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LA TERRA DESOLATA

Post n°689 pubblicato il 20 Novembre 2014 da blogtecaolivelli

IV. La morte per acqua

Tòpos del canto è, in contrapposizione al fuoco, simbolo di lussuria e di depravazione, l'acqua, che invece infonde un senso di purezza.

Un marinaio morto, dai tratti che sembrano quelli del Vecchio Marinaio di Coleridge, racconta la storia di un'uscita per andare a pescare finita in tragedia. L'episodio ha molti collegamenti con il viaggio di Ulisse come lo avevano immaginato Dante e Tennyson: un viaggio a cui Ulisse era stato spinto dall'insaziabile curiosità: insaziabile perché neppure di fronte alla morte il marinaio si arrenderà, non riuscendo ad accettare neppure la vecchiaia. Connettere Ulisse a un marinaio fenicio non è poi tanto strano: scrivendo il suo Ulisse Joyce era stato ispirato dall'idea che dietro la figura del navigatore greco ci fosse una più antica leggenda di origine semitica, la storia di un marinaio fenicio. E nel romanzo di Joyce Ulisse è incarnato da un irlandese di discendenza ebraica, Leopold Bloom.

La morte di Fleba, "che un tempo è stato bello e ben fatto", ne purifica la vita trascorsa secondo la logica del "guadagno e della perdita". L'intero canto è un ammonimento al lettore: chiunque cada nella tentazione si perde in quei gorghi che spolpano le ossa in sussurri, ponendo un termine alla sua futile vita.

Dietro la figura di Fleba il Fenicio si può vedere anche il tema degli dèi morenti, Osiride in particolar modo. Questa sezione è stata interpretata in due modi: o significa morte per acqua senza resurrezione o simboleggia la morte sacrificale che precede la rinascita. La maggior parte dei critici, però, vedono l'annegamento di Fleba come una morte senza resurrezione anche se c'è uno strano senso di pace nella morte (cfr. v.47).

V. Ciò che disse il tuono

L'atmosfera dell'ultima sezione è quella di un dramma ricordato che degrada in un anti-climax: la morte di Gesù col riferimento alla sua agonia nel giardino del Getsemani. Come le parti precedenti avevano un elemento centrale, così il tuono ricorre frequentemente negli ultimi versi del poemetto; nella Bibbia, la voce di Dio è spesso descritta come simile ad un tuono, per cui l'allusione è palese.

Gli abitanti della terra desolata accettano un tipo di vita minimale senza la speranza di una resurrezione: sono uomini vuoti, cui solo il distante brontolio di un tuono suggerisce la primavera. Eliot descrive il viaggio attraverso la Terra Desolata di due cavalieri alla ricerca del Sacro Graal; essi sono intimoriti dall'apparente malevolenza di questo territorio così inospitale.

Grazie alle note lasciate dal poeta stesso, si capisce che dietro questa vicenda si nasconde il viaggio verso Emmaus e la decadenza dell'Europa orientale, che ha il suo epicentro nella Russia del 1917: la rivoluzione comunista offre profezie deludenti alle cieche masse, che ora vacillano nel loro deserto spirituale. Lo stesso concetto troviamo espresso in un'opera di Herman HesseIntravedere il caos: "Già metà d'Europa, almeno metà dell'Europa orientale, avanza sulla via del caos, guidata in una frenesia spirituale lungo il limite dell'abisso, e canta ubriaca. L'offeso borghese ride ai canti; il santo e il profeta li ascoltano con lacrime". Eliot, che politicamente era su posizioni nettamente conservatrici, non aveva una buona opinione della rivoluzione russa (anche se va detto che, a differenza del suo amico Ezra Pound, fu diffidente anche nei confronti del fascismo e soprattutto del nazismo, da lui stigmatizzato come un ritorno al paganesimo).

I pellegrini alla ricerca del Graal credono di essere accompagnati da una terza persona, come avvenne a Ernest Henry Shackleton nella sua spedizione in Antartide. Eliot stesso in una nota scrive di essersi ispirato a un resoconto della spedizione di Shackleton in cui si riferiva che "il gruppo degli esploratori, allo stremo delle forze, aveva continuamente l'illusione che ci fosse una persona in più di quante non se ne potessero effettivamente contare."[1]

La "materna lamentazione" ci ricorda le parole di Gesù: "figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma per voi stesse e per i vostri figli".

Vengono descritti tutti gli orribili dettagli del viaggio dei cavalieri, che sono scherniti da eco e allucinazioni: stanno per impazzire, quando un lampo annuncia loro l'arrivo della pioggia tanto attesa. Nei versi compresi tra il 395 e il 422 Eliot critica lo stato della Chiesa moderna: l'uomo occidentale è ammonito a uscire dai suoi sistemi e rivolgersi alla spiritualità orientale per ritrovare la tanto desiderata "acqua". Attraverso immagini surrealiste Eliot fa parlare il tuono: "Dai", "controllati", "sii empatico" sono i consigli offerti che si rifanno a virtù completamente assenti in questa terra desolata.

Il canto del gallo è il risveglio della coscienza umana reso possibile dalle parole in sanscrito del tuono. Queste formule fanno parte delle Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, e iniziano tutte con "Da", la radice delle parole sanscrite dell'area semantica di "dare", ma anche il suono onomatopeico del tuono.

Il poemetto termina, dunque, dopo i toni surrealistici e apocalittici, con "Shantih", la pace ineffabile, la speranza della pioggia, di una ritrovata spiritualità. Ma il cadere della pioggia è atteso, agognato, non descritto. Il fatto che la benedizione sia in una lingua così distante dalla tradizione occidentale indica che la soluzione è ricercata, ma non raggiunta. In effetti, non si riesce a uscire veramente dalla terra desolata, e il Graal resta una speranza, qualcosa che non si riesce ad afferrare. Per Eliot il cammino verso una qualche certezza durerà ancora cinque anni, quando si convertirà all'anglicanesimo.

Interpretazione

L'ambizione della Terra desolata è totalizzante: essa vuole essere interpretazione complessiva del destino dell'uomo e della storia europea.

Caratteristiche importanti di tutto il poemetto sono la simultaneità, che rende possibile il contrasto tra cultura passata e sterilità moderna, e la decontestualizzazione, che provoca nel lettore un senso di spaesamento e di shock.

Nella Terra desolata, Eliot pone la sua visione di desolazione e aridità spirituale in un implicito contrasto con il mondo dei poeti più antichi, suoi maestri. Talvolta, tale contrasto è ironico, come il dialogo tra Antonio e Cleopatra di Shakespeare che in "Un Gioco di Scacchi" diventa una scena di incomunicabilità e noia tra coniugi; altre volte la poesia del passato consola e sostiene, ricordando a una generazione angosciata che non è sola. La sensazione espressa è quella dell'estrema inutilità provata dall'uomo trovandosi a dover vivere in un mondo sterile, dove nulla ha più significato.

Temi principali

Nel testo sono individuabili alcuni fondamentali nuclei tematici, che spesso corrispondono a miti tratti dalla tradizione occidentale (ma non solo, visto che la Terra desolata è intessuta di riferimenti al buddismo, in special modo nell'ultima sezione). Essi sono:

  • Il mito del Graal e la queste del cavaliere Parsifal (ripresa, tra l'altro, dal Roman de Perceval) che riesce a recuperarlo per salvare il regno di Re Artù (anche chiamato il Re Pescatore, e leggibile come una figura di Cristo) dalla sterilità e dalla morte. La ricerca nel mondo moderno, però, non ha successo, a differenza di quella di Parsifal: nella Terra desolata della modernità, la verità (anche etico-religiosa) resta inafferrabile.
  • I riti di fertilità descritti nel trattato di antropologia Il ramo d'oro di Sir James Frazer, che Thomas Stearns Eliot aveva letto con grande interesse, nei quali il sacrificio di un dio (p.es. l'egizio Osiride, ma anche Cristo) riporta la fertilità, e quindi la vita, al popolo che lo adora. I riti sono rievocati nel contesto di un mondo contemporaneo che è marcato da sterilità spirituale; quest'ultima s'incarna nel poemetto in una serie di figure di matrimoni e coppie sterili.
  • I tarocchi, che un saggio della scrittrice inglese Jessie Weston (intitolato From Ritual to Romance) aveva riconnesso al ciclo di leggende arturiane e al mito del Graal. Va detto che oltre ai veri arcani maggiori Eliot inserisce nel poemetto per la maggior parte carte di sua invenzione.
  • La simbologia primaverile, che ritorna frequentemente nella letteratura inglese, a partire dai I racconti di Canterbury diGeoffrey Chaucer. La primavera nella Terra desolata però non porta fertilità e vita, e la quinta parte è in parte ambientata in un deserto, in parte segnata dall'attesa ansiosa della pioggia rigeneratrice (quella cantata da Chaucer nel suo poema) che però non arriva.
  • Lo squallore e l'alienazione della vita metropolitana nell'età moderna, contrapposta ironicamente al mito e ai grandi classici della letteratura antica. Nelle loro incarnazioni moderne le figure della tradizione occidentale, come Tiresia, o ilRe Pescatore, subiscono inesorabilmente un degrado.

Il poemetto, nonostante gli oltre novant'anni che ci separano dalla sua pubblicazione, è ancor oggi di sorprendente modernità, e si può tranquillamente affermare che ancora non è stato completamente esplorato e compreso dalla critica, nonostante - specie nei paesi di lingua inglese - sia considerato un classico moderno e generalmente insegnato nelle università.

 
 
 
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