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Su Leopardi....

Post n°1659 pubblicato il 10 Maggio 2018 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

Pensiero poetante e poesia

pensante in Leopardi

Da Maurizio Marchese - 17 dicembre 2016 1351Leopardipensiero poetante"Il pensiero poetante" di Antonio Prete

 

"Il pensiero poetante" è il titolo di un saggio di 

Antonio Pretesull'opera e sul modus operandi di 

Giacomo Leopardi. Il saggio compie un'analisi

del laboratorio labirintico del poeta di Recanat

ipartendo dallo Zibaldone; analisi centrale del

saggio è, come suggerisce il titolo, il rapporto

che sussiste tra poesia e filosofia.

Ne "Il pensiero poetante" Antonio Prete mostra

come il pensiero leopardiano sia animato nelle

sue forme dall'esperienza poetica, e questa

esperienza abbia una forte energia conoscitiva. 

L'immaginazione

Nel pensiero leopardiano il discorso sulla separazione

tra poesia e filosofia è la constatazione di un processo

in atto che non intacca l'istanza della loro unità: poesia

e filosofia sono due attività che si muovono sulla

stessa scena con l'immaginazione, che scandisce il

loro rapporto; il privarsi di essa produrrebbe un'insanabile

divaricazione deleteria per entrambe le attività. Anche

nelle riflessioni e negli appunti prosastici dello Zibaldone

sussiste il linguaggio poetico.

Al di qua dei procedimenti linguistici, Leopardi è

consapevole che il poeta e il filosofo possono

scambiarsi i ruoli, e l'immagine può apparire

propria della filosofia, come l'analisi può apparire

propria della poesia. Parlando del poeta si parla

del filosofo, e che Leopardi fosse consapevole

dell'unità delle due attività, poetica e filosofica,

si ricava chiaramente dello Zibaldone:

 "OR QUESTO È TUTTO IL FILOSOFO:

FACOLTÀ DI SCOPRIRE E CONOSCERE

I RAPPORTI, DI LEGARE INSIEME I PARTICOLARI

, E DI GENERALIZZARE."

Mentre una tradizione classicista aveva lavorato

a riportare la poesia nello spazio "naturale" dello

stile - tecnica, retorica, modelli - relegando fuori

dalla poesia la "novità" del pensiero: riduzione

ed esclusione fondate sull'equivoco d'una separazione

tra stile e pensiero, d'una formalizzazione assoluta del fare

poetico.

 "CHIUNQUE NON SA IMMAGINARE, PENSARE, SENTIRE,

INVENTARE, NON PUÒ NÉ POSSEDERE UN BUONO STILE

POETICO, NÉ TENERNE L'ARTE, NÉ ESEGUIRLO, NÉ

GIUDICARLO NELLE OPERE PROPRIE NÉ ALTRUI."

Leopardi ritiene ogni fissazione in "facoltà" esclusive, che ha

come primo risultato di scoprirsi insufficiente nell'interpretazione

della natura: in gioco è proprio l'interpretazione della natura nel

 pensiero illuminista e leopardiano. È in questo orizzonte che

vanno a definirsi il discorso simbolico e il problema della conoscenza.

Come nella critica alla civiltà e del rapporto con il sapere

degli antichi, anche nel pensiero poetante, nell'intreccio

di poesia e filosofia, per Leopardi ha un ruolo fondamentale

l'immaginazione.

"CHI NON HA O NON HA MAI AVUTO IMMAGINAZIONE,

SENTIMENTO, CAPACITÀ DI ENTUSIASMO, DI EROISMO,

D'ILLUSIONI VIVE E GRANDI, DI FORTI E VARIE PASSIONI,

CHI NON CONOSCE L'IMMENSO SISTEMA DEL BELLO, CHI

NON LEGGE O NON SENTE, O NON HA MAI LETTO O

SENTITO I POETI, NON PUÒ ASSOLUTAMENTE ESSERE

UN GRANDE, VERO E PERFETTO FILOSOFO, ANZI NON

SARÀ MAI SE NON UN FILOSOFO DIMEZZATO...NON

CONOSCERÀ MAI IL VERO ... L'ANALISI DELLE IDEE,

DELL'UOMO, DEL SISTEMA UNIVERSALE DEGLI ESSERI,

DEVE NECESSARIAMENTE CADERE IN GRANDISSIMA E

PRINCIPALISSIMA PARTE, SULLA IMMAGINAZIONE,

SULLE ILLUSIONI NATURALI, SUL BELLO, SULLE PASSIONI,

SU TUTTO CIÒ CHE V'HA DI POETICO NELL'INTERO SISTEMA

DELLA NATURA... LA DETTA ANALISI IN ORDINE ALLA FILOSOFIA,

DEV'ESSER FATTA NON GIÀ DALL'IMMAGINAZIONE O DAL CUORE,

BENSÌ DALLA FREDDA RAGIONE CHE ENTRI NE' PIÙ RIPOSTI

SEGRETI DELL'UNO E DELL'ALTRA. MA COME PUÒ FAR TALE

ANALISI COLUI CHE NON CONOSCE PERFETTAMENTE TUTTE

LE DETTE COSE PER PROPRIA ESPERIENZA, O NON LE CONOSCE

QUASI PUNTO? LA PIÙ FREDDA RAGIONE BENCHÉ MORTAL NEMICA

DELLA NATURA, NON HA FONDAMENTO NÉ PRINCIPIO, ALTRO

SOGGETTO DI MEDITAZIONE SPECULAZIONE ED ESERCIZIO

CHE LA NATURA. CHI NON CONOSCE LA NATURA, NON SA

NULLA, E NON PUÒ RAGIONARE, PER RAGIONEVOLE CH'EGLI

SIA. ORA COLUI CHE IGNORA IL POETICO DELLA NATURA,

IGNORA UNA GRANDISSIMA PARTE DELLA NATURA, ANZI

NON CONOSCE ASSOLUTAMENTE LA NATURA, PERCHÉ

NON CONOSCE IL SUO MODO DI ESSERE."

di"penetrare nel sistema della natura" la sola ragione non

basta.L'analisi è sì una categoria della ragione, ma una

ragione che non muove da un soggetto di passioni e di

contraddizioni è "fredda", scorporata, congelata nella

sua autosufficienza; la sua analisi non può che frantumarsi

sulla complessità della natura.

Sulla scena della riflessione leopardiana Natura e Ragione

sono in opposizione, e tuttavia la ragione non ha altro

fondamento né principio, altro soggetto di meditazione,

speculazione ed esercizio che la natura. Conoscere la natura

vuol dire conoscere anche il suo "modo di essere",

cioè il "poetico" della natura,; solo immaginazione e passione

rendono possibile tale conoscenza.

Opponendosi alla visione illuminista, si dichiara l'insufficienza

della ragione nella conoscenza della natura, e ciò implica che

l'aprirsi di tale scontro ha al centro la difesa del simbolico, dei

diritti del simbolico, diritti che nella topica del sapere moderno

sono contenuti nel nome della poesia, al di là della sua riduzione

a "genere" di scrittura, o ad attività propria del ruolo sociale del

letterato poeta.

Per Leopardi la filosofia diverrebbe sterile se abbandonasse

il "poetico". E il tema dell'abbandono del poetico ha nello

Zibaldone una rilevanza diversa da quella giocata nella polemica

col carattere raziocinante della filosofia moderna. L'abbandono

del poetico intende la caduta, nella civiltà, del potere delle illusioni,

lo spegnersi di passioni forti e vive, la morte delle favole antiche

e addirittura la morte di Dio: il pensiero negativo di Leopardi si

configura in un continuo racconto della crisi del moderno, in uno

sguardo sull'assenza e sull'abisso.

Con abbandono del poetico si intende uno stato di distanza

dalla natura, uno stato di chiusura nell'autosufficienza della

ragione filosofica, ed è contraddittorio con il compito stesso

di tale ragione, cioè conoscere la natura. Tolto il "meccanismo

del bello" al sistema della natura, si finisce per ragionare su

un sistema dimezzato, non intero. Lo scorporamento dei

rapporti, l'abbandono del poetico, la ricomposizione parziale

del sistema della natura sono le connotazioni di una filosofia

che si presenta come fredda proiezione della ragione.

L'autonomia della ragione è anch'essa un'illusione, una cattiva

illusione a cui è legata quella del "preteso perfezionamento

dell'uomo mediante la perfezione della ragione e della filosofia":

se la perfezione è perseguita attraverso l'astrazione dei

rapporti, essa non è per l'uomo, ma contro l'uomo. È allora

ben difficile trovare un vero e perfetto filosofo. Perché è

difficile che la filosofia si sappia rapportare alla poesia:

eppure questo rapporto è la sola condizione perché la

ragione non sia contro l'uomo. Nel seguito delle sue

osservazioni, Leopardi ci ha fornito nello Zibaldone

l'abito del "vero filosofo":

"È DEL TUTTO INDISPENSABILE CHE UN TAL UOMO

SIA SOMMO E PERFETTO POETA; MA NON GIÀ PER

RAGIONAR DA POETA; ANZI PER ESAMINARE DA

FREDDISSIMO RAGIONATORE E CALCOLATORE CIÒ

CHE IL SOLO ARDENTISSIMO POETA PUÒ CONOSCERE.

IL FILOSOFO NON È PERFETTO, S'EGLI NON È CHE

FILOSOFO... LA RAGIONE HA BISOGNO DELL'IMMAGINAZIONE

E DELLE ILLUSIONI CH'ELLA DISTRUGGE; IL VERO DEL FALSO;

IL SOSTANZIALE DELL'APPARENTE...LA GEOMETRIA E

L'ALGEBRA DELLA POESIA EC."

Pensiero poetante

Ciò che richiede il tempo della crisi non è né l'invocazione

della filosofia, di una nuova filosofia, né della poesia, di una

nuova poesia: esso richiede piuttosto l'incontro tra pensare

poetante e poesia pensante, perché è in gioco un dominio

del simbolico.  Il percorso leopardiano intreccia ricerca poetica

e tormento spirituale, nel quale la poesia, pur con tutte le sue

ombre, appare forse l'unica strada per raccontare il mistero

della natura.Leopardi ha ben chiara l'affinità tra poesia e

filosofia, ed elogia il loro scambievole rapporto.

 Tra gli appunti dello Zibaldone esprime l'importanza dell'una

per l'altra, anche se la filosofia muove verso il vero mentre

la poesia verso il bello:

 "È TANTO MIRABILE QUANTO VERO, CHE LA POESIA LA

QUALE CERCA P. SUA NATURA E PROPRIETÀ IL BELLO,

E LA FILOSOFIA CH'ESSENZIALMENTE RICERCA IL VERO,

CIOÈ LA COSA PIÙ CONTRARIA AL BELLO; SIENO LE FACOLTÀ

LE PIÙ AFFINI TRA LORO, TANTO CHE IL VERO POETA È

SOMMAMENTE DISPOSTO AD ESSERE GRAN FILOSOFO, E IL

VERO FILOSOFO AD ESSER GRAN POETA, ANZI NÉ L'UNO

NÉ L'ALTRO NON PUÒ ESSERE NEL GENER SUO NÉ PERFETTO

NÉ GRANDE, S'EI NON PARTECIPA PIÙ CHE MEDIOCREMENTE

DELL'ALTRO GENERE, QUANTO ALL'INDOLE PRIMITIVA

DELL'INGEGNO, ALLA DISPOSIZIONE NATURALE, ALLA FORZA

DELL'IMMAGINAZIONE. LE GRANDI VERITÀ,..NON SI SCUOPRONO

SE NON PER UN QUASI ENTUSIASMO DELLA RAGIONE...

SÌ LA POESIA, COME LA FILOSOFIA SONO DEL PARI LE

PIÙ SFORTUNATE E DISPREGIATE DI TUTTE LE FACOLTÀ

DELLO SPIRITO. TUTTE LE ALTRE DÀNNO PANE, MOLTE

DI LORO RECANO ONORE ANCHE DURANTE LA VITA,

APRONO L'ADITO ALLA DIGNITÀ EC.: TUTTE L'ALTRE,

DICO, FUORCHÈ QUESTE, DALLE QUALI NON V'È A

SPERAR ALTRO CHE GLORIA, E SOLTANTO DOPO LA MORTE".

Il dialogo tra pensare e poetare, il cosiddetto "pensiero poetante",

comporta in Leopardi lo smembramento del potere di una ratio che,

spossessandosi delle passioni e delle illusioni, pretende di perseguire

una perfezione della civiltà in nome di un "perfezionamento dell'uomo".

La critica della ratio per il recanatese è la critica di un modo di

conoscenza che va profilandosi come forma di potere, dunque

esclusivo, scorporante, oppressivo.

La critica della ragione, in nome del pensare poetante e della

poesia pensante, è da lui condotta nell'orizzonte della interpretazione

della natura. Nello scenario di questa critica compaiono le figure

dell'"antico", il sapere della morte, figure di un discorso che va

oltre la linea del Settecento illuminista, e fanno della scrittura

leopardiana una critica permanente delle forme del potere.

Tali osservazioni riguardo al pensiero poetante possono parere

eccessive nel confronto coi testi leopardiani, ma le domande che

investono un frammento provengono da altri frammenti: un testo

non è mai chiuso in una scrittura come quella dello Zibaldone,

che si tiene sempre lontana dalla trattazione definitiva,

dall'ambizione del sistema, dell'opera come cerchio concluso.

Maurizio Marchese

Fonti:

Antonio Prete, Il pensiero poetante - saggio su Leopardi, Feltrinelli, Milano 1980.

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, Biblioteca Donzelli, Roma 2014.

 
 
 
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