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Esiste il cigno nero....

Post n°3201 pubblicato il 21 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

La rivoluzione del cigno nero

 

La rivoluzione del cigno nero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando i primi europei del capitano Cook arrivarono

per la prima volta in Australia, rimasero di stucco

vedendo una cosa che credevano impossibile  e che li

sconvolse: lì i cigni, invece che bianchi, erano tutti neri!

"Il cigno nero" è il titolo del libro più famoso di Nassim

Taleb, filoso e matematico nonché una delle menti più

brillanti del nostro tempo.

Egli definisce cigni neri tutti quegli eventi rari, difficilmente

prevedibili ma di grandissimo impatto, in grado di cambiare

radicalmente la storia di una comunità, di un popolo o

addirittura dell'intera umanità.

I cigni neri di solito scombussolano, ma da essi si può

imparare molto, anzi, si può addirittura trarre dei benefici

dal loro arrivo, se lo si accoglie con lo spirito giusto.

Il nostro "cigno nero"

Quello che stiamo vivendo tutti in questi giorni confusi

di Covid-19 assomiglia molto a un cigno nero di Nassim

Taleb e io mi sto chiedendo come possiamo trasformare

questo momento di crisi in un'occasione di rilancio per il

dopo.

Che non sarà tra molto tempo (anche se a qualcuno

potrà sembrare un'eternità), ma tra poche settimane.

Photo by Anna Shvets from Pexels

E la palese diminuzione, che già si avverte, di alcuni

elementi di impatto ambientale come l'inquinamento

dell'aria o il rumore mi fa pensare che il nostro personale

cigno nero potrebbe essere proprio quello di attuare una

vera Rivoluzione resiliente nelle proprie vite, partendo dagli

aspetti ambientali (sebbene ognuno potrà applicare questi

principi anche ad ogni aspetto personale e in altri campi).

Come sappiamo ogni anno viene calcolato l'Overshoot day:

il giorno nel quale esauriamo le risorse naturali disponibili

sul nostro Pianeta e, a cascata, nel nostro territorio

(per esempio, l'Italia).

I dati arrivano da Global Footprint Network, ente che studia

l'impronta ecologica: un indicatore che calcola annualmente

l'area biologicamente produttiva di terra e di risorse idriche

necessarie per soddisfare i nostri consumi.

Il terreno realmente disponibile per tutti i nostri consumi è

pari a 1,1 ettari e, solo di rifiuti urbani, in Italia ne produciamo

ogni anno 30 milioni di tonnellate (circa  650 kg per abitante),

di cui solo la metà è riciclato, il resto è incenerito o smaltito

in discarica.

Ecco allora che in questa occasione di sosta forzata potremmo

ripensare alla nostra personale impronta ecologica e decidere

di introdurre un vero cambiamento del nostro modo di vivere,

secondo una logica di rivoluzione ambientale resiliente.

Cercando anche di costruire un nostro personale ecosistema

di vita che sia meno fragile di quello che oggi ci viene proposto

in modo standardizzato.

Il Centro per la Resilienza di Stoccolma individua alcuni passi

per costruire un sistema resiliente: mantenere la ridondanza -

che è abbondanza di diversità e di funzioni e non omologazione -

e garantire la connettività - ossia i collegamenti e gli scambi tra

sistemi diversi -. Che nel nostro caso possono essere anche

persone o comunità.

Attenzione poi ai feedback, ossia alle risposte che abbiamo dal

sistema, che devono essere vicine e percepibili, e senza

dimenticare la necessità di apprendere continuamente e anche

dall'essere parte di una comunità.

Questo permette di costruire sistemi modulari, autonomi e ciclici.

Ovvero, prendendo ispirazione dalla natura, arrivare a creare

cicli completi e chiusi, senza sprechi, secondo la famosa regola

delle 3 "R": ridurre, riutilizzare, riciclare.

Cominciamo, dunque, ad adottare uno stile di vita più semplice

e impariamo a viaggiare leggeri: non acquistare ciò di cui non

si ha davvero bisogno, diminuire gli strumenti finanziari (basta una

sola carta di credito  e non magari 3 o 4), utilizzare e riutilizzare

i prodotti il più possibile, riciclare seguendo i metodi di smaltimento

più corretti e, infine, non farci intrappolare in rigidi schemi di

gruppo, preconfezionati e rassicuranti.

La vera rivoluzione resiliente sarà sempre un percorso individuale

e ognuno dovrà imparare a costruirsi il proprio "abito su misura",

come un bravo sarto e senza paura.

 
 
 
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