Evoluzione ominizzata, più ci si accorge di due cose:

la prima è che Omega puramente congetturato (puramente “calcolato”) sarebbe troppo debole per mantenere nel cuore dell’Uomo una passione sufficiente a farlo ominizzare fino in fondo;

la seconda è che,  se  Omega esiste ralmente, è difficile concepire che il suo supremo “Ego” non si faccia direttamente sentire come tale, in qualche maniera, a tutti gli “Ego” incoativi (cioè a tutti gli elementi riflessi dell’Universo.

Da questo punto di vista, la vecchia e tradizionale idea di “Rivelazione” riappare, e torna a introdursi (e questa volta attraverso la biologia e l’energetica evolutiva) come cosmogenesi.E, sempre da questo punto di vista, la Corrente Mistica Cristiana prende un significato e un’attualità straordinari.

Perché se è vero che, per assoluta necessità, il processo di complessità-coscienza esige in maniera assoluta, per compiersi, il calore di qualche fede intensa, è ugualmente vero (la cosa saltas agli occi, perché ci si dia la pena di guardarsi intorno) che non si vede nessuna fede attualmente capace di assumere pienamente (amorizzandola) una Cosmogenesi di convergenza, eccetto quella di un Cristo “pleromizzante” e “parusiaco”, “in quo omnia constant” (S.Paolo, Col.,  I. 17)

 

Teilhard de Chardin, Pierre s.j.

New York 14 gennaio 1954

Pubblicato sulla Rivista “Les Etudes philosophiques nel numero di ottobre-dicembre 1955

 

 

 

 

 
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Post N° 105

Post n°105 pubblicato il 12 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera

Il “gesuita proibito” maestro del pensiero d’oggi

 

Teilhard supera le vecchie barriere tra scienza e religione, materia e spirito

      Di  Guido Piovene

 

Tutta la storia naturale è storia sacra:  evoluzione biologica e progresso  morale sono un processo unico, nel quale si realizza il Cristo. Immorale è ciò che si oppone al cammino della natura, resiste al progresso.  Il mondo contemporaneo vive una fase di intense trasformazioni: l’uomo acquista una coscienza più forte della sua individualità e sente di più il dovere della solidarietà.  I marxisti insistono su questo secondo aspetto, ma sono destinati ad incontrarsi con i cristiani.

 

Un bellissimo libro è “Il Gesuita proibito- Vita e opere di padre  Teilhard de Chardin “ edito da Il Saggiatore.  La filosofia di P. Teilhard,che scaturiva dalla sua opera di scienziato, vi è esposta con rigore, grande chiarezza e capacità di sintesi: lasciando quasi sempre parlare l’autore stesso, in una serie di citazioni tratte da scritti quasi tutti inediti in Italia (oggi, per merito de Il saggiatore, Queriniana, SEI e Il segno dei Gabrielli, tutte le opere di Teilhard sono state pubblicate in Italia n.d.r.), molti poco noti anche all’estero o addirittura inediti in assoluto.  Ci si accosta così al movimento vivo di uno dei pensieri più interessanti di oggi.

Padre Teilhard, come dice il titolo, fu lungamente combattuto dalle autorità ecclesiastiche, privato della cattedra e tenuto in esilio in Cina, in Africa, negli Stati Uniti, dove morì nel 1955.  I suoi libri fondamentali faticarono anni per venire alla  luce, perché le autorità a cui doveva obbedienza negavano “l’imprimatur”.  Vigorelli e altri ritengono che il presente Concilio abbia invertito la corrente e che anzi l’influenza teilhardiana vi sia vivace.  Padre Teilhard, anche proibito, resta sempre obbediente  e legato alla Chiesa. La eresia dichiarata, la rottura di tipo modernista, per lui erano reazioni tipiche del mondo liberale-individualista dell’Ottocento, in contrasto con la sua dottrina.  Ma rimase sempre fedele a se stesso  e al suo insegnamento, che ribadì anche in punto di morte.

Di Padre Teilhard parlai già su questo giornale, due volte, dalla Francia, nel 1958.  Benché il libro di Vigorelli abbia molto arricchito la mia conoscenza di  lui, qui posso darne soltanto  pochissimi cenni.  Come scienziato ( biologo, geologo, paleontologo) vedeva nella teoria dell’evoluzione una base ormai indiscutibile di ogni pensiero scientifico nel senso giusto: bisognava dunque legarla alla sua fede religiosa.

Il fine dell’evoluzione biologica è per lui l’apparizione della coscienza,  è quindi l’apparizione dell’uomo, è un accrescimento di coscienza nell’uomo, il progressivo “ominizzarsi” della creazione intera: cosicché, nella sfera della coscienza, l’evoluzione,  oggi appena agli inizi, prosegue il proprio corso.  L’incarnazione di Cristo perciò è avvenuta dall’inizio dei tempi; la Redenzione cominciata dal fondo degli abissi della materia che preparava la coscienza, non è compiuta ma si compie, inesorabile e infallibile, avanzante e ascendente, dentro la storia naturale del mondo con cui fa tutt’uno; essendo appunto il mondo, materia e spirito, il tramite attraverso il quale Cristo si compie.

Gli scritti di Padre Teilhard si prestano così ad una lettura  doppia.  Si può leggerli conservando,  come in lui, l’unità del sacro e del profano, per cui la storia naturale del mondo è anche una storia di Cristo; ed è la via scelta da Vigorelli, che li espone non separando mai una faccia dall’altra.  Si può leggerli anche in modo dissacrato, come se la parte cristica fosse soltanto un’inserzione del sacerdote e del credente. I nuclei principali del suo pensiero non variano. 

Morale è chi collabora a quella incessante creazione, l’uomo che dedica la vita “ad essere di più” e “aumentare la coscienza”, lo sforzo, la tensione, la scoperta, il rischio, qualunque forma assumano: nello scienziato che ricerca, nell’aviatore, nell’esploratore, nello scalatore.  Immorale è invece l’inerzia, il costituire se stesso in forza antievolutiva.  L’umanità non si divide tanto in cristiani e non cristiani, materialisti e spiritualisti, bensi, da una parte e dall’altra, in individui “agenti”, che sono sempre portatori di Cristo, e in individui renitenti, che sono i cascami e i rifiuti e ne restano estranei: in uomini che hanno speranza e in uomini che ne sono privi.

La fede nel progresso si rivaluta e si rilancia gettando lo sguardo, al di là della cronaca di oggi, nella profondità e nelle lente gestazioni del cosmo.    Così il benessere da solo, per esempio,  non fa che accrescere la noia, e la vittoria sul bisogno deve preparare un mondo unanimemente teso in uno sforzo per sapere e per essere e non più per avere. 

Altri punti essenziali sono l’amore per le cose e per il mondo fisico, veicoli dell’evoluzione; il rifiuto  dell’ascetismo e del “culto perverso” della sofferenza e della diminuzione; il rifiuto del pessimismo.  Se l’umanità continua a inventare e creare, ciò significa che profetizza un alto futuro a se stessa; senza di che, perso il gusto di vivere, cesserebbe di farlo.   Oggi essa è in uno stato di passaggio e di trasformazione, come non conobbe mai, il che le costa fatiche, dolori e sangue e persino, lasciando l’uomo vecchio per l’uomo nuovo, una disumanizzazione apparente.

Seguendo una legge biologica che si ripete dagli albori, ma adesso trasportata nella coscienza , gli individui convergono in organismi sempre più complessi e unitari;   verso una “personalizzazione” , in quanto  essi diventano sempre più “mente” e  “coscienza” , e verso una “collettivizzazione” e “socializzazione” crescenti, che è nostro obbligo realizzare “volontariamente e ardentemente” in obbedienza all’impulso dell’evoluzione.  Si disegna un’umanità in cui,  la coscienza imperando, ogni cervello sarà come “una cellula di un cervello solo”. 

Se questo avviene attraverso la coercizione, è irreale, non effettivo, o almeno transitorio; reale diverrà raggiungendo “ l’unanimità biologica”, una specie d’uomo unico di cui saremo tutti le coscienti molecole, in quella che Padre Teilhard chiama la “planetizzazione” della coscienza umana.

L’accentuarsi dei contrasti di cui soffrì, negli ultimi anni della sua vita, si deve probabilmente alla previsione che, tra materialisti e spiritualisti,  si sta preparando una sintesi; e al dialogo che egli aprì con il pensiero marxista.  I marxisti e i veri cattolici per lui salgono alla stessa cima, dove si incontreranno, da versanti opposti,  entrambi credenti nell’evoluzione e agenti nel suo senso; anche se,come religioso,  ritiene che i secondi raccoglieranno i primi.  Per lui il neo-umanesimo marxista non è veramente ateo, in quanto, puntando al futuro “implica un elemento di adorazione”;  e dall’altra parte sono invece essenzialmente atei quei cristiani che, separandosi dal movimento del mondo, pensando  a Dio  come estrinseco al mondo, tradiscono e ritardano questo processo di trasformazione totale in coscienza e unità.

Sono due o tre indicazioni su un pensiero complesso, ricco di sfumature, la cui conoscenza e influenza sono oggi in rapida crescita anche tra i laici.  Rimando al libro chi vuole saperne di più.  Sempre presente in Padre Teilhard è l’esperienza che,  sotto ogni progresso politico, sociale, economico vi è un’evoluzione biologica che lo convalida; così che l’azione politica vi si inserisce,  lo trasforma in attività volontaria, ma non potrebbe farne a meno.

Per mostrarlo si vale anche dell’esperienza interna.  L’uomo di oggi con il suo senso congenito di vivere in una immensità temporale e spaziale  dentro “sviluppi irresistibili nascosti nelle più grandi lentezze”, non è lo stesso e non si sente lo stesso dell’uomo del passato.  Quando dice “io”,  anche senza pensarci, non dice più la stessa cosa di un’uomo del passato; è un “io” più aperto e ampio, più indeterminato e indefinito, “inglobato in prolungamenti immensi”.  Un certo attaccamento accanito alla proprietà è in declino anche biologico, a qualunque tendenza politica si appartenga.

Nella sua polemica contro il pessimismo e l’antifede nel progresso umano, tutto fisso nelle sue speranze  forse padre Teilhard raggiunge i suoi vertici anche poetici nel cantare quelle speranze più che nel dire quanto esse ci costano.  Un certo panorama d’oggi,  il raffreddarsi  e indurirsi degli animi,  il delirio delle ambizioni antagoniste, prive di convinzione interna, l’illividirsi della vita, l’indifferenza, la tristezza, il rarefarsi della gioia, sono presenti nelle pagine di Padre Teilhard, sempre però come rovescio della sua fede, come uno scotto da pagare ai grandi distacchi, in un periodo doloroso ma con esito certo della nostra trasformazione da uomini “neolitici”  e individualisti in uomini partecipanti alla “morale  cosmogenica”.

La sua fede travolge i mali di una visione, alla quale concorrono la lucidità del pensiero, ma anche lo sforzo costante della volontà che esige da se<stessa di essere dalla parte buona.  Il suo insegnamento maggiore (come emerge dal lbro, bello  e utile, di Giancarlo Vigorelli, al quale mi sono tenuto nella mia esposizione) è che  primo dovere per un uomo moderno, è la tensione, è la spinta dell’intelligenza , che è sempre buona per sé.

 

GUIDO PIOVENE

(da La Stampa, 6 marzo 1963)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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Post N° 106

Post n°106 pubblicato il 15 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera

 Un  libro su Teilhard de Chardin vince un premio letterario   

 Nel 1963 il Premio Letterario Internazionale Isola d’Elba fu assegnato ad    un’opera che parlava del pensiero di uno scienziato, filosofo, teologo che aveva suscitando un notevole interesse anche in un pubblico, cattolico e non cattolico, non specialistico.

Vincitore: “Introduzione a Teilhard de Chardin” di Norbert Maximilian Wildiers

Motivazione:
Tenendo presente lo spirito che animò la fondazione del Premio, la giuria ha rilevato un motivo di particolarissima attualità culturale in numerose opere su Teilhard de Chardin, pubblicate quest'anno in Italia, quasi per un improvviso, quanto giustificato fiorire di interessi, attorno ad una figura e ad un pensiero che indubbiamente sono situati nel vivo dell'esperienza contemporanea. Convinta della necessità di sottrarre Teilhard alle sollecitazioni polemiche, nonché alle sollecitazioni già registrabili della “moda”, che finiscono per deformare le sue più profonde intuizioni e tradire il senso autentico della testimonianza, la giuria ha ritenuto di dover portare la propria attenzione su “Introduzione a Teilhard de Chardin” e il discorso non deve rimanere monopolio di specialisti ma, nelle sue aperture verso il futuro, chiede soprattutto di venir largamente diffuso fra il pubblico. La giuria ha quindi deciso all'unanimità di assegnare il Premio Isola d'Elba 1963 al libro del Wildiers e ritiene di aver dato così un preciso suggerimento di riflessione e di lavoro: con l'auspicio che anche in Italia i grandi temi legati al destino dell'uomo, in un mondo che registra rapidissime trasformazioni - in particolare, il rapporto fra sviluppo scientifico ed esigenza religiosa - possano venire dibattuti e approfonditi con meno episodica e più consapevole partecipazione

 
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Post N° 110

Post n°110 pubblicato il 16 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera

 Dicono di Lui...

Nell’anniversario della sua ordinazione sacerdotale Papa Giovanni Paolo II scrisse una bellissima rievocazione della sua missione sacerdotale. Sul problema dell’Eucaristia, pur non facendo il nome di Teilhard de Chardin, il Papa scrisse queste bellissime parole che sembrano uscite dalla penna del gesuita che amava il Mondo e Dio in ogni angolo del suo vagabondare alla ricerca delle radici dell’Umanità e in ogni momento della sua vita umana e spirituale.

«Quando penso all’Eucaristia, guardando alla mia vita di sacerdote, di Vescovo, di Successore di Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti e i tanti luoghi in cui mi è stato concesso di celebrarla. Ricordo la chiesa parrocchiale di Niegowić, dove svolsi il mio primo incarico pastorale, la collegiata di San Floriano a Cracovia, la cattedrale del Wawel, la Basilica di San Pietro e le tante basiliche e chiese di Roma e del mondo intero. Ho potuto celebrare la Santa Messa in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde dei laghi, sulle rive del mare; l’ho celebrata su altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città… Questo scenario così variegato delle mie celebrazioni eucaristiche me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire tutto il creato, in un supremo atto di lode, a colui che lo ha fatto dal nulla. E così lui, il sommo ed eterno Sacerdote, entrando mediante il sangue della sua croce nel santuario eterno, restituisce al Creatore e Padre tutta la creazione redenta. Lo fa mediante il ministero sacerdotale della Chiesa, a gloria della Trinità Santissima. Davvero è questo il mysterium fidei che si realizza nell’Eucaristia: il mondo uscito dalle mani di Dio creatore torna a lui redento da Cristo» (De Eucharistia 8).

Papa Giovanni Paolo II

 

 

 
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Post N° 112

Post n°112 pubblicato il 16 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera

Pierre Teilhard de Chardin s.j.

IL FENOMENO CRISTIANO: EPILOGO DEL FENOMENO UMANO 

1. Essenza del credo cristiano

A coloro che lo conoscono solo dall'esterno, il cristianesimo appare come una selva talmente folta da scoraggiare chi volesse addentrarvisi. In realtà, considerato nelle sue linee principali, esso contiene una soluzione del mondo estremamente semplice e di una sorprendente arditezza. 

Al centro s'impone l'affermazione intransigente di un Dio personale, in modo così apparente da sconcertarci: Dio-Provvidenza, che guida l'universo con sollecitudine, e Dio-Rivelatore, che si comunica all'uomo sul piano ed attraverso le vie dell'intelligenza. Non mi sarà difficile, dopo tutto ciò che ha detto, far sentire tra breve il valore e l'attualità di questo personalismo tenace, considerato ancora, non molto tempo fa, come superato e condannato. Ciò che importa qui è di sottolineare come tale atteggiamento faccia posto e si unisca senza sforzo, nel cuore dei fedeli, a quanto vi è di grande e di sano nell'Universale.

Considerato nella sua fase giudaica, il cristianesimo ha potuto ritenersi religione particolare di un popolo. Più tardi, sottoposto alle condizioni generali della conoscenza umana, ha potuto immaginarsi il mondo circostante assai più piccolo di quanto non fosse. Per lo meno, appena costituito, ha sempre tentato di inglobare nelle sue costruzioni e nelle sue conquiste la totalità del sistema che riusciva a rappresentarsi.

Personalismo ed universalismo. Sotto quale forma queste due caratteristiche hanno trovato il mezzo di unirsi nella sua teologia?

Per ragioni di praticità, e forse anche per timidezza intellettuale, la Città di Dio è troppo sovente descritta, nei libri di spiritualità, in termini convenzionali e puramente morali. Dio e il mondo che Egli governa: una vasta associazione di essenza giuridica concepita sul modello di una famiglia o di un governo. Ben altra è la prospettiva di fondo alla quale si alimenta e dalla quale scaturisce sin dalle origini la linfa cristiana. Per un falso evangelismo, si crede spesso di onorare il cristianesimo riducendolo ad una qualche dolce filantropia. Significa capir nulla dei suoi “misteri” non vedervi la più realistica e la più cosmica delle fedi e delle speranze. Una grande famiglia, il regno di Dio? Sì, in un certo senso. Ma anche, in un altro senso, una prodigiosa operazione biologica, quella dell'Incarnazione redentrice.

Creare, completare e purificare il mondo, come già leggiamo negli scritti di Paolo e di Giovanni, ha per Dio il significato di unificarlo unendolo organicamente a sé. Ora, come procede per unificarlo? Si immerge parzialmente nelle cose, si fa “elemento” e, successivamente, grazie al punto di appoggio trovato interiormente nel cuore della materia, assume la direzione e si mette alla testa di ciò che noi, ora, chiamiamo l'evoluzione. Principio di universale vitalità, il Cristo, per il fatto di essere sorto uomo tra gli uomini, si è messo in posizione di poter piegare — e da sempre sta difatti piegando — sotto il suo dominio, epurandola, dirigendola e superanimandola, l'ascesa generale delle coscienze nella quale si è inserito. Mediante una perenne azione di comunione e di sublimazione, Egli si aggrega l'intero psichismo della terra. E allorché avrà in questo modo radunato tutto e trasformato tutto, raggiungerà in un gesto finale il Focolaio divino dal quale non è mai uscito, e si racchiuderà così su se stesso e sulla sua conquista. E allora, dice San Paolo «non ci sarà più che Dio, tutto in tutti». Forma superiore di “panteismo” [cfr. Col 3,11: ev pãsin Christós ; 1Cor 15,28: o Theòs tà pánta en pãsin ], in verità, senza traccia avvelenata di mescolanza né di annientamento. Attesa di perfetta unità, nella quale, per il fatto stesso della propria immersione, ogni elemento troverà, contemporaneamente all'universo, la sua consumazione.

L'universo che si compie in una sintesi di centri, in perfetta conformità con le leggi dell'unione. Dio, Centro di centri. In questa visione culmina il dogma cristiano. Ciò s'inquadra così esattamente e così bene con il Punto Omega che probabilmente non avrei mai osato prospettarne o formularne razionalmente l'ipotesi se, nella mia coscienza di credente, io non ne avessi trovato, non solo il modello speculativo, ma la realtà vivente.

2. Valore esistenziale

È relativamente facile costruire una teoria del mondo. Ma forzare artificialmente la nascita di una religione supera le possibilità individuali. Platone, Spinoza, Hegel hanno potuto sviluppare prospettive che gareggiano per ampiezza con quelle dell'Incarnazione. E tuttavia nessuna di queste metafisiche è riuscita a superare i limiti dell'ideologia. L'una dopo l'altra, forse sono state capaci di illuminare gli spiriti, ma senza riuscire mai a generare la vita. Ciò che, per il “naturalista”, costituisce la importanza e l'enigma del fenomeno cristiano, è il suo valore esistenziale e la sua realtà.

Il cristianesimo è una realtà in primo luogo per l'ampiezza spontanea del movimento che è riuscito a creare nell'umanità. Rivolgendosi a tutto l'uomo ed a tutte le classi di uomini, esso ha di colpo preso posto tra le correnti più vigorose e più feconde sinora registrate dalla storia della Noosfera. Sia che vi si aderisca, sia che ci si separi da lui, non si può far a meno di riconoscere da per tutto sulla terra moderna il suo segno ed il suo persistente influsso.

Valore quantitativo di vita, certamente, commisurato alla grandezza del suo raggio di azione. Ma soprattutto, devo aggiungere, valore qualitativo che si esprime, come nel caso di ogni progresso biologico, con la apparizione di uno stato di coscienza specificamente nuovo.

Ed io penso qui all'amore cristiano. L'amore cristiano: cosa incomprensibile per coloro che non lo hanno gustato. Che l'infinito e l'intangibile possano essere amabili; che il cuore umano possa battere per il prossimo con autentica carità: ecco un qualcosa che a molte persone che io conosco sembra semplicemente impossibile, e quasi mostruoso. E tuttavia come dubitare che, fondato o meno su un'illusione, un tale sentimento esista, e che sia persino anormalmente potente?

Basta registrare brutalmente i risultati che questo sentimento produce incessantemente attorno a noi. Non è forse un fatto positivo che, da venti secoli, migliaia di mistici hanno attinto dalla sua fiamma ardori talmente appassionati da lasciare di gran lunga dietro di sé, per intensità e purezza, gli slanci e le devozioni di un qualsiasi amore umano? Non è forse ben reale anche il fatto che, per averlo provato, altre migliaia di uomini e di donne rinunciano ogni giorno ad ogni altra ambizione e ad ogni altra gioia per poter abbandonarvisi laboriosamente sempre di più? E non è infine un fatto — e questo posso garantirlo io — che, se l'amore di Dio venisse a spegnersi nell'anima dei fedeli, l'enorme edificio di riti, di gerarchie e di dottrine che è rappresentato dalla Chiesa ricadrebbe istantaneamente nella polvere dalla quale è uscito?

Francamente, che su di una apprezzabile superficie della terra sia apparsa e si sia sviluppata una zona di pensiero nella quale un vero amore universale, non solo sia stato concepito e predicato, ma si sia rivelato psicologicamente possibile e praticamente operante: ecco per la scienza dell'uomo un fenomeno d'importanza capitale, tanto più capitale in quanto il movimento, anziché rallentarsi, sembra voler ancora aumentare in velocità ed in intensità.

3. Capacità di sviluppo

Per la quasi totalità delle vecchie religioni, il rinnovamento delle prospettive cosmiche che caratterizza lo “spirito moderno” ha segnato una crisi dalla quale è possibile prevedere che se ancora non sono morte, più non si risolleveranno. Strettamente legate a miti insostenibili o bloccate da un mistica basata sul pessimismo o sulla passività, sono nell'impossibilità di adattarsi alle immensità precise e alle esigenze costruttive dello spazio-tempo. Esse non rispondono più alle condizioni della nostra scienza e della nostra azione.

Ora, sotto l'urto che faceva rapidamente sparire le religioni rivali, il cristianesimo, che si sarebbe potuto credere, a prima vista, esso pure in pericolo, mostra invece tutti i segni di un rimbalzo in avanti. Infatti, per il fatto stesso delle dimensioni assunte, per i nostri occhi, dall'universo, esso si rivela nel medesimo tempo più vigoroso in se stesso e più necessario al mondo di quanto lo sia stato mai.

Più vigoroso. Per vivere e per svilupparsi, le prospettive cristiane hanno bisogno di un'atmosfera di grandezza e di collegamento. Più il mondo sarà vasto, più le sue connessioni interiori saranno organiche, e più trionferanno le prospettive dell'Incarnazione. Ecco proprio ciò che i credenti, non senza sorpresa, cominciano a scoprire. Il cristiano, spaventato, per un istante, dall'evoluzione, si accorge ora che quest'ultima gli offre semplicemente un mezzo magnifico per sentirsi maggiormente posseduto da Dio e per darsi più intensamente a Lui. In una natura la cui essenza appariva pluralistica e statica, il dominio universale del Cristo poteva ancora, a rigore, confondersi con un potere estrinseco e sovrimposto. Quale urgenza, quale intensità l'energia cristica assume invece in un mondo spiritualmente convergente? Se il mondo è convergente, e se il Cristo ne occupa il centro, la cristogenesi di San Paolo e di San Giovanni è null'altro e nulla di meno del prolungamento, ad un tempo atteso e insperato, della noogenesi, nella quale, seconda la nostra esperienza, culmina la cosmogenesi. Il Cristo si ammanta organicamente nella maestà della sua creazione. E, per questo motivo, l'uomo si rivela, senza metafora, capace di subire e di scoprire il suo Dio mediante tutta la lunghezza, tutto lo spessore, tutta la profondità del mondo in movimento.

Poter dire letteralmente a Dio che lo si ama, non soltanto con tutto il corpo, con tutto il cuore, con tutta l'anima, ma con tutto l'universo in via di unificazione, ecco una preghiera che si può fare solamente nello spazio-tempo.

Più necessario. Dire che, malgrado tutte le apparenze contrarie, il cristianesimo si acclimata e si sviluppa in un mondo prodigiosamente ampliato dalla scienza, significherebbe vedere soltanto la metà del fenomeno. L'evoluzione infonde in qualche modo un sangue nuovo alle prospettive e alle aspirazioni cristiane. Ma, in compenso, la fede cristiana non è forse destinata — anzi non sta preparandosi — a salvare o addirittura a sostituire la evoluzione?

Ho tentato di dimostrare che non possiamo attenderci alcun progresso sulla terra senza il primato ed il trionfo del Personale sulla vetta dello spirito. Ora, al momento attuale, sulla superficie intera della Noosfera, il cristianesimo rappresenta l'unica corrente di pensiero abbastanza audace e abbastanza progressiva per abbracciare praticamente ed efficacemente il mondo in un gesto completo e indefinitamente perfettibile, in cui la fede e la speranza si consumano in una carità. Solo, assolutamente solo sulla terra moderna, si mostra capace di sintetizzare, in un unico atto vitale, il Tutto e la Persona. Solo , esso può indurci, non soltanto a servire, ma ad amare il formidabile movimento che ci trascina.

Cosa significa tutto questo se non che il cristianesimo adempie tutte le condizioni che abbiamo il diritto di attenderci da un religione dell'avvenire e che pertanto, attraverso il cristianesimo passa ormai, realmente, come esso pretende, l'asse principale dell'evoluzione?

Ed ora riassumiamo la situazione.

1. Considerato obiettivamente, a titolo di fenomeno, il movimento cristiano, per le sue radici che affondano nel passato e per i suoi incessanti sviluppi, presenta tutte le caratteristiche di un phylum.

2. Inserito in un'evoluzione interpretata come una ascesa di coscienza, questo phylum , orientato com'è verso una sintesi basata sull'amore, progredisce esattamente nella direzione ipotizzata per la freccia della biogenesi.

3. Nello slancio che guida e sorregge la sua marcia in avanti, questa freccia ascendente implica essenzialmente la coscienza di trovarsi sin d'ora in relazione con un Polo spirituale e trascendente di convergenza universale.

Non è forse esattamente la controprova che ci attendevamo per confermare la presenza, in cima al mondo, di ciò che abbiamo chiamato Punto Omega? O per lo meno, formula più esatta, «per confermare la presenza, in cima al mondo, di un qualche cosa di ancora più elevato, nella linea del Punto Omega». Questo per rispettare la tesi teologica del “soprannaturale”, tesi secondo la quale il contatto unificatore abbozzato hic et nunc tra Dio e il mondo raggiunge una superintimità e pertanto una supergratuità alla quale l'uomo non poteva pensare né pretendere in virtù delle sole esigenze della sua “natura”.

Il raggio di sole che penetra le nubi? La riflessione di ciò che è già in alto su ciò che sta ascendendo? La rottura della nostra solitudine? L'influenza percettibile nel nostro mondo di un altro e supremo Qualcuno?… Il fenomeno cristiano che sorge nel cuore del fenomeno sociale non sarebbe forse esattamente questo?…

Di fronte ad una così perfetta coincidenza, anche se non fossi cristiano ma soltanto uomo di scienza, credo che io mi porrei la domanda.

 PIERRE TEILHARD DE CHARDIN s.j.

Pechino, giugno 1938 - giugno 1940

 ( Questo testo è il capitolo finale  dell'opera teilhardiana, Il Fenomeno Umano.

( tratto da  Il fenomeno umano , tr. it. di Ferdinando Ormea, Il Saggiatore, Milano 1968, pp. 397-406).

 
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Ricordo di Teilhard de Chardin

Post n°114 pubblicato il 24 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera

Caro Direttore, a giorni, il l0 di aprile, ricorreranno i cinquant’anni dalla morte di Pierre Teilhard de Chardin, morte avvenuta a New York il giorno di Pasqua. Specie chi ha una certa età si ricorda certamente di questa eminente figura di scienziato-teologo: le sue opere apparvero in Italia alla fine degli Anni Sessanta, oltre dieci anni dopo la sua scomparsa. Crearono movimento, fermento, contestazione, riserve, cautele. Era l’epoca immediatamente successiva alla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II : ricchissima di aperture e di speranze, ma anche di sospetti e di paure. Recepire non “un” ragionamento, ma “il” ragionamento del gesuita Pierre non era del resto semplice: il concetto di evoluzione era forse ancora troppo ostico per il Magistero (come lo fu per secoli, in altro tempo e con diverse proporzioni, il concetto di eliocentrismo, nel “caso-Galilei”). Era difficile concentrare l’attenzione sulla direzione di marcia verso cui l’evoluzione portava per Teilhard: la convergenza dell’Umanità in Cristo-Omega. Ancora oggi, secondo il parere dei suoi più accreditati studiosi, il “caso- Teilhard” non è stato completamente spiegato e risolto. Eppure, concentrandosi, per esempio, sul Teilhard sacerdote e sulla sua ricerca teologica, può risultare meno difficile “situare” il senso del fenomeno evolutivo da lui indagato. Giovanni Paolo II ha fornito il proprio autorevole apporto in tal senso: nel discorso del 22 ottobre 1996 alla Pontificia Accademia delle Scienze disse che “…nuove conoscenze conducono a riconoscere nelle teoria dell’evoluzione più che un’ipotesi”. Due anni dopo, tra parentesi, lo stesso Pontefice emanò l’enciclica “Fides et Ratio” sui rapporti tra fede e ragione. Di questa eterna problematica fu anticipatrice la soluzione dì Padre Pierre che sublimò nel concetto di “verità” l’indispensabile apporto e della fede e della ragione. Dal suo originalissimo angolo di visuale, Teilhard osserva la dinamica complessa della materia: essa si organizza e si muove come se fosse provvista al proprio interno di una forza “psichica”. L’unico limite superiore alla complessità (categoria che rappresenta una sua straordinaria intuizione) è l'Assoluto, concepito come Trinità, verso cui marcia, per successive complessificazioni, l’umanità. Per chiarimenti successivi, si perviene ad una visione cosmica di cui resterà, alla fine, il meraviglioso abbraccio tra la ragione umana e l’Incarnazione di Cristo. Oggi diciamo, ricorrendo la Pasqua, di Cristo Risorto. Ci resta molto umile lavoro da fare nei confronti di Padre Pierre: culturale, scientifico, teologico ed anche di approfondimento spirituale. A quest’ultimo proposito, traggo da “La vita cosmica” (Il Saggiatote, Milano 1971) il seguente suo pensiero: “Immersione nel mondo per Gesù, emersione dal mondo in Gesù: tutte le gradazioni della santità sono incluse nei ritmi infiniti di questa doppia respirazione, grazie alla quale l’anima, volta per volta, si arricchisce con il possesso delle Cose e successivamente le sublima in Dio”.
L’attuale ricorrenza e l’attuale papato possono portarci, nell’infaticabile ricerca della verità-tutta--intera, a nuove conquiste e, forse, a nuove, più avanzate sintonie con questo sacerdote che -come disse p. Pedro Arrupe, allora a capo della Compagnia di Gesù- fu “fedele ed obbediente”.

Renato Omacini

dal sito www.gvonline.it

4 maggio 2005


 
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L'importanza delle minime cose

Post n°115 pubblicato il 24 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera


 In una bella  omelia  tenuta in occasione della Festa della Natività  della B.V.M.  celebrata a Todi nel settembre 2008 il Cardinale Ennio Antonelli ha avuto un pensiero per Padre Pierre Teilhard de Chardin s.j.  Ho estrapolato questa breve riflessione e ve la ripropongo.

 ….E come si fa a diventare santi? Come si fa a realizzare, ad accogliere veramente questa chiamata, a rispondere di sì? Si fa dando importanza a tutte le cose, perché ce l'hanno. Se tutto è dono, se tutto è un'opportunità di bene che ci viene offerta, cerchiamo di capirla, di prenderla per il verso giusto e di impegnarci a viverla nel modo migliore possibile. Se noi facciamo così, diventiamo santi, anche se non facciamo miracoli, perché quelli sono fenomeni particolari, alcuni doni speciali, ma la santità è la misura alta della vita cristiana ordinaria; si può vivere in modo straordinario la vita più ordinaria, più comune di tutte.  Dice San Paolo: "Sia che mangiate, sia che beviate - le cose più normali, di tutti i giorni -, qualunque cosa facciate, fatela nel nome del Signore nostro Gesù"; se voi lo fate in unione con Cristo, voi vi santificate. E vi leggo un bellissimo pensiero di un grande teologo, anche se è stato molto discusso a suo tempo, ma certamente un grande uomo di fede, Teilhard de Chardin, che si esprime così riguardo all'importanza anche delle minime cose: "Dio non è lontano da noi, fuori della sfera tangibile" – qualunque cosa io tocco, lì c'è anche Dio, tutte le cose sono in Dio e Dio è in ogni cosa. “Dio non è lontano da noi, fuori della sfera tangibile, ma ci aspetta ad ogni istante, nell'azione, nell'opera del momento. In qualche maniera è sulla punta della mia penna,” - ecco, Dio sta sulla punta della mia penna se io sto scrivendo – “del mio piccone,” se sono un operaio che sta picconando, “del mio pennello,” se sono un pittore che sta dipingendo, “del mio ago,” se sono una donna che sta rammendando qualcosa, “del mio cuore, del mio pensiero. È portando sino all'ultima perfezione il tratto,” cioè il tratto del pennello, “il colpo,” il colpo del piccone , “il punto,” il punto dell'ago, “facendo tutto questo nel modo migliore possibile”, con i sentimenti giusti, gli atteggiamenti giusti, e anche obiettivamente facendo bene le cose, come è stato fatto bene questo Tempio della Consolazione, facendo tutto nel modo migliore possibile, portandolo all'ultima perfezione, “è in questo modo che coglierò la meta, la meta ultima cui tende il mio volere profondo”. Ecco, allora, questa si chiama la spiritualità dell'attimo presente; ogni attimo è prezioso. Vivere la spiritualità dell'attimo presente. Quando io ero ragazzo qui a Todi, mi confessavo da un Padre Cappuccino che si chiamava Padre Pacifico, e spesso alla fine della confessione mi ripeteva: "Age quod agis", “Fa' quello che stai facendo”, cioè fai bene quello che stai facendo. Certo lui non aveva letto Teilhard de Chardin, però questa è la spiritualità cristiana; non occorre fare grandi cose, occorre far bene quello che stiamo facendo. Ecco, allora, concludiamo: la vita è vocazione, tutto è dono, tutto è possibilità di bene, e noi dobbiamo rispondere “sì” nelle grandi scelte, nei grandi orientamenti della vita e anche nelle piccole, piccolissime scelte di ogni giorno, cercando di fare le cose nel modo migliore possibile.  "Tutto quello che fate - dice San Paolo - in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre".

+  Antonelli cardinale Ennio

 

 

 

 

 

 

 
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Post N° 116

Post n°116 pubblicato il 24 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera
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TEILHARD DE CHARDIN: IL TEOLOGO DELL’ARMONIA TRA SCIENZA E FEDE

 

INDAGO’ SUL PERCHE’ DELL’UMANA       RICERCA

 

Aveva più volte espresso il desiderio di morire il giorno di pasqua (ma amava moltissimo anche l’Ascensione) e fu accontentato.  Pierre Teilhard de Chardin si spegneva a New York il 10 aprile 1955 a settantaquattro anni, la mattina di Pasqua.  La luce della Resurrezione di Cristo illumina con singolare efficacia la sua opera, tutta tesa a cercare l’unità profonda che lega la  creazione al Creatore e ad affermare la centralità di Cristo.  Per lui l’universo di cui noi celebriamo la la grandezza e la ricchezza non esiste al di fuori di Cristo;  esso è organicamente legato a Cristo nel senso che tutto è stato creato per Lui e in Lui  trova il suo compimento.  Per lui, secondo una bella sintesi di Etienne Borne, “per trovare il divino non bisogna aggirare il cosmo, ma attraversarlo”.

Il pensiero e le opere di Teilhard sono stati conosciuti soprattutto dopo la sua morte, poiché furono per lungo tempo sospettati di non essere dottrinalmente corretti.  Ma nell’arco di tempo che va da venticinque anni fa, a dieci anni fa molti lo ricorderanno, si sviluppò in tutto il mondo, ed anche nel nostro Paese, una fioritura incredibile di pubblicazioni del Padre e su di lui  Ci fu un’esplosione di entusiasmo.  Per molti il pensiero del gesuita fu la rivelazione della possibile armonia tra scienza, filosofia e fede, tra speranze umane e certezza cristiana.

Vi era, in tutto ciò qualcosa di affrettato ed acritico e la stessa Congregazione della dottrina della Fede, che allora si chiamava Sant’Uffizio, intervenne il 30 giugno 1962 con un “monitum” col quale si metteva in guardia contro le pericolose “ambiguità” del pensiero teilhardiano. 

Ma la stagione della scoperta di Teilhard portò anche alla realizzazione di opere eccellenti ( basti pensare a quella di padre De Lubac “Il pensiero religioso di padre TdC”) , e destò interesse e riflessioni serie e profonde tra cristiani, contribuendo anche ad avvicinare alla fede dei non credenti.  C’era, tra l’altro, una formidabile carica apologetica, nel pensiero di Teilhard, e quasi un filo diretto con certi temi patristici e della grande tradizione mistica.  Non c’è dubbio , come scrisse padre  Arrupe, il Generale dei Gesuiti e come confermò indirettamente lo stesso Paolo VI citando più di una volta il “gesuita proibito nei suoi discorsi, che “nell’opera di padre Teilhard gli elementi positivi sono di gran lunga più  numerosi degli elementi negativi e degli elementi che si prestano a discussione.  La sua visione del mondo esercita un influsso assai benefico negli ambienti scientifici cristiani e non cristiani.  Il Padre teilhard ha compiuto un grandioso tentativo di riconciliare il mondo della scienza con quello della fede;  la  profondità spirituale di Padre Teilhard si radica nella sua vita religiosa, quale egli ha vissuto alla scuola di S.Ignazio.  Il suo tentativo è pienamente nella linea dell’apostolato della Compagnia   ; mostrare come tutti i valori creati trovano in Cristo la sintesi totale e collaborano alla gloria di Dio.

Certo: noi oggi,  ricordando Teilhard venticinque anni dopo la sua morte, dobbiamo riconoscere che la sua attualità sembra meno evidente.  Molti lo ignorano, altri lo considerano l’espressione di una stagione superata, se non un fuoco di paglia.  Sono giudizi in comprensivi e superficiali. Conviene riflettere.  Assai più che un certo sospetto ufficiale da cui è stato per un po’ circondato, Teilhard paga oggi lo scotto che viene dalla caduta delle speranze.  La sua visione, fondamentalmente ottimistica, positiva, volta al futuro  sembra bruciata da questa stagione terribile in cui viviamo, la quale ha anche un riflesso nell’approccio  psicologico e culturale ai problemi della fede.

 

PAURA DEL FUTURO E DEL COSMO

Si  badi bene: ancor prima della “gelata” della violenza, della cattiva coscienza ecologica, dello sviluppo inceppato,  della diffusione del sospetto e della disillusione, prima ancora la cultura e la spiritualità teilhardiana avevano risentito,  dieci anni fa,  della stagione in cui si pensò 8da parte dei più giovani, spesso anche dei più generosi) che “tutto è politica” e che,  cosa assai più insidiosa, “bisogna ripartire da zero”.  Ciò colpiva l’intuizione fondamentale di Teilhard, che risale a Ireneo, secondo cui il mondo matura attraverso la storia.  Era l’idea, come scrive Von Balthasar parlando di De Lubac, “che nella misura in cui Dio in Gesù Cristo è entrato nel movimento della storia, questa riceve un senso nel suo flusso temporale”.

In questi anni a noi può sembrare che quella fiducia  sia priva di fondamento.   Noi abbiamo presente che lo sviluppo delle scienze potrebbe concludersi con una catastrofe immensa;  abbiamo paura del futuro e del cosmo.  L’idea di “evoluzione” ci fa pensare semmai a mostri disumani, e non certo allo sbocciare di più alti  livelli di vita.  Ma proprio perciò,  con meditata riflessione e responsabile prudenza ,  sembra a noi opportuno riproporre oggi il messaggio di Pierre Teilhard de Chardin.

La nostra incertezza, il nostro scoraggiamento, il nostro pessimismo non sono virtù.  Tanto meno virtù cristiane.  Dobbiamo essere sfidati e confrontarci seriamente con l’ottimismo cristiano di un uomo che pure ha avuto una vita difficile e faticosa;  che non ha ignorato le tragedie dell’uomo e i gemiti della creazione, ma che pure, in una “linea teologica paolina”  si è sforzato di disegnare un ponte tra cielo e terra, un filo tra tempo ed eternità, una certa continuità tra lo sforzo di migliaia  di millenni e il dono di Cristo.  “La grandezza di Teilhard – ha scritto Cuenot -  e di aver risposto, in questo mondo destinato alla nevrastenia, all’angoscia contemporanea e di aver riconciliato l’uomo col cosmo e con se stesso.

 

NELL’UNIVERSO E’ IMPRESSA L’ORMA DI DIO

Il pensiero di questo grande scienziato e grande mistico non può certamente essere preso come un “sistema”, certo e definitivo.

Questa “riconciliazione” non è una strada facile.  Ma è necessaria se ripensa a quale sottovalutazione e ignoranza (o “concordiamo” cortigiano)  ci sia, fra  i credenti, a proposito della realtà della scienza, del suo valore, del suo fascino, del suo spessore di verità, della sua implicazione etica.

Dalla contemplazione disinteressata degli spazi celesti alle scienze del passato, dalla cibernetica alla fisica delle particelle ci sono mille volti dell’universo in ciascuno dei quali è certamente impressa l’orma di Dio e il leggerla veramente 8 e non farvi sopra della facile letteratura) è opera grande, degna di una fede e di una intelligenza profonde.

Nonostante tutte le disillusioni e le paure di questi nostri anni è necessario riprendere quella fiducia che aiuta ad esercitare con eroismo le virtù della intelligenza e della creatività della fede;  e il Padre Teilhard de Chardin è certamente un precursore, se non un maestro, in un tale impegno, caratteristico di creature che vogliono essere degne del  loro Creatore.

 

ANGELO BERTANI

Da AVVENIRE 10 aprile 1980, pag. 3

 

 

 
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Post N° 117

Post n°117 pubblicato il 29 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera
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TEILHARD DE CHARDIN: VERSO COLUI CHE VIENE

Teilhard de Chardin fu un uomo che visse una esperienza spirituale nella quale la sua fede soprannaturale in Dio e nel Cristo si conciliò con le sue convinzioni scientifiche. Che Pierre Teilhard de Chardin sia stato un “mistico” è un fatto che nessuno discute. Così viene riconosciuto, addirittura dai suoi avversari più intelligenti. Il caso più evidente è quello di Jacques Maritain che ne Le paysan de la Garonne accusò Teilhard di avere concettualizzato male, con la disgraziata idea di evoluzione, l'esperienza poetica e mistica del valore sacro dell'universo, diventando così, in terra di cristiani, il principale rappresentante di ciò che lui chiama "la grande favola" e "la falsa moneta' intellettuale. In altre parole, per il vecchio lottatore tomista, Teilhard fu indiscutibilmente un mistico, ma talvolta per lo stesso motivo, anche un pensatore inetto. All'estremo opposto, gli interpreti più favorevoli alla ricerca di Teilhard, riconoscendo il suo lato mistico, puntualizzano la sua condizione di buon pensatore e presentano il suo pensiero come un grande corpo dottrinale che si estende dialetticamente, dalla fenomenologia alla mistica. Prendiamo come esempio il saggio di Claude Cuénot, Ce que Teilhard a vraiment dit. L'autore si propone di ricostruirne l'architettura o, meglio ancora, confrontandosi con un pensiero dialettico, seguire il movimento profondo di un'opera sintetica e unitaria. Secondo questo movimento e, seguendo un piano abbozzato proprio da Teilhard nel Journal, il progetto teilhardiano comprenderebbe i seguenti quattro momenti: 1. una fisica: il fenomeno umano e il dispiegarsi della legge di complessità-coscienza. Per Teilhard, la filosofia è una storia pensata: la storia dell'universo strutturato intorno all'uomo; 2. una dialettica: il passaggio dal fenomeno-umano al punto Omega divino. Si tratta, non c'è bisogno di dirlo, di una dialettica esistenziale, basata sull'esigenza di senso che ha l'azione dell'uomo nel mondo e che culmina in una specie di difesa della verità cristiana. L'universo non può essere bicefalo e se la fede assegna al Cristo risorto la funzione di asse strutturale del mondo rinnovato, è a Lui che corrisponde pure "hic et nunc" la funzione di punto omega; 3. una metafisica dell'unione: creazione, incarnazione e redenzione si trasformano nelle tre facce di un mistero avvolgente: l'assunzione dell'universo in Dio; 4. una mistica, nella quale Dio non è raggiunto al margine delle cose, ma attraverso di esse, nello sforzo attivo e appassionato di integrarle, (l'unica eccezione è il peccato), nel nostro cammino verso di Lui. Il primato della mistica Cuénot ha innalzato la sua dottrina con materiali provenienti dalle opere di Teilhard. Nonostante ciò, la sua costruzione falsifica in qualche modo il proposito teilhardiano, almeno nella misura in cui ne raccoglie soltanto il lato logico, la ragione ragionata e il suo ordine esterno; e dimentica l'ordine interiore vivente, del cuore che batte e dell'anima che lo abita. Così, il discorso razionale precede la mistica e quest'ultima sboccia dal suo tronco come un bel fiore, quando di fatto succede esattamente il contrario: è la mistica che precede il discorso razionale; è la sua presenza latente che fonda il discorso e ne segna in qualche modo la traiettoria. In altre parole: lontano dall'essere il fiore più bello della dialettica, la mistica è la radice e la savia vivificante, in tal modo che il discorso razionale non è, in definitiva, se non l'armatura logico-riflessiva di un'esperienza spirituale. No, Teilhard de Chardin fu anzitutto un mistico e un mistico tra i migliori. Ciò non vuol dire che sia stato oggetto da parte di Dio di favori e manifestazioni straordinarie, ma solo che fu un uomo che ebbe una penetrante visione interiore, un cristiano che visse un'esperienza spirituale di grande qualità, nella quale la sua fede soprannaturale in Dio e in Cristo, ardente e viva sino alla sua morte, si dibatté e finalmente si riconciliò con la profonda convinzione che aveva come scienziato: il nostro mondo si trova in uno stato di evoluzione guidata o di genesi. L'idea di una creazione evolutiva e un nascente cristocentrismo cosmico sono il frutto più immediato di questa visione. Ma il suo nucleo centrale è costituito dall'esperienza dell'onnipresenza e pertanto, per chi sa guardare, della trasparenza di Dio e addirittura concretamente di Cristo in un universo che si trasforma in autentico "Ambiente divino". Tre linee di forza Teilhard de Chardin è dunque un mistico della santa Presenza. All'inizio del suo itinerario spirituale, nelle lettere che scrisse dal fronte a sua cugina Marguerite, egli stesso definisce il suo proposito "una specie di mistica che ci fa andare alla caccia di Dio, appassionatamente, nel cuore di ogni sostanza e di ogni azione". E' il modo in cui Teilhard fa suo il motto di Sant'Ignazio: "Cercare e trovare Dio in tutte le cose". Così come diventa anche suo, convenientemente modificato, il famoso "Principio e fondamento" degli Esercizi spirituali. Nel nostro Universo, ogni uomo è per Dio nel Nostro Signore Gesù Cristo e ogni realtà sensibile è, a sua volta, per l'uomo. Tutto è, dunque, attraverso di noi per Dio nel Nostro Signore Gesù Cristo. Come nella concezione di Sant'Ignazio le cose rimangono legate a Dio attraverso l'uomo. Teilhard accentua molto di più di Sant'Ignazio il riferimento della creazione, anche materiale, a Cristo e la corrispondente mediazione umana. Le cose sono, per Dio, in Gesu Cristo, attraverso l'uomo. Più che dalla prospettiva dell'uomo, Teilhard contempla le cose dalla prospettiva di Dio (come una realtà divinizzabile) e di Cristo, che la mediazione umana deve reintegrare al suo Centro divino. Dalla cima di questo "principio e fondamento” si aprono al nostro sguardo orizzonti amplissimi di vita spirituale. Teilhard fissa particolarmente la nostra attenzione nella direzione di ciò che il padre Lubac chiama tre linee di forza: la divinizzazione della vita quotidiana, la trasparenza di Dio nell'universo, l'attesa della parusia Scrive Teilhard in Le milieu divin: "in forza della creazione e ancor di più dell'incarnazione, niente è profano quaggiù per colui che sa guardare. Al contrario, tutto è sacro per chi sa cogliere in ogni creatura quella parcella dell'essere scelto sottomesso all'attrazione del Cristo in cammino di consumazione”. Si compie letteralmente il detto della scrittura: "Togliti le scarpe perché il luogo che pesti è terra sacra” (Es. 3, 5). Dio non è lontano da noi, ci aspetta in ciò che operiamo e in ciò che soffriamo. Mediante le creature e i fatti della vita, senza eccezione, ci assedia, ci penetra, ci modella. Si tratta dunque di lasciarci modellare dalle sue 'due" mani e di essere in comunione con Lui attraverso il mondo in ciò che facciamo, in ciò che riceviamo e in ciò che soffriamo, nell'azione e nella passione, nella crescita e nella diminuzione, nella vita e nella morte. A partire da questo atteggiamento spirituale, bisogna capire il gesto di Teilhard nella “messe sur le monde” (messa sul mondo), quando in mezzo alle immense solitudini del deserto del Ordos, non avendo né pane né vino per celebrare l'Eucarestia, offrirà al Signore, come Sacerdote della Creazione, 'il lavoro e la pena del mondo". La poesia sorge qui espressamente dalla vita. Allora, chiaramente, l'universo si illumina poco a poco, sino a trasformarsi in pura trasparenza divina. E' l'esperienza che ebbe Teilhard quando navigava nel golfo di Suez, mentre esplorava nell'orizzonte la cima rossiccia e la scarpata del Sinai. Lui avrebbe voluto avvicinarsi a quelle rocce nude per vedere se riusciva a percepire, come tempo prima Mosè, la voce di Colui che è. Ma egli capi che le cime ove Lui si trova non sono più le montagne inaccessibili, ma una sfera più profonda delle cose. “Il segreto dei mondo si trova in ogni luogo ove riusciamo a vedere l'universo trasparente". Perciò, senza disprezzare in alcun modo la verità e il valore insostituibili dell'epifania storica di Gesù, Teilhard metteva l'enfasi nella sua diafanità universale, per cui il Cristo risorto, rivestito dal mondo, illumina il fondo di ogni essere. Ecco una frase che Teilhard non si stancava mai di ripetere: "Si ama Cristo come una persona ed egli si impone come un mondo”. Ecco anche una preghiera che recitava frequentemente: "Vorrei che Gesù fosse per me il mondo vero!". La spiritualità di Teilhard trova il suo completamente naturale e necessario nell'attesa della parusia. Teilhard vide in questa attesa la funzione cristiana per eccellenza. Perciò, di fronte a qualche cristiano che, venti secoli dopo l'ascensione del Signore aveva perso la nostalgia impaziente del ritorno di Cristo, Teilhard cercò un mezzo umano per rinnovare il desiderio del grande avvenimento. E lo trovò nella percezione di una connessione più intima tra il trionfo di Cristo e la riuscita dell'opera che lo sforzo umano cerca di edificare sulla terra. Dalla sua prospettiva di convergenza tra la storia dell'universo e la storia della salvezza, Teilhard concepisce la realizzazione dei progresso autentico dell'umanità come una condizione previa, anche se insufficiente, della venuta del Regno di Dio. E perciò, con il fine di desiderare la parusia (avvenimento glorioso di Gesù Cristo alla fine dei tempi), basta lasciar battere nel nostro cuore lo stesso cuore della terra. più tardi, l'ultimo Teilhard rivedrà questa questione in funzione dei due assi che si contendono, secondo lui, il cuore dell'umanità contemporanea: un l'asse verso l'alto" e "un asse in avanti". In altre parole, il rapporto con la trascendenza, con il Dio che crea e che salva, e il rapporto con l'immanenza, con il mondo e il suo progresso umano. Questi due movimenti non sono così contrari come sembrano. Hanno bisogno l'uno dell'altro e in questo modo dimostrano che sono destinati a incontrarsi. Per poter andare "in avanti", occorre guardare anche "verso l'alto". Per potere invitare gli uomini a guardare verso l'alto occorre assumere il loro andare avanti. Questa è, secondo Teilhard, la grande opera della Chiesa nel mondo di oggi, opera della quale si sarebbe fatto eco nel Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes - incorporare l"'in avanti" umano nel "verso l'alto" cristiano, senza affondare quest'ultimo, ma al contrario elevando e soprannaturalizzando il primo. Il punto di convergenza dei due movimenti è ancora una volta Colui il quale Teilhard, quindici giorni prima di morire, invocava come il grande Cristo Risorto, il Cristo glorioso della parusia. Cristo sempre maggiore Con questa celebre espressione, che avrebbe scandalizzato più di uno, Teilhard non fa in fondo altro che applicare al Cristo glorioso il tema teologico del 'Deus semper maior'. Era da tanto che egli aveva percepito il pericolo che rappresentava, per molta gente, la 'rivelazione" contemporanea dell'universo uno e grande. Il problema non era artificiale, né fu lui l'unico a trattarlo. Uno spirito molto diverso dal suo, Reinhold Schneider portò dolorosamente, in carne viva, lo stesso interrogativo. Per Teilhard, la soluzione era cosa fatta: a misura di quanto il mondo cresce, deve crescere anche la nostra rappresentazione di Cristo. Così, invece di cercare nel cielo un astro diverso e maggiore di Cristo, a settantacinque anni, in una preghiera che diventa l'accordo finale della sua religiosità, esclamò semplicemente: “O Cristo, sempre maggiore!' "Me ne vado verso Colui che viene", scriveva Teilhard nel suo diario un mese prima di morire. In questa stessa epoca è datata la sua confidenza: "Vorrei morire il giorno di Pasqua", La mistica teilhardiana della santa Presenza, essenzialmente cristocentrica ed escatologica è la strutturazione dottrinale di que sto atteggiamento vitale: Teilhard de Chardin visse di fronte a Gesù Risorto. E' significativo che il Signore della vita e della morte venisse a cercarlo, così come lui aveva desiderato, un giorno luminoso di Pasqua.

di Eusebi Colomer

( Da: Itinerari ed esperienze di cristiani nel mondo operaio 13 ,gennaio-febbraio 1997, 1, 73-76

 
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Post N° 118

Post n°118 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera
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L’occhio sacramentale di

Teilhard de Chardin

 

“ Non c’è niente di profano sulla

Terra per coloro che sanno vedere”

Teilhard de Chardin

 

In ciò tutta la missione di Teilhard de Chardin, sacerdote e scienziato,  affidata alla sua produzione scritta per dischiuderci  il significato dell’Uomo  “attraverso e aldilà della frammentazione dell’esperienza immediata”, cui è sottoposto nel mondo in una prospettiva escatologica evolutiva.

“Per opera  della creazione, e soprattutto dell’incarnazione, niente è profano quaggiù per chi sa vedere”(Ambiente Divino), intendendo co ciò  quella convergenza di tutti gli esserei nella totalità dell’essere, data come sacra.

Il “saper vedere”  si colloca, e non potrebbe essere diversamente,  sul piano della fede.  Teilhard rifuta la dicotomia sacro-profano poiché il sacro rappresenta per lui la dimensione più profonda di ciò che ad unio sguardo superficiale potrebbe sembrare profano.

Proprio perché il corpo non può essere dissociato dall’azione salvifica di Dio, essere cristiano non dire essere meno secolare; infatti è la mediazione fisica tra Cristo e il mondo materiale che da valore al n al mondo materiale; e proprio la mediazione fisica di Lui che dà senso allo sforzo umano di costruzione del mondo che…si consumerà in Dio-Omega.

“L’intera economia…”scrive Teilhard de Chardin,  “dogmatica e sacramentale della Chiesa ci insegna a rispettare e a valorizzare la materia.  Cristo ha dovuto assumere carne reale; la santifica con un contatto speciale e ne prepara la resurrezione fisica…Perché assimilata nel corpo di Cristo, qualcosa della materia è destinata a passare nelle fondamenta e nelle mura della celeste Gerusalemme” (La Vita Cosmica, 1916).

L’invito di Teilhard, dunque, è quello di sperimentare Dio nel mondo secolare, inb modo nuovo, moderno, al di là di ogni dualismo di stampo manicheo, ma sempre e senza mai prescindere dall’incontro con lui nel segreto del cuore, nelle profondità dell’anima, per conoscerlo e e poterlo riconoscere di conseguenza in quel che il creatore vorrà manifestarsi prima nel suo cuore, e poi negli eventi della vita e nella natura trasfigurata dalla sua azione redentrice.  Tutto allora diventa occasione di consacrazione al mondo per realizzare il senso pieno dell’ Incarnazione.

Conoscere il mondo materiale significa valorizzarlo “ per scoprire cosa c’è di divino e di predestinato  nella materia stessa del nostro cosmo, della nostra umanità, del nostro progresso” (Lettera del 15 marzo 1916); e ancora: “Il  soprannaturale è un fermento, non un organismo completo e terminato: il suo ruolo è quello di trasformare, ma non indipendentemente dalla materia di cui la natura è costituita” (Ambiente Dvino)

“La bellezza dei colori e delle scene mi commuovono fino alle lacrime”, scriveva dalla Cina. 

“Ciò che amo è nascosto…Anche quando sono intento alla geologia il mio interesse se ne va altrove.  E’ l’Altro che io sto cercando” ( Lettera di viaggio)

Teilhard guardava il mondo come una lampada di cristallo illuminata da dentro alla luce di Cristo ( Le Christ dans la matiere, 1916 in Ecrits du temps de  la guerre). In ognuno e dovunque c’è la potenza creatrice di lui, una “diafania” universale e cosmica iniziata con la sua epifania storica.    L’azione creatrice di Dio  così trova nel  Cristo, corpo-persona  il canale naturale di realizzazione.  Gesù allora sintetizza in sé tutti gli elementi del mondo illuminandoli dall’interno, e “più gli esseri in cui questa luce si diffonde, sono compiuti secondo la loro natura, più questa irradiazione appare vivina e tangibile” (Ambiente Divino).

Teilhard desiderava trovare dio attraverso il mondo delle persone e delle cose, convinto che l’evoluzione materiale è orientata verso la crescita spirituale in ordine alla quale l’interno  delle cose deve essere sollecitato a manifestarsi.  “L’intero movimento dello sviluppo materiale dell’universo è diretto verso lo spirito, e l’intero movimento spirituale è diretto in fondo verso Cristo”.  “Per virtù della tua penosa incarnazione, schiudici il potere spirituale della materia e poi insegnaci a custodirlo gelosamente per te”.(Ambiente Divino)  

Teilhard ha dunque incoraggiato l’importanza del mondo materiale, insistendo sul rapporto Cristo-Universo e sul significato del lavoro dell’uomo che coopera con Dio nella creazione.  Ciò richiede impegno continuo nella coltivazione di una spiritualità che si fortifichi attraverso l’esercizio costante e amorevole della virtù della  purezza definita come “la rettitudine e l’impulso introdotte nelle nostre vite dall’amore di Dio cercato in tutto e al di sopra di tutto”.

Alla presenza di dio è “Dio e Lui soltanto che il cristiano cerca nella realtà delle cose create.  Il suo interesse si trova realmente nelle cose, ma in assoluta dipendenza dalla presenza di Dio nelle cose stesse”, e alle cose  conferisce quel significato cristiano mediante l’unione  personale con Cristo e il desiderio di cercarlo per trovarlo ovunque nei fratelli, nell’impegno lavorativo, nell’universo.

In questa prospettiva non c’è nulla di profano nel mondo.  “Essere puri di cuore”, dice Teilhard, “significa amare Dio sopra  tutte le cose.  L’uomo giusto avrà occhi soltanto per Lui, sia che si innalzi al di sopra e al di là di tutte le creature in una consapevolezza quasi immediata della divinità, sia che si getti nel mondo per conquistarlo e condyrlo alla perfezione, come è suo dovere di fare…  Il cuore puro è il cuore che, sormontando la forza molteplice e disperdente delle cose create, rafforza la sua unità, matura cioè la sua spiritualità nel fuoco della semplicità divina”. ( La lutte contre la motitude, 1917, in Ecrits du Temps de la  guerre)

Quella di Teilhard è l’epoca che più delle  altre ha scoperto il valore della vita, della persona umana nella sua unicità e libertà, come ideale da raggiungere pienamente attraverso la lotta e il sacrificio per la conquista di quei diritti umani sottolineati poi dal Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla Chiesa e il mondo, alla luce dell’opera umanizzatrice di Cristo che “rivela l’uomo all’uomo stesso”, per cui, colui che “imita Cristo, l’uomo perfetto, diventa sempre più uomo”.

Teilhard ha avuto sempre a cuore questo rapporto tra cristianesimo e perfezionamento dell’uomo. “…Le dimensioni di Cristo devono assolutamente essere quelle  della mia vita interiore.  Devo essere conscio di crescere in Lui, non soltanto nella forma dell’ascetismo e nello sforzo penoso della sofferenza…Ma anche nello sforzo positivo di cui sono capace in tutto ciò che può giovare al naturale perfezionamento del mio essere umano.   Altrimenti, se non riesco a raggiungere  tale consapevolezza, il cristianesimo mi deruberebbe del mio coraggio di agire”. (Lettera del 12 dicembre 1919).

Nella “Vie cosmique” del 1916, Teilhard si chiede,  “Per essere cristiano devo forse rinunciare  ad essere umano nel senso più largo e più profondo della parola, totalmente e appassionatamente umano?”.

Attraverso l’esperienza affiancata  da una consapevolezza attenta e scrupolosa si accorge che “l’attenzione e l’attaccamento a se stessi si sviluppano in maniera spropositata.  Il cristiano,  proprio attraverso l’azione,  deve trasformare il mondo, “divinizzarlo” in Gesù in quel “capovolgimento psicologico che, in ogni  creatura  intelligente, trasforma insensibilmente la gioia di agire in un desiderio di subire,  e l’esaltazione di farsi se stesso nell’ambito di morire in un altro”.

Prevalentemente sensibile forse, in un primo tempo, ai fascini dell’unione con dio mediante l’azione, egli comincia a concepire e a desiderare, per la sua comunione,  un aspetto complementare, una fase ulteriore, in cui “ meno si svilupperebbe e più si perderebbe in Dio” (Ambiente Divino).

Questo perdersi in dio a partire dal distacco, attraverso la sofferenza conduce alla purificazione.

Come si collega questo autoperfezionamento con la precaria realtà fatta di insuccessi, futilità, equivoci e con la realtà della morte?  Dobbiamo imparare a mantenere un reale desiderio di vita e di azione.  Il cristiano sa che il suo mondo reale è quello in cui il Cristo è stato crocifisso, e se quella croce ha un senso evidentemente,  prima del successo deve accettare la sofferenza, la rinuncia prima del compimento, la morte prima della vita vera.

“Dobbiamo imparare a mantenere un reale desiderio di vita e di azione, mentre rinunciamo una volta per tutte a ogni desiderio di felicità soltanto per noi stessi “ (Lettere del 1934 ad un amico),  Tale il segreto della vita nel Milieu Divin, ossia nel Cristo.

Consapevole del significato positivo della croce, scriveva ancora ad un amico che  “dobbiamo aver caro, insieme a ciò che completa la nostra vita, anche tutto ciò che ci diminuisce, cioè tutte le purificazioni passive che Cristo ha preparato per noi perché possiamo riuscire a trasformare in Lui gli elementi della nostra personalità che stiamo cercando di sviluppare proprio per Lui”.

Ma quale bene possono significare queste diminuzioni per noi, senza ancora alcuna compensazione in cui la morte appare nella sua forma più mortale.  Con San Giovanni della Croce Teilhard può dire che la risposta è la FEDE.

 

Maria Damiano

 

(da Nel Segno del Sangue,

 anno LIV, n. 2 Febbraio 2005)

 
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Post N° 119

Post n°119 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera
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Il Punto Omega di Teilhard de Chardin

 

         Ricorre quest'anno il centenario della nascita di Teilhard de Chardin, gesuita, ricercatore, scienziato, antropologo, filosofo, e soprattutto - come una volta sentii dire da un'eminente personalità in un convegno teologico - uno dei più importanti "segni" per la cultura cristiana del nostro tempo.

          Lo scopo di tutta la ricerca di questo scienziato, che sapeva esprimersi con altissima espressività poetica, fu infatti quello di comprendere la misteriosa unità che esiste tra la terra e il cielo, tra la fatica dell'uomo sulla terra e il suo eterno destino, tra il travaglio che conduce la materia a organizzarsi in forme sempre più perfette e lo Spirito di Dio che "aleggia sulle acque" e che creativamente continua ad essere presente in essa per condurla alla sua ultima perfezione.

          Teilhard ha scritto e pubblicato moltissimo: volumi, articoli, ricerche, saggi, lettere, di cui molto dev'essere ancora edito. Non c'è da meravigliarsi allora se, fin dal manifestarsi del "fenomeno Teilhard", a partire dagli anni quaranta, si siano sviluppate interpretazioni diverse e anche opposte del suo pensiero, sovente travisato, e che Teilhard stesso sentisse il bisogno, nel 1955 - l'anno stesso della sua morte sopravvenuta nel giorno di Pasqua - di pubblicare due articoli per precisare quale fosse il "senso ultimo" di tutta la sua ricerca.

          Questi articoli hanno per titolo "Il pensiero del padre Teilhard de Chardin esposto da lui stesso" e "Un sommario della mia prospettiva fenomenologica del mondo"; e poiché essi riassumono sostanzialmente, dandone la corretta interpretazione, le altre opere principali di Teilhard, che tante controversie avevano suscitato, e cioè "L'ambiente divino", "Il fenomeno umano" e "L'avvenire dell'uomo", ci rifaremo brevemente ad esse per non correre il rischio di travisare le intenzioni di un autore che attende ancora di essere "scoperto" dal pensiero cristiano.

         Innanzi tutto, Teilhard afferma decisamente di non volersi esprimere strettamente in modo filosofico, ma in maniera libera, scientifica e poetica insieme. "Essenzialmente - egli dice -, il pensiero del padre Teilhard de Chardin non si esprime in una metafisica, ma in una sorta di "fenomenologia", intendendo con questo termine una metodologia di ricerca scientifica dei fenomeni umani e cosmici, una descrizione attenta delle loro leggi e della loro formazione, a cui possono fare seguito diverse ipotesi di interpretazione.   

          Teilhard, che fu soprattutto uno scienziato, un ricercatore appassionato delle leggi che governano l'universo, la storia della vita sulla terra, il mondo dell'uomo, enuncia quindi la grande legge che, secondo lui, regge la totalità del mondo e delle realtà umane: la famosa "legge di complessità-coscienza". Ora questa legge generalissima (nel senso che si riscontra ad ogni gradi di evoluzione del vivente) permette, per Teilhard, di stabilire un nesso di stretta relazione tra il grado di complessità organizzativa a cui giunge una certa linea dell'evoluzione  della materia, e il grado di coscienza o di psichismo che le è correlato. In altri termini, quanto più la materia vivente diviene complessa, si organizza, si struttura, spinta quasi da una inarrestabile finalità che le è intrinseca, tanto più essa richiede - come si può vedere nel caso dell'evoluzione delle specie animali - un grado di coscienza maggiore e, nel caso del cervello dell'uomo, anche di spiritualità.

          Questa legge che è, si può dire, cardine di tutto il pensiero teilhardiano, viene riscontrata da Teilhard nelle due principali tappe della evoluzione del mondo e dell'uomo: quella che va dalla pre-vita alla vita, alla vita animale, alla vita umana, per la quale "l'Uomo rappresenta il termine elementare più elevato di questo movimento di adattamento", e in secondo luogo nella tappa evolutiva della storia e della  società umana, che progrediscono spiritualmente e sul piano della coscienza dei valori stessi dello spirito, man mano che si perfezionano, si organizzano, evolvono verso forme di vita più civili e perfette.

          Anzi, per Teilhard il singolo uomo non può perfezionarsi da solo, anche sul piano dello spirito, ed ha bisogno di solidarizzarsi strutturalmente con gli altri per essere veramente e pienamente uomo: "Al di sopra dell'uomo individuale, lo sviluppo si prolunga ancora, mediante il fenomeno sociale, nella Umanità, al termine della quale si lascia intravedere un punto superiore e critico di riflessione collettiva".

          Teilhard vuol dire qui che lo slancio dell'evoluzione che anima la materia fin dall'inizio, non si arresta nemmeno al grado di organizzazione cerebrale rappresentato dall'Uomo, ma sembra tendere ancora più in alto, ad una espressione della mente e dello spirito dell'uomo che sia frutto non del solo individuo, ma dell'Uomo ormai compiutamente e solidarmente unito agli altri uomini nei legami di una socialità che non lo annulla ma lo eleva. Teilhard scorgeva infatti nel fenomeno di socializzazione, caratteristico della nostra epoca, qualcosa di più rivoluzionario e importante dello stesso fenomeno evolutivo attraverso il quale gli esseri viventi si sono organizzati per poter giungere all'uomo.

          Occorre precisare che proprio su questo punto del pensiero di Teilhard sono state scagliate le maggiori critiche e anche incomprensioni. Si è affermato infatti che Teilhard sposava, con queste sue tesi, non solo l'evoluzionismo darwiniano, ma anche l'evoluzionismo storico rappresentato da Hegel e poi sfociato in Marx, secondo cui la materia si evolve da se stessa e con le proprie forze, verso le più alte forme della coscienza e dello spirito, senza nessun intervento "dall'alto". Per chi conosce veramente Teilhard, nessuna accusa è più ingiusta. In effetti Teilhard non fa qui che riprendere, adattandole alle moderne cognizioni della scienza, alcune formulazioni fondamentali della filosofia classica, secondo cui - per usare un linguaggio tecnico - il principio formale o attuale, investendo la materia, la fa tendere a ricevere forme sempre più perfette.

          Come già notava Maritain commentando Bergson, il principio secondo cui ogni essere tende per un inarrestabile slancio a trascendere la propria stessa perfezione per accogliere una forma superiore, che lo conduca ad un nuovo grado di essere, è un principio radicato profondamente nella filosofia classica, in particolare di impostazione aristotelico-tomista, e l'averlo dimenticato è stato la vera causa del sorgere del materialismo nel mondo moderno.

          La legge di "complessità-coscienza" implica, per Teilhard, un movimento evolutivo negli esseri, anche i più materiali, verso forme sempre più perfette e spiritualizzate, movimento che comporta sempre, a chi sappia ben leggere la realtà, la presenza di una finalità spirituale, fin nei più infimi movimenti della materia primordiale. La materia non si evolve a caso, verso l'unità organica, psichica delle coscienze, ma ha un fine da raggiungere, che le trascende e, pur unificando in un definitivo significato tutti i suoi sforzi, la supera.

          Questo fine è quello che Teilhard chiamava "punto Omega". La legge di "complessità-coscienza" contiene infatti per Teilhard un grosso significato: e cioè che il punto finale dell'evoluzione della materia, della coscienza e dello stesso uomo, il suo punto Omega, che tutto ricapitola e insieme tutto trascende, è Cristo. Anche se non ci fosse la Rivelazione, la perfezione a cui Cristo eleva l'uomo sarebbe parimenti postulata dall'evoluzione delle coscienze e dello spirito dell'uomo.

          La mente dell'uomo, e in particolare del cristiano, dice Teilhard, deve riuscire a "identificare l'Omega della ragione con il Cristo-Universale della rivelazione"; deve cioè scorgere come tutti i fenomeni dell'universo che tendono ad organizzarsi unendosi, da quelli più infimi a quelli superiori della vita umana e in particolare cristiana, tendono sostanzialmente a manifestare la verità e la realtà del Cristo. Ciò vuol dire anche che la visione strettamente scientifica dell'universo è anche una visione mistica: "l'evoluzione tutta intera viene ricondotta ad un processo di unione e di comunione con Dio, diviene integralmente amante e amabile fin nel più intimo come nel più finale dei suoi sviluppi.

          Sebbene Teilhard distingua diversi gradi di questa analisi fenomenologica dell'evoluzione del mondo, è soprattutto all'analisi mistica - che rivela il modo cosciente con cui l'uomo costruisce l'ascesa dell'Umanità intera verso l'Omega - che egli dedica la maggior parte delle sue riflessioni. Per Teilhard è infatti la persona di Cristo che, tutto riassumendo e tutto ricapitolando, dà il senso ultimo alla coesione ed evoluzione dell'universo intero.

          L'umanità contemporanea, e soprattutto i cristiani, sono oggi chiamati, secondo Teilhard, a scorgere questo nuovo cammino dell'umanità e a capire che l'Umanità deve trascendere in un certo se stessa, deve superare i propri egoismi, per avviarsi ad un nuovo e superiore stadio della sua evoluzione. "Convertiamoci ad un grado maggiore di questa conversione, mostrando con tutta la nostra vita che solo il Cristo è suscettibile di animare e di dirigere il nuovo cammino intravisto dell'Universo". 

          Per Teilhard si tratta, con molta chiarezza e forza, non di entrare in una specie di religione naturale dell'universo, che potrebbe anche non avere niente a che fare con il Dio del Vangelo, ma di accettare Cristo come il termine finale dell'universo, e della storia dell'uomo, come colui che con il suo messaggio supera e insieme dà valore a tutte le aspirazioni e tensioni dell'uomo, aprendo lo sconfinato orizzonte di una nuova storia.

         Se anche è vero che Teilhard non è sempre stato preciso nella elaborazione dei termini filosofici tecnicamente più appropriati per formulare questa concezione dell'universo e dell'uomo, dando così origine alle critiche che abbiamo ricordate, è certo però che ha formulato forse la più grandiosa sintesi moderna della centralità, in Cristo, di ogni realtà cosmica umana.

          Tutto ha origine da Cristo, perché "tutto è stato fatto per mezzo di lui", e ogni essere tende, nella sua evoluzione, inconsciamente o consciamente, a Cristo. Lo sviluppo dell'uomo che giunge a Cristo diviene irreversibile e Cristo, attraverso l'uomo, eleva tutta la creazione - di cui l'uomo è insieme sintesi e compimento - alla sua stessa altezza. E poiché Cristo è il punto Omega, l'uomo, nell'unirsi a lui, sperimenta l'unità del principio con la fine, l'unità tra il Dio della creazione e il Dio della Rivelazione e della Parusia (quella nuova ed ultima venuta mediante la quale Cristo attrarrà a sé e trasformerà in una suprema dimensione la creazione intera).

          Per questo per Teilhard la mistica, come progressione di vita di unione con Cristo, non è qualcosa di irrazionale o di irreale, ma diviene la fonte della nuova conoscenza dei cristiani, mediante la quale essi si riconoscono innestati, personalmente, comunitariamente e anche cosmicamente, nella realtà del Cristo.

          Occorre rileggersi le bellissime pagine della "Messa sul mondo" per cogliere qualcosa del grande afflato religioso e mistico, e soprattutto del grande amore per Cristo che ha acceso la mente e il cuore dello scienziato Teilhard de Chardin.

          Un messaggio, il suo, non destinato già alle biblioteche, ma a fecondare, con una ventata di ottimismo cristiano, lo spirito degli uomini di oggi e di domani. 

MURA Gaspare

( da Città  Nuova n. 20 del 25 0tt0bre 1981)

 

 

 

 
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Post N° 120

Post n°120 pubblicato il 31 Ottobre 2008 da bioantroponoosfera
Foto di bioantroponoosfera

Teilhard de Chardin

 

Le sue domande ancora attuali

 

 Degno di rispetto il suo tentativo – pur sostanzialmente non riuscito – di unificare il sapere

 

 

Teilhard de Chardin è passato di moda? Certo si ha un poco questa impressione.  Chi ricorda la massa di pubblicazioni, articoli, libri, tesi di laurea, conferenze, tavole rotonde, discussioni, ecc… che, all’incirca dal 1955 al 1970 ebbero come tema l’opera di Teilhard de Chardin  non può non rimanere stupito dell’odierno silenzio calato su di lui.l’odierno declino

Durante quel periodo, anche la cultura laica sembrò interessarsi a temi teologici di ispirazione teilhardiana, e larghe masse di media cultura videro nel “gesuita proibito” ,scienziato, antropologo evoluzionista, e “sacerdote scomodo”, un oggetto di curiosità talvolta, direi, addirittura, mondana e salottiera.

Il divieto di pubblicare i suoi volumi, lui vivente, da parte dei suoi Superiori della Compagnia di Gesù e, poi, dopo la sua morte la “riserve” sul suo pensiero fatte dall’Autorità ecclesiastica, aggiunsero un tocco di scandalismo che colpì l’opinione pubblica.

Ma vi sono stati anche motivi più seri di quei successi clamorosi e dell’odierno declino.

Molti  certo avevano visto in lui un ponte lanciato coraggiosamente tra cultura scientifica laica, inesorabilmente evoluzionista e materialistica, e pensiero cattolico.

 

Valutazione critica più equilibrata

Ora la situazione è, per certi  aspetti, mutata.  Da parte laica, lo scientismo materialistico appare meno sicuro di se stesso; mentre, da parte cattolica, un evoluzionismo finalistico e non deterministico appare più conciliabile con una visione cristiana della vita.  Inoltre la ricerca  teologica più agguerrita (Rahner,  Congar, De Lubac…)si è ora rivolta a problemi più tecnici e specifici.  Da tutto questo è derivata una certa caduta di interesse per il teilhardismo, in un mondo in cui il conflitto tra scienza e fede assume forme diverse da quelle del passato.

Eppure, proprio questo maggiore distacco che si è creato tra noi e Teilhard – qualunque ne siano le cause -  può favorire una  sua valutazione critica più calma ed equilibrata, che ci faccia conoscere  meglio, direi,  - per usare una frase famosa di Benedetto Croce a proposito di Hegel – “ ciò   che è vivo e ciò che pè morto nel pensiero di Teilhard de Chardin “. E cominciamo innanzitutto con i valori di quest’opera.

Essa costituisce, a mio avviso,  un ardito tentativo di sintesi tra sapere scientifico, filosofico e teologico.  Tale tentativo, anche se non sostanzialmente riuscito, è però degno di rispetto, e apre delle piste nuove di ricerca e di riflessione.

Mi spiego.  E’ difficile negare che tutta la nostra cultura soffra di una specie di schizofrenia  tra i diversi domini della conoscenza umana che si sono sviluppati separatamente, anzi, spesso, in maniera conflittuale, gli uni dagli altri.

Così, spesso, molti scienziati  (fisici, matematici,biologi, psicologi…), pur essendo credenti, provano difficoltà ad armonizzare i risultati delle loro ricerche con quella che è,  o pensano che sia,  la dottrina cattolica.  Così’ è avvenuto nel passato, in maniera clamorosa,  con l’astronomia copernicana (caso Galilei) e, più recentemente, con la zoologia e l’antropologia darwinistica.  D’altronde,  i teologi,  sia dogmatici  che moralisti,m giustamente preoccupati di interpretare i dati della S.Scrittura e del magistero, sono spesso meno interessati a questioni scientifiche e filosofiche.  La filosofia  poi, divisa in molte correnti, sembra anch’essa incapace di assolvere quel compito di sintesi tra ragione e fede che aveva avuto nel passato.

Come è noto, Teihard de Chardin  credette di aver trovato questa idea-chiave unificatrice tra i diversi domini del sapere  nel concetto di Progresso e di evoluzione.  In parole semplici la sua teoria è tutta qui.

 

L’evoluzione come ordine voluto da Dio

L’evoluzione dalla materia inanimata a quella animata e dalle specie inferiori a quelle superiori, sino all’uomo  incluso – che,  secondo lui, è ormai dimostrata con  certezza dalla scienza  - non è il prodotto di cause cieche e deterministiche, come credono i materialisti,  ma è voluta da Dio, creatore ed ordinatore dell’universo, per raggiungere il Fine Supremo della Sua glorificazione.

Tutto il Cosmo, nel suo processo di perfezionamento e di spiritualizzazione è, teologicamente ordinato a questo Punto Omega che è Dio, conosciuto prima naturalmente e poi soprannaturalmente, attraverso il Cristo.

Perciò la scoperta dell’evoluzione, lungi dall’essere un argomento a favore del materialismo ateo sarebbe piuttosto una conferma dell’ordine dell’universo inteso da Dio.  E’ chiaro che l’evoluzionismo, così interpretato, deve essere purificato da tutte le sue  scorie  che non sono scientifiche, ma soltanto pregiudiziali ideologiche (meccanicismo, materialismo, determinismo, “selezione naturale”, ecc…)

Come si vede, il sistema teilhardiano è interessante e corrisponde ad esigenze effettivamente avvertite dagli studiosi e dagli uomini di cultura in genere.

Si deve dire  con questo  che esso è del tutto convincente?  Non oserei affermarlo.  La sua semplicistica e insieme la sua audacia, che sono indubbiamente dei meriti lasciano poerò aperti molti interrogativi che hanno suscitato l’opposizione di molti studiosi seri, da sponde diverse, e anche le riserve suddette delle Autorità  della Chiesa.

Esse possono ridursi sostanzialmente ai punti seguenti.

a)      Nell’idea teilhardiana di un continuo progresso evolutivo verso un ideale di perfezione non vi è un certo ottimismo ingenuo  che sembra ignorare il mistero del male, del peccato, del dolore, della Croce?

b)      L’ominizzazione, cioè il “salto qualitativo” per cui dalla materia animata sorge l’anima spirituale della persona può certo essere preparato da un lento sviluppo della materia, ma non richiede anche un intervento speciale e libero della Volontà Creatrice?

c)      A fortori l’ordine soprannaturale, cioè la partecipazione alla vita Divina attraverso la Grazia, non richiede anch’essa un intervento libero dell’Uomo-Dio incarnato nella storia umana, che quest’ultima può si preparare ma non produrre?  Altrimenti come si salva la gratuità del Dono divino in noi?

 

 Ha sollevato  problemi che restano

 

In genere l’interpretazione della Rivelazione cristiana in chiave storicistica ed umanistica non può portare -. Un po’ come avviene in Hegel -  ad una forma magari larvata di panteismo?

Come si vede, anche se la “moda Teilhard” è passata, i problemi da lui posti rimangono.  Aglui studiosi di oggi e di domani il compito di affrontarli forse con maggiore precisione ed accuratezza, non dimenticando però l’appassionata esigenza dalla quale sono nati.

 

Di  Padre Paolo Valori s.j.

(Avvenire 10 aprile 1980, pag.3)

 

(N.d.r.  Ai  i lettori del mio blog che volessero approfondire il pensiero di Teilhard, al di là delle critiche velate di Padre Valori s.j. voglio ricordare che, a parte i lavori presentati nel presente blog,  nel sito www.biosferanoosfera.it  si possono trovare studi molto aggiornati sul pensiero di  Teilhard che si basano su tutte le opere  pubblicate di Teilhard, compreso l’ultimo e più importante lavoro realizzato dal prof. Fabuio Mantovani : Dizionario delle opere di Teilhard de Chardin pubblicato dai Gabrielli

Vi posso suggerire i seguenti lavori nel sito:

Il “Monitum” e la comprensione odierna di Teilhard de Chardin,

La complessità della vita

La creazione non è finita: dialogo tra scienza e fede

Teilhard de Chardin discepolo di San Paolo

Da Piltdown a Poughkeepsie: solitudine ed emarginazione di Teilhard de Chardin

Nell’Archivio del sito potrete rileggere l’interessantissimo studio, presentato a Roma, dal prof. Mantovani: Opacità e splendori nell’opera di Teilhard de Chardin e il lavoro, sempre del prof. Mantovani: Il Progresso umano.

Giovanni Fois

Centro di Documentazione Teilhard de Chardin - Roma

 
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RIFLESSIONI TEILHARDIANE

"  La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto.  Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori?  Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva.  E' una distinzione illusoria.  La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente,  la Verità "   

                                                                                                                                                          

 

" Senza che si possa dire per ora in quali termini esatti, ma senza che vanga perduto un solo frammento del dato, sia rivelato che definitivamente dimostrato, sul problema scottante delle origini umane, l'accordo si farà senza sforzo, a poco a poco, tra la Scienza e il Dogma.  Intanto, evitiamo di respingere anche il minimo raggio di luce, sia da una parte che dall'altra.  La fede ha bisogno di tutta la verità". (da Les Hommes fossiles, marzo 1921) 
 
" Inventariare tutto, provare tutto, capire tutto. Ciò che è in alto, più lontano di quanto è respirabile, e  ciò che è in basso, più profondo della luce.  Ciò che si perde nelle distanze siderali, e ciò che si dissimula sotto gli elementi... Il sole si alza in avanti... Il Passato è una cosa superata...  La sola scoperta degna dei nostri sforzi è come costruire l'Avvenire". (La découverte du passé, 5 settembre 1935)
 

"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.

Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno...  Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)

 
"  Chiniamoci dunque con rispetto sotto il soffio che gonfia i nostri cuori per le ansie e le gioie di "tutto tentare e di tutto trovare".  L'onda  che sentiamo passare non si è formata in noi stessi.  Essa giunge a noi da molto lontano, partita contemporaneamente alla luce delle prime stelle.  Essa ci raggiunge dopo aver creato tutto lungo il suo cammino.  Lo spirito di ricerca e di conquista è l'anima permanente dell'Evoluzione" (Il Fenomeno Umano 1940)
 

" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando...  E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto...  Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro.  Manovra impossibile e fatale.  La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide.  Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936) 

 
" L'Energia diventa Presenza...  Sembrerebbe che un solo  raggio di una tale luce, cadendo come una scintilla in qualsiasi punto della Noosfera, dovesse provocare un'esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi di colpo la faccia della Terra. Allora, come è possibile che, guardando attorno a me, è ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovi pressochè solo della mia specie?  Solo ad aver "visto"?...  Incapace, quindi, quando me lo si chiede, di citare un solo autore, un solo testo, in cui si riconosca, chiaramente espressa, la meravigliosa "Diafania" che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto ?"  (Le Christique, marzo 1955) 
 
....IN QUESTA APERTURA VERSO QUALCHE COSA CHE SFUGGE ALLA MORTE TOTALE, L'EVOLUZIONE E' LA MANO DI DIO CHE CI RICONDUCE A  LUI . ( La Biologie, poussee à fond,peut-elle nous  conduire à èmerger dans le transcendant?  Maggio 1951)
 

Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio.  "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)

 

" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.

Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.

Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?

Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)

 

" Nel Cuore della Materia.

   Un Cuore del  Mondo,

    Il Cuore d' un Dio"

        (da Le  Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)

 
" Nella peggiore delle ipotesi, se ogni possibilità futura di parlare e di scrivere si chiudesse davanti a me, mi rimarrebbe, con l'aiuto di Gesù, quella di compiere questo gesto, affermazione e somma testimonianza della mia fede: scomparire,m inabissarmi in uno spirito di Suprema Comunione con le forze  cristiche  dell'Evoluzione  (da Note di esercizi spirituali, 22 ottobre 1945) 
 
 
 

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