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ARABELLA II Parte

Post n°1007 pubblicato il 27 Maggio 2016 da blogtecaolivelli

 

A tutta prima il portinaio stentò a riconoscere il suo padrone di casa. Invece del consueto paltò col bavero di castoro e del solito cappello duro portava indosso in questa delicata escursione notturna un mantello bigio a pieghe fitte e pesanti e in testa aveva un cappello molle di campagna a tese larghe. Mantello e cappello erano pieni di neve.

- Finalmente! - ripetè il portinaio, levandosi col dolore d'uno che si schiodi da un'assa. - Credevo che non venisse più stasera.

- Fa del fuoco, fa del fuoco - brontolò stizzito il padrone.

- Vado fuori a pigliare qualche fascinetta... - Il Berretta accese l'altra candela che stava sul camino e uscì, mentre il signor Tognino, scrollata la neve dalle spalle e sbattuto il cappello contro la schiena della sedia, buttava la roba sul tavolo e andava a sedersi davanti al caminetto per riattizzare un po' di fiamma.

Era un uomo di sessantatre anni, con una testa piccola, quadra, intelligente, i capelli non bianchi del tutto, il viso secco e colorito, d'una magrezza solida e risoluta, che tradiva dai lineamenti sciupati [p. 16 ]il giovane galante d'altri tempi. Gli occhi piccini di un grigio freddo e duro guardavan sempre diritto, come quelli di un cocchiere che ha nelle mani dei cavalli cattivi su per una strada cattiva. Due modesti baffi quasi bianchi, d'un pelo duro e regolato, coprivano una bocca sottile senza labbri.

Vestiva con la trascurata proprietà d'un uomo d'affari, che può spendere e vestirsi bene, ma non ha tempo di spazzolarsi e di star sull'etichetta.

Tognino era primo cugino della defunta Carolina e da qualche tempo suo amministratore, suo factotum e suo braccio destro nei mille affari d'una grossa azienda domestica.

La Ratta, vedova d'un capo-mastro arricchitosi ai tempi dell'Austria con gli appalti militari, possedeva una bella sostanza valutata sulle quattrocentomila lire, parte in case, parte in titoli bancari, parte in fondi a San Donato presso Chiaravalle.

La vecchia Carolina nei quarant'anni di vedovanza aveva fatto dei risparmi, senza troppa fatica, largheggiando in elemosine, sostenendo la causa del sommo Pontefice, incoraggiando dei giovani sacerdoti, e favorendo colla sua pietà tutte quelle istituzioni che mirano specialmente a far guerra ai framassoni. Negli ultimi anni aveva finito col cadere in mano ai preti; ma furba la sua parte, cresciuta com'era in mezzo agli affari, quando capì che i preti e il famoso avvocato Baruffa, tutta roba dei preti anche lui, miravano a tirare troppo l'acqua al loro molino, un bel dì mandò a chiamare il cugino e gli disse:

- Guarda un po', Tognino, io sono vecchia ma non voglio morire minchiona. Non ti pare che l'avvocato abusi della mia fiducia? [p. 17 ]

Tognino non stentò a trovare capi d'accusa, si fece autorizzare e a poco per volta tolse di mano al Baruffa tutta l'amministrazione; non solo, ma gli fece capire che sarebbe stato utile alla sua fama e alla sua dignità di non opporsi alla volontà dei parenti: lo mise, insomma, delicatamente alla porta.

Poi, suscitando le speranze dei Maccagno e dei Ratta, dimostrando alla vecchia cugina che frati e preti minacciavano di mangiarla viva, ridestando in lei degli scrupoli per riguardo ai parenti più bisognosi, ch'era ingiustizia abbandonare, riuscì ad avere in mano una procura legale, che l'abile affarista adoperò come una solida spada. Fece ai preti, a don Giosuè, a don Felice, un'aria poco respirabile; mandò via una certa Santina, una bigotta messa in casa a far la spia, e prese al servizio una certa Giuditta di piena sua fiducia. Aprì la porta ai parenti più miserabili, ch'egli presentò alla decrepita cugina con parole affettuose, ottenendo da lei oggi un sussidio per una povera donna partoriente, domani una limosina per un infermo, o dei prestiti o dei riscatti di pegno, guadagnando la simpatia e la popolarità di tutti i Ratta più rosicchiati dalla miseria. Quando il figlio d'un Giacomino Ratta celebrò la prima messa nell'oratorio degli Angeli, Tognino volle assistere come padrino a nome della vecchia benefattrice, quantunque da cinquant'anni non vedesse più un Cristo in croce; e seppe tanto fare che passò per un mezzo santo.

Tre volte la settimana menava in casa Aquilino Ratta, uno dei veterani del quarantotto, e ora vice-ricevitore in un banco del regio lotto, uomo pieno di rispetto, e lasciava che il buon parente divertisse [p. 18]la vecchia ottuagenaria colle storie dell'assedio di Venezia e delle varie combinazioni, con cui si può vincere un terno. Alla sera Aquilino e la Giuditta lo aiutavano a fare il quartetto a tarocco, un gioco vecchio e sempre nuovo, in cui la Ratta, quantunque le carte le svolazzassero di mano da tutte le parti, era una birbona matricolata. E mentre si giocava, Tognino, ch'era stato uomo di mondo, contava o ricordava molte storie del suo buon tempo, quand'era di moda portare i calzoni bianchi e il panciotto di piquè, quando c'erano i bei veglioni alla Scala e il risottino alla milanese, dopo il veglione, al famoso caffè della Cecchina.

Attingendo agli aneddoti dei Cento Anni del Rovani, il bravo cugino sapeva con brio suscitare nei morti sensi della vecchia bigotta l'eco di reminiscenze che risalivano ai baccanali della Cisalpina e della famigerata compagnia della Teppa. L'aneddoto lesto, raccontato con spirito, senza mai urtare la religione cattolica e il sommo Pontefice, strappava alle volte dal petto della paralitica un cachinno asmatico e strascicato, rotto da colpetti di tosse che davano il rimbombo d'un cembalino scordato e lasciavano nelle profonde rughe della sua faccia accartocciata e morta una sgocciolatura di lagrime contente.

Era in questi istanti di serenità, specie dopo certi pranzetti, in cui la Ratta aveva fatto onore al così detto latte dei vecchi, che Tognino le dava a firmare delle note, dei conterelli, delle quietanze. E così andarono avanti benissimo le cose quasi più di tre anni. [p. 19 ]

Solamente negli ultimi tempi l'uomo aveva trascurato un poco la vecchia cugina e gli affari, grazie al matrimonio del figliuolo e a cento altre faccende che assorbirono le sue giornate; poi si dette il caso che verso la fine di dicembre dovette recarsi come giurato a Lodi in un interminabile processo. Un gusto! Proprio in quei giorni la vecchia Ratta ebbe il primo urto della morte. Chiamato in fretta il canonico don Giosuè Pianelli, suo confessore, ricevette i santi sacramenti.

Sul punto di battere alla gran porta dell'eternità, tocca e spaventata dalle parole del canonico, le parve di aver diffidato troppo dei vecchi amici, di aver creduto troppo alle parole di Tognino, di aver tradito le pie istituzioni di beneficenza. Lì per lì, sul tamburo della morte, don Giosuè suggerì un codicillo che in nome della santissima Trinità distruggeva quelle qualsiasi disposizioni che avesse potuto dettare o sottoscrivere negli ultimi tre anni e richiamava in vigore un testamento del 1878, già consegnato all'avvocato Baruffa. Don Giosuè scrisse la rettifica sopra un foglio di carta comune e corse in cerca di un notaio. Ma nel frattempo arrivò da Lodi tutto trafelato il cugino, a cui la Giuditta aveva mandato tre telegrammi.

Credeva di trovare la cugina agonizzante e invece vide che stava meglio. Sicuro! la consolazione morale di ricevere i sacramenti e di compiere un atto di riparazione aveva fatto tanto bene alla malata, che il giorno del santo Natale potè ancora assaggiare la sua fetta di panettone nel vin bianco. La Giuditta mise a parte il padrone della manovra dei preti, ma non seppe dire se la vecchia avesse o non avesse firmata [p. 20 ]la carta. La vigilia dell'Epifania, dopo un'agonia in cui la morte ebbe a sudare tre camicie, la buona cristiana in compagnia dei tre Re Magi andò a trovare il suo Ratta in paradiso, se pur ci vanno in paradiso gli appaltatori.

Il Berretta tornò con un fascetto di legna, s'inginocchiò davanti al caminetto, e cominciò a soffiare nel fuoco, gonfiando le ganasce. Presto la fiamma si risvegliò, riempì il camino e ravvivò la stanza.

- C'è stato nessuno?

- Nessuno.

- Che cosa voleva Aquilino?

- Che Aquilino?

- Il vice-ricevitore del lotto. L'ho visto sulla porta verso le cinque.

- Voleva vedere la morta.

- E tu, asino, l'hai lasciato passare?

- Niente passare. Ho detto che non avevo le chiavi.

- Però c'è stato don Giosuè.

- Quest'oggi non l'ho visto.

Il signor Tognino, carezzando coll'ugna del pollice l'orlo dei baffi (era un suo movimento naturale nei momenti di riflessione) lasciò cadere lo sguardo sul portinaio, che gli stava davanti inginocchiato nella luce viva della fiamma. Era un occhio abituato a pesare gli uomini, che non sbagliava quasi mai, come non sbaglia l'occhio d'un vecchio mediatore nel calcolare il peso di un fascio di legna.

- E l'avvocato Baruffa non è venuto? [p. 21]

- Mai...

- Non c'è stato nemmeno un tale dalle gambe lunghe, un giovinotto smorto, senza barba, con un occhio bianco, più grosso dell'altro...?

- Gamba lunga? Occhio bianco? - ripetè lentamente il Berretta, crollando il capo.

- Pare anche lui un mezzo prete, o un mezzo avvocato.

- Uhm, non l'ho visto.

- Un certo Mornigani; lo chiamano precisamente el mèz avvocat...

- Non lo conosco.

- Aquilino che cosa ti ha detto?

- Mi ha domandato l'ora dei funerali. Gli ho detto: domani alle nove e mezza.

- E la Santina che cosa è venuta a fare?

- Che uomo!- pensò in fretta prima di rispondere il portinaio - che diavolo d'uomo! - Poi soggiunse a voce alta: - La Santina voleva ritirare alcune sue robe. Dice che la padrona le aveva lasciato un anello con un diamante.

- E tu, bestia, l'hai lasciata passare?

- Ha fatto il diavolo sulle scale, ma io son stato agli ordini. Nix per passare.

Il padrone tornò a fissare gli occhi acuti e fini sulla nuca del Berretta e sul rovescio delle sue larghe orecchie trasparenti alla luce del fuoco. Vecchio strologo di uomini, credeva di saper scoprire dai movimenti della collottola gli sforzi di una coscienza.

Tenne dietro un mezzo minuto di silenzio, durante il quale i due uomini stettero ad ascoltare il muggito e il crepitio della vampa, che riempì la bocca del caminetto. Quindi il padrone uscì a dire: - Chi va adesso da Olimpia? [p. 22]

- Gente ne passa sempre. Cantanti, impresari, gente da teatro.

Il padrone fissò gli occhi nel fuoco e lentamente, come se arrischiasse una parola, domandò: - È vero che ci torna ancora qualche volta il mio Lorenzo?

- Io non l'ho visto più dopo che ha fatto giudizio.

- Guarda che se gli tieni mano...

- Sor Tognino, che cosa dice?- interruppe con fiera dignità il portinaio, facendo un mezzo giro sui ginocchi.

- Ben, ben... uomo avvisato!... Adesso, metti un altro pezzo di legna sul fuoco e apri bene gli orecchi che ho un'altra cosa a dirti.

Il Berretta obbedì e pensò intanto: - Che cosa avrà ancora questo demonio d'uomo?

Il padrone, dopo essersi un poco fregate le gambe, picchiò colla mano due colpetti brevi sulla spalla del portinaio, e riprese a dire: - Dalla cantina della mia povera cugina sono scomparse dal settembre a questa parte circa trenta bottiglie di vecchio barolo e mancano tre o quattro fasci di legna forte. Io ho le prove in mano che questa roba fu rubata e che il ladro è in questa casa. Sentiamo un po' che cosa ne sai tu, il mio galantuomo...

- Io, io non so niente - balbettò il Berretta, alzandosi, appoggiando una mano alla pietra del camino, grattando coll'altra i pochi capelli ruvidi. E aggiunse mentalmente questa riflessione: - Stavolta è la Giuditta che ha parlato.

- Allora - ripigliò l'altro, soffiando sulle parole una specie di sorriso ironico - allora se tu non sai nulla, io sono più fortunato di te, perchè so dove [p. 23]bottiglie e legna sono andate a finire. E siccome di ladri in casa mia non ne voglio, così domani farò la mia brava deposizione alla Questura.

- O caro signor Tognino, non mi rovini, per carità - proruppe il Berretta, congiungendo le mani in atto di supplica.

- Ah, tu non sai nulla...

- Per i miei poveri morti, per l'anima di quella povera donna, dirò tutto, pagherò tutto, ma non mi faccia, per amor di Dio, questa brutta figura. Servo da trent'anni e non ho mai toccato...

- L'acqua piovana...

- Posso quasi giurare...

- Non hai mai rubato un pilastro, tu: ma il vino ti piace e se è buono meglio.

- Se mi lascia dire confesserò tutto. Sono un uomo onesto.

- Quando non hai sete... - insistette il padrone colla crudeltà di chi piglia a tormentare con una lesina un topo preso vivo nella trappola.

- I casigliani possono far fede che non ho mai toccato un soldo a nessuno.

- Un soldo no, ma trenta bottiglie di vin vecchio a tre lire la bottiglia, fanno quanti soldi? E la legna è venuta da sè a farsi bruciare?

- Allora dica che vuol la mia morte e addio! - esclamò il Berretta, asciugandosi la fronte madida d'un sudor freddo. - Non sa che mi ammazzo, se mi fa questa figura? Io giuro, presente cadavere, mi ammazzo.

- Non hai pensato, o gola lunga, che quel vino poteva farti male? non hai pensato che devi il buon esempio a tuo figlio? [p. 24]

- Sor padrone, sor padrone, mi senta; io son qui in ginocchio - e il Berretta s'inginocchiò un'altra volta e alzò le due mani in atto di santo martire. - Servirò per nulla fin che campo, fin che non avrò pagato tre volte il mio debito: ma per carità, non dica nulla al mio Ferruccio. Non mi faccia questa tremenda figura davanti a quel bravo ragazzo.

- Capisco che ti deve dispiacere che Ferruccio sappia queste tue prodezze. È un buon giovinotto che ha bisogno di farsi una posizione e non è certamente una raccomandazione l'avere il papà al cellulare.

- O Madonna santissima, non lo dica nemmeno... - singhiozzò il povero Berretta.

- Io potrei far del bene a questo tuo ragazzo. A Natale gli ho dato sessanta lire e potrò dargliene di più, ma non per merito tuo, birbaccione.

- Sono stato così malato st'inverno e la povera anima, a nominarla come viva, non dava mai niente.

- E hai voluto pagarti da mugnaio.

- Ho fatto male, non dico, ma per un po' di vino non si ammazza mica un uomo, angeli custodi!

- Basta, non voglio altro. Se tu mi darai una prova sicura...

- Non vede che piango come un ragazzo?

- Le tue lagrime non valgono il mio vino: ma se potrai darmi una prova seria, con giuramento...

- Son pronto a giurare sull'anima mia.

- Allora, va, chiudi bene l'uscio della scala, tira innanzi una sedia, e ascoltami. [p. 25 ]

 
 
 
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