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Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3296 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

Il nome della rosa

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il nome della rosa è un romanzo scritto da 

Umberto Eco ed edito per la prima volta da 

Bompiani nel 1980.

Già autore di numerosi saggi, il semiologo decise

di scrivere il suo primo romanzo, cimentandosi

nel genere del giallo storico e in particolare del 

giallo deduttivo.

Tuttavia, il libro può essere considerato un

incrocio di generi, tra lostorico, il narrativo e

il filosofico.

L'opera, ambientata sul finire dell'anno 1327,

si presenta con un classicoespediente letterario,

quello del manoscritto ritrovato, opera, in

questo caso, di un monaco di nome Adso da Melk,

che, divenuto ormai anziano, decide di mettere

su carta i fatti notevoli vissuti da novizio, molti

decenni addietro, in compagnia del proprio

maestro Guglielmo da Baskerville.

La vicenda si svolge all'interno di un monastero 

benedettino di Santa Scolastica, ed è suddivisa

in sette giornate, scandite dai ritmi della 

vita monastica.

Il romanzo ha ottenuto un vasto successo di critica

e di pubblico, venendo tradotto in oltre 40 lingue

con oltre 50 milioni di copie vendute in trent'anni.

 Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui

il Premio Strega del 1981, ed è stato inserito nella

lista de "I 100 libri del secolo di Le Monde".

Dal romanzo sono state tratte diverse trasposizioni,

tra cui se ne segnalano due: l'omonimo film del 1986,

diretto da Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery

Christian Slater e F. Murray Abraham;

l'omonima miniserie del 2019, diretta da Giacomo Battiato,

con John TurturroDamian Hardung e Rupert Everett.

Nel maggio del 2020, la casa editrice

 La Nave di Teseo, fondata dallo stesso Eco,

pubblica una versione del romanzo arricchita coi

disegni e gli appunti preparatori dell'autore.

Trama

«Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani

un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en français d'après l'édition de Dom J. Mabillon

 (Aux Presses de l'Abbaye de la Source, Paris, 1842)»

(Umberto Eco, Incipit della prefazione a Il nome della rosa1980)

Nel prologo, l'autore racconta di aver letto durante

un soggiorno all'estero il manoscritto di un monaco

benedettino riguardante una misteriosa vicenda

svoltasi in età medievale in un'abbazia sulle Alpi

piemontesi.

Rapito dalla lettura, egli inizia a quel punto a tradurlo

su qualche quaderno di appunti prima di interrompere

i rapporti con la persona che gli aveva messo

il manoscritto tra le mani.

Dopo aver ricostruito la ricerca bibliografica che lo

portò a recuperare alcune conferme, oltre alle parti

mancanti del testo, l'autore passa quindi a narrare

la vicenda di Adso da Melk.

Gli omicidi nell'abbazia

È la fine di novembre del 1327. Guglielmo da

Baskerville, un frate francescano inglese, e Adso

da Melk, suo allievo, si recano in un monastero

 benedettino di regola cluniacense sperduto sui

monti dell'Italia settentrionale.

Questo monastero sarà sede di un delicato

convegno che vedrà protagonisti i francescani -

sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati

dell'imperatore Ludovico - e i delegati della 

curia papale di Papa Giovanni XXII, insediata

a quei tempi ad Avignone.

I due religiosi(Guglielmo è francescano e 

inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è

un novizio benedettino) si stanno recando in

questo luogo perché Guglielmo è stato incaricato

dall'imperatore di partecipare al congresso quale

sostenitore delle tesipauperistiche.

Allo stesso tempo, l'abate, timoroso che l'arrivo

della delegazione avignonese possa ridimensionare

la propria giurisdizione sull'abbazia e preoccupato

che l'inspiegabile morte del giovane confratello

Adelmo durante una bufera di neve possa far

saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa

su di lui, decide di confidare nelle capacità

inquisitorie di Guglielmo affinché faccia luce sul

tragico omicidio, cui i monaci tra l'altro attribuiscono

misteriose cause soprannaturali.

Nel monastero circolano infatti numerose credenze

circa la venuta dell'Anticristo.

Nonostante la quasi totale libertà di movimento

concessa all'ex inquisitore, un altro monaco viene

ucciso: si tratta di Venanzio, giovane monaco

traduttore dal greco e amico di Adelmo.

Un personaggio su cui si vociferano malignità è l'aiuto

bibliotecario Berengario, troppo succube del bibliotecario

Malachia.

Grasso e minato nella salute (soffre di convulsioni),

pecca anche di sodomia concupendo i giovani monaci

e scambiando favori sessuali con libri proibiti.

Guglielmo ipotizzerà infatti che è proprio a causa

di questo scambio che Adelmo si toglie la vita, non

prima di aver rivelato a Venanzio del libro e

come trovarlo.

Guglielmo sospetta sin dall'inizio e man mano

si convince sempre più che il segreto dietro tutte

le morti sia da cercare nella lotta di potere all'interno

dell'abbazia ed in un libro misterioso nascosto

nella biblioteca, vanto del monastero (costruita

come un intricato labirinto a cui hanno accesso

solo il bibliotecario e il suo aiutante).

Durante le indagini sulla morte di Adelmo e Venanzio,

infatti, Guglielmo trova su un frammento di pergamena

delle scritte fatte da due mani diverse, una in greco

(che riconduce ad uno "strano" libro) ed una in

latino (la chiave per entrare nel Finis Africae,

settore della biblioteca in cui è custodito il libro,

che riporta la frase: "Secretum finis Africae manus supra idolum age primum et septimum de quatuor"). Guglielmo conclude che

Venanzio ricevette questo brandello di pergamena

da Adelmo quando lo incontrò mentre vagava tra

le tombe nel cimitero per andare incontro al suo

destino.

La notte dopo Venanzio si reca in biblioteca e riesce a

recuperare il libro. Trovatolo morto nello scriptorium, un

misterioso monaco (che si scoprirà poi essere Berengario)

- per allontanare lo scandalo dalla biblioteca - si carica il

cadavere in spalla e lo scarica nell'orcio pieno di sangue

dei maiali.

 

Mappa della biblioteca

Quella stessa mattina, convinti di dar la caccia a un

libro in greco, né Adso né Gugliemo prestano

attenzione ad un libro scritto in arabo e su diversi tipi

di pergamena che si trova sul tavolo di Venanzio.

Quello stesso libro viene quindi recuperato di notte

dall'aiuto bibliotecario Berengario, che sottrae anche

le lenti da vista di Guglielmo. Guglielmo e Adso

entrano nella biblioteca, ma non sapendo né come

orientarsi né cosa cercare rischiano di perdersi nel

labirinto, ma riescono fortuitamente ad uscirne.

Il mattino successivo anche Berengario risulta sparito

e si ritroverà solo a sera, morto, nei balnea.

All'autopsia, anche Berengario ha la punta delle

dita e della lingua nere.

Nel monastero sono presenti anche due ex

appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario

Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore, che

parla una strana lingua fatta da un mix di latino,

spagnolo, italiano, francese, inglese.

Remigio intrattiene un commercio illecito con una

povera fanciulla del luogo, che in cambio di favori

sessuali riceve cibo dal cellario.

Anche il giovane Adso, una notte, per una serie di

circostanze, fa la conoscenza della ragazza nelle

cucine dell'edificio.

Adso scopre i piaceri dei sensi e nutre per la ragazza

un misto di amore e preoccupazione.

Confessata pudicamente a Guglielmo la sua avventura,

questi gli dice che il fatto non dovrà più ripetersi ma

che non si tratta di un peccato così grave se

paragonato a quelli che stanno avvenendo nell'abbazia

sotto i loro occhi.

L'indagine di Guglielmo è interrotta dall'arrivo della

delegazione papale.

L'inquisitore Bernardo Gui trova la fanciulla insieme a

Salvatore e prende spunto dalla presenza di un gallo

nero, che la ragazza affamata avrebbe voluto mangiare,

per accusare entrambi di essere cultori di riti satanici.

Dopo esser riuscito a ottenere una confessione

dal povero Salvatore, che ammette il suo passato

di dolciniano, Bernardo Gui processa e condanna

fra' Remigio, Salvatore e la fanciulla, dichiarandoli

inoltre colpevoli delle morti avvenute nel

monastero.

All'elenco delle morti, infatti si sono aggiunti l'erborista

Severino da Sant'Emmerano - che fino ad allora aveva

aiutato Guglielmo con le sue conoscenze sulle erbe -

e, il giorno seguente, il bibliotecario Malachia da

Hildesheim che stramazza a terra morto nel mezzo

dell'ufficio delle letture di Mattutino.

Guglielmo ricostruisce l'accaduto: Berengario ha disob-

bedito per la prima volta a Malachia ed invece di

consegnargli il libro misterioso lo ha letto.

Tormentato dal veleno, si è recato in erboristeria per

cercare delle erbe lenitive per fare il bagno, ha nascosto

il libro in erboristeria ed è poi morto nei balnea.

Severino ha trovato il libro, cerca di avvertire Guglielmo

impegnato nella disputa teologica sul tema della povertà

 dellaChiesa cattolica, ma viene intercettato da Malachia,

che lo uccide.

Ma nemmeno Malachia riconosce il libro, lo trova

invece Bencio, che lo nasconde.

Quando Malachia gli propone di diventare il nuovo aiuto

bibliotecario, Bencio gli restituisce il libro.

Anche Malachia legge il libro invece di rimetterlo

al suo posto e per questo trova la morte.

Morendo mormora "aveva il morso di mille scorpioni".

Bencio è un ambizioso: ha desiderato il posto da

bibliotecario e ha nascosto informazioni a Guglielmo,

ma adesso è disperato e non sa cosa fare.

Guglielmo lo rimprovera aspramente e gli consiglia

di non fare niente se vuole aver salva la vita.

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