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Il nuovo inventario dei rifiuti radioattivi

Post n°2254 pubblicato il 22 Giugno 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

Il nuovo inventario dei rifiuti radioattivi

rende evidente l'urgenza di un unico

deposito nazionale definitivo per i rifiuti

ad attività bassa e media e di uno temporaneo

per quelli ad alta attività

La prima cosa che salta all'occhio sfogliando

il nuovo inventario nazionale dei rifiuti radioattivi,

aggiornato al 31 dicembre 2017, è l'inedita

paternità: con l'avvio nello scorso agosto

dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza

nucleare e la radioprotezione (Isin),  il Centro

nazionale per la sicurezza nucleare e la

radioprotezione - nato a sua volta dal

soppresso Dipartimento nucleare di Ispra -

ha cessato di esistere, cedendo funzioni,

competenze e risorse umane al nuovo ente.

Una discontinuità solo di facciata dunque,

almeno per quanto riguarda l'aggiornamento

annuale dell'inventario, condotto senza

interruzioni dal 2000. Di anno in anno, l'inventario

raccoglie e organizza i dati che i diversi gestori

di rifiuti radioattivi (proprietari dei rifiuti e

dunque responsabili della loro detenzione)

trasmettono all'Ispettorato.

Oltre a costituire un supporto all'attività di

vigilanza, l'inventario permette all'Ispettorato

di proporre misure compensative per le

comunità locali che ospitano i rifiuti radioattivi,

valutandone la pericolosità.

"Le variazioni rispetto al precedente inventario

non riflettono solo i cambiamenti nelle strategie

di gestione ma anche una migliore caratterizzazione

dei rifiuti.

Il continuo progresso tecnologico ci spinge infatti

verso una maggiore accuratezza delle misure.

Di conseguenza da un anno all'altro ci possono

essere variazioni" premette Mario Dionisi, responsabile

dell'Area tecnologie nucleari dell'Ispettorato.

Rispettando il decreto dei Ministeri dell'ambiente

e dello sviluppo economico del 2015, l'inventario

cataloga i rifiuti radioattivi in cinque categorie, a

seconda della loro attività: vita media molto

breve, attività molto bassa, bassa attività,

media attività e alta attività.

I rifiuti sono situati in 22 siti, distribuiti in sette

regioni.

Su un totale di 30.497 metri cubi, il Lazio ospita

la maggiore quantità di rifiuti: 9241 metri cubi,

pari al 30,3 per cento del totale.

La maggioranza è stoccata presso l'impianto

romano di Casaccia, gestito da Nucleco, che da

solo ospita quasi un quarto del totale nazionale.

A seguire, Lombardia (19,3 per cento), Piemonte

(16,7 per cento), Emilia-Romagna (10,5 per

cento), Basilicata (10,3 per cento), Campania

(9,6 per cento) e Puglia (3,3 per cento).

Se il volume è un parametro rilevante nella

valutazione dei rifiuti, ancora più importante

è però la loro attività, e da questo punto di vista

la regione che ne ospita di più è il Piemonte.

La maggioranza dei rifiuti radioattivi è ad

attività bassa o molto bassa.

"Eccetto il combustibile irraggiato e i materiali

attivati, cioè esposti ai flussi di particelle, lo

smantellamento delle centrali nucleari produce

solo rifiuti a bassa attività.

Tuttavia, la maggioranza dei rifiuti radioattivi

oggi generati in Italia proviene dal settore

ospedaliero e, in parte, da quello industriale:

circa 200 metri cubi all'anno", continua Dionisi.

Tra questi ci sono anche i materiali che possono

essere venuti a contatto con sostanze

radioattive, come i guanti in gomma del personale

sanitario, cotone, siringhe e altro.

La radiodiagnostica usa comunque isotopi a vita

media molto breve: dopo qualche giorno, o al più

tardi alcune settimane, sono considerati rifiuti

pericolosi convenzionali e trattati come tali.

Un capitolo a parte riguarda i rifiuti radioattivi che

derivano dalle attività di bonifica di siti industriali

contaminati accidentalmente, a seguito per

esempio di incidenti di fusione di sorgenti radioattive.

Si tratta in generale di scorie di fusione, polveri,

ceneri, prodotti finiti ma anche di materiali

provenienti dalla bonifica di forni o camini contaminati.

Ci sono casi in cui, non essendo stata rilevata

con tempestività la presenza di radioattività,

quei materiali sono stati smaltiti in discariche

convenzionali, provocando una contaminazione

radioattiva.

"In passato, infatti, non ci si accorgeva per

tempo di un eventuale incidente e il materiale

contaminato lasciava la fonderia senza la

consapevolezza della contaminazione.

Oggi le industrie si sono dotate di portali che

scansionano tutto ciò che entra ed esce, allo

scopo di rilevare l'eventuale presenza di sorgenti

radioattive", prosegue Dionisi.

Per quanto riguarda il combustibile irraggiato, il

materiale ad alta attività, ammonta a meno di 16

tonnellate, buona parte delle quali stoccate nel

deposito "Avogadro" di Saluggia, in provincia di

Vercelli. Infatti, più del 90 per cento del

combustibile irraggiato, proveniente dalle quattro

centrali nucleari nazionali dismesse, si trova nel

Regno Unito e in Francia, dove in passato è

stato inviato per essere riprocessato, cioè

sottoposto a un particolare processo chimico

che permette di recuperare l'uranio e il plutonio

ancora utilizzabile.

Residui e prodotti di fissione sono stati invece

immobilizzati nel vetro, che resiste meglio del

cemento alla radioattività, e quindi stoccati in

fusti che dovranno tornare nel nostro paese.

Un deposito per i rifiuti radioattivi

di Giovanni Zagni e Davide Maria De Luca"I

rifiuti dovranno rientrare entro il 2025 ed è

quindi necessario che l'Italia si doti della struttura

di deposito idonea a ospitarli, nella prospettiva di

smaltirli nel futuro in un deposito geologico

multinazionale" spiega Lamberto Matteocci, direttore

vicario dell'Ispettorato.

Ciò che il paese necessita con urgenza non è un

deposito geologico come quello finlandese di Onkalo,

ormai prossimo al completamento, ma un deposito

superficiale per smaltire in maniera definitiva i rifiuti

a bassa e media attività e un deposito che immagaz-

zini temporaneamente i rifiuti ad alta attività, come

appunto quelli che dovranno rientrare dalla Francia

e dal Regno Unito.

La tecnologia necessaria a realizzarlo è disponibile

da decenni, e infatti altri paesi europei li hanno già

realizzati.

"Nel nostro paese è dagli anni ottanta che si parla

di costruire un deposito centralizzato: è un processo

lungo che però rappresenta una soluzione idonea

allo smaltimento, migliore dell'attuale collocazione

dei rifiuti in più siti, che a suo tempo non sono stati

selezionati a questo scopo", sottolinea Matteocci.

Anche se la procedura di individuazione delle aree

potenzialmente idonee a ospitare il deposito nazionale

si è conclusa nel 2015, la carta nazionale non è

mai stata pubblicata e rimane secretata.

Nel frattempo, sono in corso approfondimenti sulle

caratteristiche sismiche dei siti papabili.

"In questi mesi stiamo procedendo alla validazione

della nuova lista, stilata dalla Sogin.", conclude

Matteocci. La speranza è che non condivida

la stessa sorte della precedente.

 
 
 
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