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Il nome della rosa di U.Eco.

Post n°3295 pubblicato il 02 Novembre 2020 da blogtecaolivelli

La lotta di potere all'interno

dell'abbazia e la genealogia

dei bibliotecari e degli abati

Guglielmo e Adso hanno modo di parlare con tutti i monaci

dell'abbazia.

In particolare i colloqui con il mastro vetraio Nicola da

Morimondo e con il vecchio Alinardo da Grottaferrata

risultano molto interessanti.

Molti monaci sono scontenti per il modo in cui l'abbazia

viene guidata.

Si maligna su Abbone, divenuto abate perché figlio di un

feudatario e non per meriti religiosi se non quello di essere

riuscito a calare il corpo di San Tommaso d'Aquino dalla

torre dell'abbazia di Fossanova (dove l'Aquinate effettivamente

morì).

Durante lo stesso colloquio con Nicola da Morimondo,

Guglielmo scopre che la nomina ad abate di Abbone ha sconvolto

le tradizioni due volte: innanzi tutto perché non era stato

bibliotecario e poi perché aveva nominato bibliotecario un tedesco

(Malachia), che si era scelto come aiuto un inglese (Berengario),

scontentando gli italiani che erano legati alla tradizione di

avere bibliotecari (e quindi abati) italiani. All'arrivo di Nicola

da Morimondo all'Abbazia, infatti, Abbone era già abate ma

il bibliotecario era Roberto da Bobbio ed i confratelli anziani

vociferavano di uno sgarbo subito in passato da Alinardo da

Grottaferrata a cui era stata negata la dignità di bibliotecario.

Roberto da Bobbio aveva un aiutante che era poi morto e al suo

posto era stato nominato Malachia che, divenuto bibliotecario,

aveva eletto Berengario come suo aiuto.

Era voce comune tra i monaci dell'Abbazia che Malachia fosse uno

sciocco che faceva il cane da guardia all'abbazia senza aver capito

nulla.

Infatti chi aveva bisogno di consigli circa i libri, chiedeva a Jorge e

non a Malachia, tanto che a molti sembrava che fosse Jorge a dirigere

il lavoro di Malachia.

Guglielmo apprende che - secondo la regola benedettina - il bibliotecario

è il candidato naturale a diventare abate.

Prima di Abbone l'abate era Paolo da Rimini, prima ancora bibliotecario

e lettore voracissimo ma incapace di scrivere e pertanto soprannominato

 abbas agraphicus e Roberto da Bobbio era il suo aiuto.

Quando Paolo diventa Abate, Roberto diventa bibliotecario, ma è già malato.

Paolo da Rimini scompare durante un viaggio e pertanto viene nominato

abate Abbone e non Roberto da Bobbio.

Nicola è convinto che Berengario e Malachia siano stati uccisi proprio

perché un domani non diventassero abati e pertanto conclude che anche

Bencio - essendo straniero - è in pericolo se Abbone lo nominerà

bibliotecario.

La biblioteca ha un catalogo su cui sono riportati, dal bibliotecario o

dall'aiuto, tutti i libri che transitano dall'abbazia.

Consultandolo,Guglielmo rintraccia il susseguirsi degli abati e dei

bibliotecari attraverso le loro calligrafie.

Di chi è la calligrafia che riporta le acquisizioni al posto di Paolo da

Rimini che non poteva scrivere? e allora capisce che l'aiuto bibliotecario

di Roberto da Bobbio - che Nicola aveva ipotizzato essere morto -

in realtà non è morto.

Nel colloquio successivo con Bencio si scopre che il libro che stanno

cercando è strano perché in realtà è composto di 4 testi: uno arabo,

uno in siriano, uno in latino ed infine uno in greco, definito acephalus 

perché mancante della parte iniziale.

Inoltre, Bencio riporta che il testo greco è scritto su carta diversa, più

soffice ed intrisa di umidità fin quasi a sfaldarsi.

Guglielmo riconosce in quel tipo di carta il pergamino de pano e finalmente

ha la certezza dell'identità del responsabile delle morti.

La soluzione del mistero

Guglielmo cerca di avvertire l'Abate del pericolo che lo minaccia, ma

l'Abate decide per insabbiare la vicenda e risolverla con la sua autorità.

Grazie a una celia in latino volgare riportatagli da Adso,

Guglielmo scopre come entrare nel finis Africae dove è custodito

il manoscritto fatale (l'ultima copia rimasta del secondo libro

della Poetica di Aristotele), che tratta dellacommedia e del riso.

Mentre salgono in biblioteca dall'ingresso posto dietro l'altare

della chiesa che poi attraversa l'ossario, Guglielmo e Adso odono

un battere disperato ai muri e capiscono che è l'abate che è rimasto

imprigionato in un secondo accesso diretto al finis Africae, le cui

porte possono venire azionate solo dall'alto.

Nel finis Africae trovano il vecchio Jorge (il pergamino de pano

veniva prodotto in Spagna, Jorge è l'aiutante bibliotecario che

aveva vinto la carica contro Alinardo e la cui calligrafia nel

catalogo copre diverse pagine in corrispondenza del periodo in cui

Paolo da Rimini era bibliotecario ma incapace di scrivere; divenuto

cieco aveva dovuto rinunciare alla carica di bibliotecario e di abate,

facendo eleggere Malachia al suo posto ma continuando di

fatto a governare la biblioteca).

Jorge offre a Guglielmo il libro da leggere, ma Guglielmo ha previsto

anche questo tranello (l'umidità delle pagine è dovuta al veleno

cosparso da Jorge sui bordi in modo da avvelenare ogni malcapitato

lettore che dovesse sfogliarlo) e sfoglia il libro con le mani protette

da un guanto, evitando quindi il contatto con il veleno.

Jorge si riprende il libro e scappa approfittando del buio, inseguito

da Guglielmo e da Adso che si orientano con la provenienza della

voce del vegliardo.

Lo raggiungono in una sala e lo trovano intento a strappare e

divorare le pagine avvelenate del testo in modo che più nessuno

possa leggerlo.

Percepito il calore del lume, Jorge lo rovescia, provocando un

incendio che nessuno riuscirà a domare e che inghiottirà nel

fuoco l'intera abbazia.

Epilogo

Adso e Guglielmo, scampati all'incendio, abbandonano l'abbazia.

Adso e Guglielmo si separano.

Adso diventa monaco e narra di aver fatto ritorno anni dopo

all'Abbazia, trovando - dove anni prima si erano consumati omicidi,

intrighi, veleni e scoperte - solo silenzio ed angosciosa solitudine.

 
 
 
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