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La condizione della donna nell'antica Roma...

Post n°2683 pubblicato il 31 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Lavoratrici, schiave e prostitute nell'antichitàEcco la drammatica condizione delle

tante donne in lotta per la sopravvivenza

Lavoratrici schiave prostitute. donne romane ai margini

Il ruolo della donna ideale... per la società (maschile) nel mondo romano

Il ruolo della donna ideale antica è fra le pareti domestiche, quale brava ed economa

padrona e madre di numerosa prole legittima.

Le uniche attività che la società (maschile) le concede rientrano in quest'ambito

. In particolare, la tessitura: vera e propria icona della positività femminile.

È un'immagine che tuttavia riguarda i ceti privilegiati.

Le donne greche e romane delle classi popolari lavorano - e molto - fuori dalle

pareti domestiche: contadine, artigiane, operaie, specializzate o meno, venditrici

ai mercati, profumiere, parrucchiere, massaggiatrici, guardarobiere, cameriere...

Sono categorie che trovano impiego anche presso le grandi famiglie della Roma

tardorepubblicana e imperiale e, in particolare, nella 

domus dell'imperatore.

In questi ultimi casi si tratta soprattutto di liberte e schiave.

L'attività lavorativa di queste donne, inserite in una precisa gerarchia a seconda

delle funzioni, è documentata soprattutto nei columbaria, dove venivano sepolti

domestici, schiavi e liberti delle familiae più in vista.

Famosissimo è quello di Livia lungo la via Appia (monumentum Liviae, in uso

nel I sec. d.C. dalla tarda età augustea ai tempi di Claudio).

Schiave del sesso: quando lavorare è un'infamia

Le attività commerciali e del terziario erano esercitate soprattutto da liberte.

Nel caso di piccole imprenditrici, ad esempio titolari di laboratori tessili,

è frequente la menzione sulla pietra tombale dell'attività svolta, quale segno

distintivo rispetto alla massa delle altre donne lavoratrici.

Ma le cauponae, le vinariae, le popinariae, cioè ostesse, locandiere e bariste

, esercitavano attività che le ponevano ai livelli più bassi della considerazione

, tanto che il diritto romano equiparava le donne che lavoravano nei locali

pubblici (comprese attrici, cantanti e ballerine) alle meretrices (prostitute).

Erano quindi colpite da infamia e soggette a limitazioni giuridiche.

Le prostitute vere e proprie erano soprattutto schiave, importate dall'estero, o

donne rapite, oppure trovatelle, raccolte e vendute a tenutari di lupanaria (postriboli)

Esistevano vari livelli di prostituzione (del resto come oggi): quella d'alto bordo

, cioè il mondo delle cortigiane, greche o di origine orientale, esperte di musica,

canto, danza e poesia, come la famosa Neera, nota dall'orazione dello Pseudo

Demostene, o come Chelidone, nelle Verrine di Cicerone.

Famosa e denigrata fu la passione di Marco Antonio per la mima Licoride:

Cicerone, ostile ad Antonio, dice che la trattava come una moglie e ne era

infatuato al punto da regalarle fertili terreni in Campania.

Antonio però, non esitò ad abbandonarla, attorno al 47 a.C., quando per lui si

rese necessaria un'immagine più sobria.

Un rapporto analogo sarà quello fra Nerone e la liberta Atte.

Questa ebbe in dono possedimenti in Gallura (Sardegna), denaro, schiavi.

A Olbia è stato rinvenuto un suo ex voto per l'appassionato Nerone (studiato

da Paola Ruggeri dell'Università di Sassari, che lo considera un ringraziamento

per la salvezza dell'imperatore, scampato alla congiura dei Pisoni).

Essendo una ex schiava, Atte non poteva che essere concubina, fedele

comunque all'imperatore fino alla morte, tanto che insieme a due nutrici

si assume il compito di seppellirne il corpo.

In ogni caso, per la mentalità maschile antica, una donna di facili costumi,

una ex schiava, non avrebbe mai potuto sposare un aristocratico, come per

altro impose la legislazione augustea.

Prostituirsi per sopravvivere

Ieri come oggi: un'esistenza di abusi e miseria

Le immagini da Pompei parlano chiaro della condizione della donna

In fondo alla scala sociale erano le prostitute, quelle a basso costo che si

offrivano nei lupanari più degradati, negli angiporti, per strada.

A Roma ce n'erano tante nel quartiere della Suburra, tra il Quirinale e

il Viminale.

La documentazione pompeiana ci dà un'idea della vita di queste donne e

dei loro clienti.

I graffiti sui muri di postriboli e strade riportano tariffe e prestazioni, anche

a scopo pubblicitario.

I prezzi vanno da due assi (il costo di un boccale di vino) fino a sedici.

La prostituta di strada viveva una condizione di assoluta marginalità, vittima

della miseria, tra gli abusi dei clienti e la violenza degli sfruttatori, esposta a

ogni sorta di malattie, destinata a un invecchiamento precoce, a morire giovane.

Si discute il caso di Asellina, barista di via dell'Abbondanza, firmataria di un

manifesto elettorale dipinto sui muri del suo 

thermopolium (bar) in favore di certo Fusco, candidato a una carica cittadina.

Firmano con lei altre tre donne, Maria, Zmyrina ed Egle, che si definiscono

 asellinae (schiave e bariste) e che, all'occorrenza, si prostituivano al piano

superiore del locale.

Cose simili succedevano alle terme con il personale, maschile e femminile,

addetto alla custodia dei vestiti. Non a caso, a Pompei è attesta una

concentrazione di lupanari nelle adiacenze degli edifici termali.

Famoso è il lupanare nei pressi delle terme stabiane.

Il piano terreno ha cinque celle, provviste di un letto in muratura su cui veniva

posto un materasso; sul fondo è una piccola latrina, parzialmente nascosta da

un muretto; le celle del piano superiore godevano di maggiore privacy: ogni

cella è decorata da affreschi che illustrano le posizioni (figurae veneris)

di piacevoli ragazzi e ragazze intenti a fare l'amore.

Ma sono immagini ideali, in netto contrasto con il linguaggio volgare dei graffiti,

che era invece lo specchio fedele di tante misere vite.

Francesca Cenerini
da Archeologia Viva n. 132

 
 
 
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