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Come cercare civiltà morte nel cosmo

Post n°2260 pubblicato il 27 Giugno 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

01 ottobre 2018

Come cercare civiltà morte nel cosmo

Come cercare civiltà morte nel cosmo

Antiche civiltà ormai estinte potrebbero essere

state comuni nella nostra galassia, e le loro reliquie

tecnologiche potrebbero trovarsi ovunque.

I primi sospetti riguardano 'Oumuamua, il misterioso

(e discusso) asteroide interstellare scoperto nel sistema

solare l'anno scorsoAbraham Loeb/Scientific American

spazioarcheologiaastrobiologia

Il tasso di crescita delle nuove tecnologie è spesso

proporzionale alle conoscenze passate, il che porta

a un avanzamento esponenziale nel tempo.

Questo processo esplosivo implica che, dopo aver

raggiunto la maturità tecnologica, una civiltà svilupperà

molto presto i mezzi per la propria distruzione per

effetto del cambiamento climatico, per esempio, o

armi nucleari, biologiche o chimiche.

Sviluppi di questo tipo, avvenuti in centinaia di anni,

apparirebbero come improvvisi nella prospettiva cosmica

di miliardi di anni.

Se questa autodistruzione fosse un fenomeno comune,

potrebbe spiegare il paradosso di Fermi (che chiede

"dove sono tutti?") e implicare che nello spazio i resti

di civiltà sepolte abbondano.

Esplorando mondi abitabili attorno ad altre stelle,

potremmo quindi trovare pianeti con superfici riarse,

megastrutture abbandonate o atmosfere ricche di gas

velenosi e nessun segno di vita.

Ancora più intrigante è la possibilità di trovare nel

nostro sistema solare relitti tecnologici che fluttuano

senza un funzionamento rilevabile, per esempio pezzi

di equipaggiamenti che hanno perso energia in milioni

di anni di viaggio e si sono trasformati in spazzatura

spaziale.

Come cercare civiltà morte nel cosmo

 La quantità di detriti nello spazio interstellare

dipenderebbe dall'abbondanza di civiltà tecnologiche e dalla

portata delle loro ambizioni di esplorazione spaziale.

Grazie ai dati del satellite Kepler, sappiamo che circa un

quarto di tutte le stelle ospita un pianeta abitabile di dimensioni

terrestri.

Anche se una piccola parte di tutte le "Terre" abitabili portasse

a civiltà tecnologiche come la nostra durante la vita delle loro

stelle, nella Via Lattea potrebbe esserci abbondanza di reperti

da esplorare.

Questa opportunità offre una potenziale base per una nuova

frontiera dell'archeologia spaziale, e cioè lo studio nello spazio

delle reliquie di civiltà passate.

Invece di usare le pale per scavare nel terreno, questa nuova

frontiera sarà esplorata usando telescopi per monitorare il

cielo e "scavare" nello spazio.

Ingenuamente, si potrebbe considerare questo orizzonte

di ricerca completamente futuristico.

Ma il dato interessante è che la prima reliquia artificiale

potrebbe essere statascoperta l'anno scorso, quando la survey

Pan STARRSsky ha identificato il primo oggetto interstellare

nel sistema solare, 'Oumuamua.

Circa un decennio fa, l'abbondanza di asteroidi interstellari

con lunghezza dell'ordine dei chilometri come 'Oumuamua è

stata stimata estremamente piccola, rendendo questa

scoperta una sorpresa completa.

Come cercare civiltà morte nel cosmo

 Inoltre, 'Oumuamua è più allungato di qualsiasi asteroide

conosciuto nel sistema solare. Ma la cosa più intrigante è che

devia dall'orbita che ci si sarebbe aspettati basandosi sul

campo gravitazionale del Sole.

Anche se queste deviazioni possono essere spiegate

con l'effetto razzo associato al degassamento dovuto al

riscaldamento di acqua ghiacciata da parte del Sole, dietro

'Oumuamua non c'era traccia di una coda cometaria, e i

calcoli implicano, contrariamente alle osservazioni, che

il suo periodo di rotazione su se stesso dovrebbe essere

cambiato significativamente se fosse presente un qualsiasi

momento torcente cometario.

'Oumuamua potrebbe avere un motore artificiale? Anche

se sembra un pezzo di roccia naturale, come indica la

mancanza di trasmissioni radio, questo oggetto è molto

insolito da molti punti di vista.

La scoperta di 'Oumumua dovrebbe spingerci a continuare

a cercare detriti interstellari nel sistema solare.

Gli oggetti interstellari potrebbero anche non essere visitatori

occasionali: una piccola parte potrebbe essere stata intrappolata

dalla "rete" gravitazionale gettata dal Sole e da Giove.

Gli oggetti che passano abbastanza vicino a Giove potrebbero

perdere energia orbitale per effetto della loro interazione

gravitazionale e rimanere legati al sistema solare.

In effetti, un asteroide che occupa un'orbita indicativa di

questa origine, BZ509, è stato recentemente identificato 

in un'orbita retrograda attorno a Giove.

Usare i razzi a propulsione chimica di oggi esistenti per

inseguire 'Oumumua è impossibile a causa della sua alta

velocità, ma si possono ipotizzare missioni per atterrare

su oggetti interstellari legati al sistema solare.

Sebbene siano una piccola minoranza di tutti gli asteroidi

o comete del sistema solare, la loro origine interstellare

può essere identificata in base alle loro orbite insolite

attorno a Giove o, nel caso delle comete, attraverso la

loro caratteristica (extrasolare) abbondanza isotopica

dell'ossigeno, rilevabile dalle osservazioni spettroscopiche

della coda.

Trovare prove per la spazzatura spaziale di origine

artificiale fornirebbe una risposta affermativa alla vecchia

domanda "Siamo soli?"

Questo avrebbe un impatto notevole sulla nostra cultura

e aprirebbe una nuova prospettiva cosmica al significato

dell'attività umana.

Speriamo che trovando una civiltà sepolta a causa di guerre

o cambiamenti climatici ci convinceremo a collaborare per

evitare un destino simile.

Ma sarebbe ancora più significativo se le immagini radar o

le fotografie ravvicinate di una reliquia interstellare all'interno

del sistema solare mostrassero segni di una tecnologia avanzata

che la nostra civiltà non ha ancora raggiunto.

Non c'è lezione migliore da imparare di quella delle civiltà che

hanno sviluppato tecnologie avanzate fino all'autodistruzione.

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su

"Scientific American" il 27 settembre 2018. Traduzione

ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata,

tutti i diritti riservati.)

 
 
 
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