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Sui buchi neri

Post n°2527 pubblicato il 02 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Così i buchi neri forgiano le galassie

Fonte: INAF/Università di Tor Vergata

Rappresentazione artistica di un outflow prodotto

da un buco nero supermassiccio. (ESA/ATG medialab)

Analizzando i dati raccolti dal telescopio spaziale per

raggi X XMM-Newton dell'ESA, un team di scienziati

guidato da Roberto Serafinelli dell'Istituto Nazionale di

Astrofisica ha mostrato come i buchi neri supermassicci

modellino le loro galassie ospiti con venti potenti che

spazzano via la materia interstellare rallentando il ritmo

di formazione di nuove stelle

Otto anni di osservazioni condotte con XMM-Newton

sul buco nero che si trova nel cuore della galassia attiva

PG 1114+445 hanno consentito di mostrare come i venti

ultraveloci - outflows (deflussi) di gas emessi dal disco di

accrescimento, nella regione prossima al buco nero stesso

- interagiscano con la materia interstellare vicino al centro

della galassia.

Questi outflows erano già stati individuati in precedenza,

ma il nuovo studio identifica chiaramente, per la prima volta,

tre fasi della loro interazione con la galassia ospite.

«Questi venti potrebbero spiegare alcune sorprendenti correla-

zioni note da anni ma che gli scienziati ancora non sono riusciti

a giustificare», dice il primo autore dello studio pubblicato

su Astronomy & Astrophysics, Roberto Serafinelli dell'Istituto

Nazionale di Astrofisica di Milano, che ha condotto la maggior

parte della ricerca durante il suo dottorato all'Università degli

Studi di Roma Tor Vergata. «Osserviamo, per esempio, una

correlazione tra le masse di buchi neri supermassicci e la

dispersione di velocità delle stelle presenti nelle regioni interne

delle galassie ospiti.

Questo però non può essere dovuto all'attrazione gravitazionale

del buco nero, a causa dell'elevata distanza del gas dallo stesso.

Il nostro studio, per la prima volta, mostra come i venti del

buco nero abbiano sulla galassia un impatto su una scala più

grande, fornendo probabilmente il collegamento mancante».

Già gli astronomi avevano identificato due tipi di outflows

negli spettri a raggi X emessi dai nuclei galattici attivi, le dense

regioni centrali delle galassie con buchi neri supermassicci al

centro.

I cosiddetti outflows ultraveloci (UFO, ultra-fast outflow),

fatti di gas altamente ionizzato, viaggiano a velocità che

possono raggiungere il 40 per cento di quella della luce, e si

osservano in prossimità del buco nero centrale.

Gli outflows più lenti, chiamati anche "assorbitori tiepidi"

(warm absorbers), viaggiano invece a velocità assai più basse,

nell'ordine delle centinaia di km/s, e mostrano caratteristiche

fisiche - come la densità delle particelle, o la loro ionizzazione

- simili a quelle della materia interstellare circostante.

Questi outflows più lenti hanno una probabilità più elevata

di essere rilevati a distanze maggiori dal centro della galassia.

Nel nuovo studio, gli scienziati descrivono un terzo tipo

di outflow che combina le caratteristiche dei due precedenti:

la velocità di un UFO e le proprietà fisiche di un assorbitore

tiepido.

«Riteniamo che si tratti della zona in cui l'UFO entra in

contatto la materia interstellare e la trascina via come fosse

uno spazzaneve», spiega Serafinelli. «È ciò che chiamiamo

un outflows ultraveloce "trascinato", perché l'UFO, in questa

fase, sta penetrando nella materia interstellare. Un po' come

il vento quando sospinge la vela di una barca».

Il trascinamento avviene a una distanza dal buco nero che va

da decine a centinaia di anni luce. L'UFO sospinge gradualmente

la materia interstellare allontanandola dalle regioni centrali

della galassia, liberando queste zone dal gas e rallentando così

l'accrescimento della materia attorno al buco nero supermassic-

cio. Un processo, questo, già previsto dai modelli, ma mai

prima d'ora osservato nelle sue tre fasi.

«Nei dati di XMM-Newton possiamo vedere - a grandi

distanze dal centro della galassia - materia ancora indisturbata

dall'UFO proveniente dell'interno», osserva Francesco Tombesi,

dell'Università di Roma Tor Vergata e del Goddard Space Flight

Center della NASA, secondo autore dello studio. «Possiamo

vedere anche nubi di gas a minor distanza dal buco nero, vicino

al nucleo della galassia, dove l'UFO ha iniziato a interagire

con la materia interstellare».

Una prima interazione, questa alla quale accenna Tombesi,

che avviene a parecchi anni di distanza da quando l'UFO ha

lasciato il buco nero. Ma l'energia dell'UFO consente al buco

nero - un oggetto relativamente piccolo rispetto alla galassia

- di estendere la sua influenza su materia che si trova ben

oltre la portata della sua forza gravitazionale.

Secondo gli scienziati, attraverso gli outflows i buchi neri

supermassicci trasferiscono la loro energia nell'ambiente

circostante, spazzando via gradualmente il gas dalle regioni

centrali della galassia, che potrebbe quindi arrestare la forma-

zione stellare. E, in effetti, oggi le galassie producono stelle

a un ritmo assai inferiore rispetto a quanto non facessero

nelle prime fasi della loro evoluzione.

«Questa è la sesta volta in cui questo tipo di outflows

vengono rivelati», ricorda Serafinelli. «Dunque è tutta scienza

nuovissima.

Le fasi dell'outflows erano state osservate in precedenza, ma

separatamente: questa è la prima volta in cui si riesce a chiarire

come siano collegate l'un l'altra».

Il fattore chiave che ha consentito di distinguere i tre tipi di

outflows è la risoluzione energetica senza precedenti di XMM-

Newton. In futuro, con nuovi e più potenti osservatori come

Athena, l'Advanced Telescope for High ENergy Astrophysics

dell'ESA, gli astronomi saranno in grado di osservare centinaia

di migliaia di buchi neri supermassicci, rilevando gli outflows

con grande facilità. Cento volte più sensibile di XMM-Newton,

Athena dovrebbe essere lanciato nel 2030.

«Trovare una sorgente è fantastico, ma la vera svolta sarebbe

scoprire che questo fenomeno è comune nell'universo», dice

Norbert Schartel, project scientist di XMM-Newton all'ESA.

«Anche con XMM-Newton, nel prossimo decennio, potremmo

essere in grado di trovare altre sorgenti come questa».

 Ottenere ulteriori dati aiuterà in futuro gli scienziati a

comprendere in dettaglio le complesse interazioni tra i buchi neri

supermassicci e le loro galassie ospiti, e a capire le ragioni della

riduzione - nel corso di miliardi di anni - del tasso di formazione

stellare osservata dagli astronomi

 
 
 
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