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Messaggi di Maggio 2018
Post n°1667 pubblicato il 24 Maggio 2018 da blogtecaolivelli
Risorse Internet Il successo da vivo e l'oblio dopo la morte Anatole France fu considerato come un'autorità morale e letteraria di primo piano. Fu apprezzato da scrittori e personalità come Marcel Proust (France è considerato come uno dei modelli che ispirò Proust per il personaggio dello scrittore Bergotte nella Recherche), Marcel Schwob, Léon Blum, il russo Evgenij Zamjatin. Fu inoltre letto e influenzò scrittori che respingevano il naturalismo, come lo scrittore giapponese Jun'ichirō Tanizaki. Le sue opere furono pubblicate dall'editore Calmann-Lévy dal 1925 al 1935. Anatole France, da vivo e poco dopo la sua morte, fu l'oggetto di un gran numero di studi. Ma, dopo la sua morte, fu bersaglio di un pamphlet dei surrealisti, Un cadavere, a cui parteciparono Drieu La Rochelle e Aragon, autore di un testo intitolato: «Avete già schiaffeggiato un morto?» in cui scrive: «Per me ogni ammiratore di Anatole France è un essere degradato». Per lui, Anatole France è un "esecrabile istrione dello spirito", rappresentante della "ignominia francese". André Gide lo giudicava uno scrittore "senza inquietudine" di cui "si capisce tutto subito". La reputazione di France divenne così quella di uno scrittore paludato dallo stile classico e superficiale, autore ragionevole e conciliante, compiacente e soddisfatto, e anche melenso, tutte qualità mediocri incarnate soprattutto dal personaggio del signor Bergeret. Diversi specialisti dell'opera di France considerarono tuttavia questi giudizi eccessivi e ingiusti, o perfino frutto di ignoranza, in quanto trascurano gli elementi magici, irragionevoli, buffoneschi, neri o pagani. Per questi, l'opera di France ha sofferto e soffre ancora di un'immagine ingannevole. Di riflesso a questo oblio relativo e alla scarsa conoscenza, le opere su France sono oggigiorno rare e i suoi libri, eccetto i pochi più noti, sono difficilmente ristampati. Alcune sono disponibili (in lingua francese) come risorsa elettronica sul sito del Progetto Gutenberg (sono segnalate con PG). Tetralogia della "Storia contemporanea" Ciclo di quattro volumi (L'histoire contemporaine):
Altri romanzi
Antologie
Varie
Curiosità Il procuratore della Giudea è un racconto del 1902 che fino all'anno 1920 è sempre stato isolato, tanto da presentarsi solo in edizioni numerate, di rara bellezza e grande pregio; poi il Premio Nobel del suo autore e, di nuovo, il silenzio - se non tra gli alunni dei più prestigiosi licei classici, "iniziati" alle fonti che l'autore ha utilizzato e che ben sintetizza Sciascia nelle note (come gli Annali di Tacito, libro terzo o la Guerra Giudaica di Flavio Giuseppe); il libro è davvero poco conosciuto. Il racconto è, come lo ha definito Sciascia, "un'apologia dello scetticismo" e narra dell'incontro di Ponzio Pilato oramai vecchio, con un altrettanto vecchio amico che ospitò nella Provincia da lui amministrata, il protagonista del racconto appunto, Elio Lamia. Parlando di politica romana e di ebrei, di divinità e Dio, il racconto si chiude con una domanda: "Gesù, ti ricordi di quest'uomo?" e la risposta di Ponzio Pilato "no, non lo ricordo" conclude il racconto alla luce dell'amore cristiano. Note
Bibliografia
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Post n°1666 pubblicato il 23 Maggio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: rivista Le scienze, risorse Internet. Il popolamento del Sudest asiatico è stato caratterizzato da tre grandi flussi migratori - il primo circa 50.000 anni fa, l'ultimo in epoca storica - che però non portarono a un completo rimescolamento delle popolazioni, tanto che si trovano ancora comunità che discendono direttamente dalle tribù originarie di cacciatori-raccoglitori(red) Una prima parziale ricostruzione della storia genetica delle popolazioni del Sudest asiatico è stata realizzata da un gruppo internazionale di ricercatori che hanno scoperto come quelle regioni siano state interessate da almeno tre grandi flussi migratori; queste popolazioni si sono però amalgamate in misura molto minore di quanto è avvenuto in Europa. Lo studio è illustrato in un articolo su "Science". del Sudest asiatico - la cui complessa storia è testimoniata dai reperti archeologici e dai riscontri linguistici - è una vera sfida perché l'ambiente caldo umido delle regioni tropicali rende estremamente difficile la conservazione del DNA. cui è stato possibile recuperare il DNA.Ricerche precedenti avevano comunque stabilito che i primi esseri umani moderni a popolare il Sudest asiatico furono delle tribù di cacciatori- raccoglitori arrivate fra 45.000 e 50.000 anni fa. Mark Lipson, della Harvard Medical School, e colleghi, sono ora riusciti a ricostruire con sufficiente accuratezza il DNA tratto dai resti di 18 individui vissuti in diverse aree della regione in un lasso di tempo compreso fra 4100 e 1700 anni fa e lo hanno confrontato con le sequenze genetiche di persone che oggi vivono in Vietnam, Thailandia, Myanmar e Cambogia. 4500 anni fa, ci fu un grande afflusso dalla Cina di popolazioni che introdussero pratiche agricole e si mescolarono - anche se non ovunque - con i cacciatori-raccoglitori locali. Le persone che oggi mostrano questo tipo di ascendenza parlano per lo più lingue austroasiatiche; secondo i ricercatori è quindi probabile che quei gruppi di contadini provenienti dal nord siano stati i primi a diffondere queste lingue. nuova ondata migratoria. che raggiunse prima la Birmania (3000 anni fa circa), poi il Vietnam (2000 anni fa circa) e i nfine la Thailandia (1000 anni fa circa). Le popolazioni protagoniste di questa seconda ondata non erano perfettamente uniformi dal punto di vista genetico e le differenze genetiche ancor oggi riscontrabili rispecchiano anche le diverse lingue parlate. popolazioni preesistenti è stato infatti parziale, tanto che, ha detto David Reich, coautore della ricerca, "ancora oggi nella regione vivono persone che discendono quasi direttamente da ciascuna delle tre popolazioni originarie, compresi individui - che vivono in Thailandia, Malesia, Filippine e Isole Andamane - con una significativa ascendenza dai primi cacciatori-raccoglitori". vari gruppi possa essere in parte spiegata dal fatto che gli agricoltori sono arrivati nel Sudest asiatico molto più tardi che in Europa - circa 4500 anni fa rispetto a 8000 anni fa - lasciando alle popolazioni meno tempo per mescolarsi e compensare le variazioni genetiche. |
Post n°1665 pubblicato il 12 Maggio 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet Il tentativo è stato quello di portare la possibilità di una vita su Marte sempre più vicina alla realtà: per questo, alcuni scienziati della Wageningen University dei Paesi Bassi hanno iniziato dei tentativi di coltivazioni che potrebbero essere replicate sul pianeta. È stato creato un terreno simile a quello presente su Marte e i ricercatori sono riusciti a farci crescere con successo ben 10 tipi diversi di coltivazioni, di cui già quattro sono state testate e dichiarate commestibili: ravanelli, piselli, segale e pomodori sono stati considerati sicuri per il consumo umano. La coltura è stata possibile grazie ad un terreno simile a quello marziano e a quello lunare, sviluppato dalla National Aeronautics and Space Administration (NASA) - in sperimentazione dal 2013. Quello che gli scienziati della Wageningen University dovevano scoprire era diviso in due step: innanzitutto bisognava capire se le piante potevano essere coltivate su quel tipo di terreno e, in seguito, se ne doveva verificare la commestibilità (il suolo di Marte contiene metalli pesanti - come alluminio, rame, ferro, manganese, zinco, arsenico, cadmio, cromo, nichel e piombo - quindi bisognava capire in che quantità essi erano trasmessi alle colture, visto che in grandi quantità potevano essere velenosi). La ricerca, oltre ad essere sostenuta da Mars One - il progetto che mira a fondare una colonia permanente su Marte e per il quale, quindi, è chiaramente fondamentale l'alimentazione -, è stata finanziata grazie a una campagna di crowdfunding che ha appena superato la metà dell'obiettivo che si era posta - la raccolta andrà avanti fino alla fine di agosto. Con questo denaro verranno finanziati i test sulla commestibilità delle altre sei colture. |
Post n°1664 pubblicato il 11 Maggio 2018 da blogtecaolivelli
DA SCIENZE 11 MAGGIO 2018 Kenya, scoperti albori della tecnologia: risalgono a 67mila anni fa Un gruppo di paleontologi riscrive la storia a cavallo tra Età della Pietra ed Età del Ferro dopo aver rinvenuto nuovi utensili in una caverna sulla costa del Paese africano Gli albori della tecnologia risalgono a 67mila anni fa. A provarlo sarebbero dei nuovi utensili ritrovati in una caverna sulla costa del Kenya. La ricerca su "Nature Communications" A questa conclusione è arrivato uno studio internazionale, pubblicato sulla rivista di settore "Nature Communications", coordinato dai paleontologi dell'Istituto Max Planck tedesco per la Scienza della Storia Umana (la prima autrice del lavoro è Nicole Boivin). Gli utensili in questione sono stati rinvenuti nella caverna africana di Panga ya Saidi, luogo popolato dagli esseri umani per oltre diecimila anni a partire da circa 78mila anni fa, dunque a cavallo tra la Età della Pietra media (il Mesolitico) e l'Età del Ferro. Le innovazioni tecnologiche Panga ya Saidi è un insieme di cave che copre circa un chilometro di superficie, e la grotta principale misura 100 metri quadrati. Un luogo che poteva ospitare centinaia di persone. Quello che hanno scoperto i paleontologi all'interno delle caverne sono vere e proprieinnovazioni tecnologiche (e culturali) che si fanno risalire appunto a circa 67mila anni fa: in particolare, monili ricavati da ostriche e conchiglie e strumenti appuntiti ricavati da ossa. Oggetti che testimoniano un graduale cambiamento nel lavorare la pietra e altri materiali, oltre che un nuovo simbolismo. I Neanderthal modellavano armi con il fuoco: la scoperta in Italia L'importanza della scoperta Prima di questo studio, la costa orientale africana era sempre stata considerata marginale nella storia dell'evoluzione umana, con la maggior parte delle ricerche archeologiche concentrate tra la Rift Valley e il Sudafrica. "La scoperta cambierà di certo la percezione dei paleontologi", spiega Boivin, che è anche direttrice del Dipartimento di Archeologia dell'Istituto Max Planck. Quello che si aggiunge, come osserva Patrick Roberts che è la guida del gruppo che ha eseguito le indagini con gli isotopi stabili, è la "consapevolezza che la nostra specie viveva in una grande varietà di habitat in Africa". I ritrovamenti di Panga ya Saidi, infine, "minano l'ipotesi sull'utilizzo delle coste come una sorta di autostrada per incanalare gli esseri umani migranti fuori dall'Africa", conclude il co-autore della ricerca Michael Petraglia. Alcuni reperti dimostrerebbero che i Neanderthal sapevano navigare Recenti scoperte di utensili sulle rive del Mediterraneo hanno dimostrato che gli uomini di Neanderthal sapevano navigare (Getty Images) Una recente scoperta della McMaster University ha dimostrato la presenza sulle coste di alcune isole greche di utensili riconducibili al periodo storico di riferimento dei predecessori dell'homo sapiens Gli uomini di Neanderthal erano anche dei navigatori. Lo afferma una ricerca che fa riferimento agli utensili in pietra rinvenuti lungo le coste di alcune isole greche e risalenti a 130.000 anni fa. Questa scoperta ha permesso agli esperti di affermare che gli uomini di quel tempo erano in possesso dei mezzi tecnologici e cognitivi per navigare. I ritrovamenti sulle coste greche Lo studio ha coinvolto due team di ricerca, uno greco-canadese guidato da Tristan Carter, della McMaster University, e uno greco-americano coordinato da Thomas Strasser, del Providence College di Rhode Island, a cui ha contributo anche Curtis Runnels della Boston University. I primi ritrovamenti risalgono al 2008, anno della scoperta di centinaia di utensili in pietra nel villaggio di Plakias, sull'isola di Creta. La sorpresa ha spinto molti archeologi a setacciare la regione, fino a quando non sono state trovate asce e lame in selce in altre isole, a cominciare da Naxos. Questi strumenti sono uguali a quelli fabbricati dai Neanderthal nel periodo compreso tra 200.000 anni e 50.000 anni fa. Utensili simili sono stati recuperati anche nelle isole di Cefalonia e Zante. I reperti sono stati presentati a Washington, durante il congresso della Società americana di archeologia. Grazie a questi oggetti gli esperti oggi possono confutare l'idea che gli esseri umani abbiano iniziato a navigare dopo l'età del bronzo. Scoperta l'arte più antica della storia: è dei Neanderthal Rivoluzione Neanderthaliana La scoperta dei reperti sulle coste di alcune isole greche ha sbalordito gli esperti perché indica che i Neanderthal avevano i mezzi tecnologici e cognitivi per navigare, precedendo l'homo sapiens. Finora i resti più antichi che testimoniano la navigazione umana nel mondo risalgono a 10.000 anni fa e sono stati scoperti nei Paesi Bassi. Gli scienziati hanno sostenuto nel tempo che gli spostamenti dell'Homo Erectus in Indonesia e Australia siano stati frutto del caso: uno tsunami avrebbe trascinato gli uomini in mare, sopravvissuti grazie a dei tronchi. Al contrario, le scoperte sulle coste del Mediterraneo suggeriscono una navigazione mirata degli uomini di Neanderthal, perché coinvolgono più siti. "Ora stiamo parlando di Neanderthal navigatori: è un bel cambiamento", ha dichiarato l'archeologo John Cherry dell'americana Brown University. SCIENZE23 settembre 2017 Lo sviluppo del cervello dei Neanderthal era migliore del nostro Uno studio spagnolo sullo scheletro di un ominide di sette anni dimostra che la massa cerebrale cresceva in modo più lento rispetto a quello dei sapiens permettendogli così di avere più capacità Dall'analisi dei denti e delle ossa di un bambino Neanderthal vissuto 49mila anni fa è emerso che il cervello di questi ominidi, contrariamente a quanto si credeva finora, si sviluppava con un ritmo di crescita lungo e uniforme, nel passaggio da bambino a adulto. Studi precedenti, invece, sostenevano che il cranio dei Neanderthal cresceva a strappi irregolari e in anticipo rispetto al processo nell'uomo (Homo sapiens). Motivo per il quale si riteneva che le capacità intellettive di questi ominidi fossero meno sofisticate delle nostre. In realtà, però, uno studio condotto dai ricercatori del Consiglio superiore di ricerca scientifica di Madrid - guidati daAntonio Rosas - e pubblicato sulla rivista "Science", mette in luce uno sviluppo del cervello addirittura più lento in questi antichi cugini rispetto all'uomo e quindi più vantaggioso. I vantaggi della lentezza evolutiva La comunità scientifica, spiegano i ricercatori, era convinta che l'uomo fosse la specie con lo sviluppo cerebrale più lento e continuo. Un processo che, grazie alla combinazione di tempo ed energia, ci avrebbe aiutato a far evolvere capacità che per esempio non appartengono alle scimmie o ad alcuni ominidi, nei quali il cervello si sviluppa in maniera prematura e seguendo salti più irregolari durante la crescita. Il bambino di Sidrón Il ricercatore Antonio Rosas e la sua equipe è arrivato alla conclusione che la crescita del cervello nei Neanderthal era molto più lenta di quanto si pensasse, esaminando lo scheletro relativamente completo di un bambino in una fase cruciale dello sviluppo. Il giovane ominide, rinvenuto nel sito archeologico di El Sidrón, in Spagna, e battezzato per questa ragione "El Sidrón J1", secondo i ricercatori doveva avere circa 7 anni. Analizzando le ossa e il cranio di questo Neanderthal il team di ricerca è riuscito a stimare che lo sviluppo del cervello di El Sidrón J1 doveva avere essere circa all'87,5% delle dimensioni di quello di un esemplare di Neanderthal adulto. Un dato che smentirebbe tutte le teorie che vorrebbero una crescita celebrale precoce in questa specie, soprattutto considerando che un coetaneo sapiens ha un cervello sviluppato quasi al 95%. Inoltre, per lo studio, le dimensioni di denti e cervello sarebbero il riflesso di una crescita del corpo lunga e continua nel tempo e non a ritmi diversi. Gli studi per capire l'evoluzione dell'uomo moderno Lo studio, sostengono i ricercatori, dimostra che in realtà il modello di crescita dei Neanderthal è simile al nostro. Questi antichi cugini, ha spiegato Rosas alla Bbc, "avevano un cervello più grande per permettere al corpo, anch'esso più grande del nostro, di raggiungere la dimensione adulta", e non a causa di un progresso precoce. La scoperta di un "ritmo" simile, secondo Rosas, potrebbe aprire anche all'ipotesi che l'uomo sapiens e il Neanderthal possano aver ereditato questo modello di crescita da un antenato comune ancora ignoto. La riproduzione del volto di un uomo di Neanderthal in mostra a Burgos, in Spagna (Getty Images) 3' di lettura Uno studio spagnolo sullo scheletro di un ominide di sette anni dimostra che la massa cerebrale cresceva in modo più lento rispetto a quello dei sapiens permettendogli così di avere più capacità Dall'analisi dei denti e delle ossa di un bambino Neanderthal vissuto 49mila anni fa è emerso che il cervello di questi ominidi, contrariamente a quanto si credeva finora, si sviluppava con un ritmo di crescita lungo e uniforme, nel passaggio da bambino a adulto. Studi precedenti, invece, sostenevano che il cranio dei Neanderthal cresceva a strappi irregolari e in anticipo rispetto al processo nell'uomo (Homo sapiens). Motivo per il quale si riteneva che le capacità intellettive di questi ominidi fossero meno sofisticate delle nostre. In realtà, però, uno studio condotto dai ricercatori del Consiglio superiore di ricerca scientifica di Madrid - guidati da Antonio Rosas - e pubblicato sulla rivista "Science", mette in luce uno sviluppo del cervello addirittura più lento in questi antichi cugini rispetto all'uomo e quindi più vantaggioso. I vantaggi della lentezza evolutiva La comunità scientifica, spiegano i ricercatori, era convinta che l'uomo fosse la specie con lo sviluppo cerebrale più lento e continuo. Un processo che, grazie alla combinazione di tempo ed energia, ci avrebbe aiutato a far evolvere capacità che per esempio non appartengono alle scimmie o ad alcuni ominidi, nei quali il cervello si sviluppa in maniera prematura e seguendo salti più irregolari durante la crescita. Il bambino di Sidrón Il ricercatore Antonio Rosas e la sua equipe è arrivato alla conclusione che la crescita del cervello nei Neanderthal era molto più lenta di quanto si pensasse, esaminando lo scheletro relativamente completo di un bambino in una fase cruciale dello sviluppo. Il giovane ominide, rinvenuto nel sito archeologico di El Sidrón, in Spagna, e battezzato per questa ragione "El Sidrón J1", secondo i ricercatori doveva avere circa 7 anni. Analizzando le ossa e il cranio di questo Neanderthal il team di ricerca è riuscito a stimare che lo sviluppo del cervello di El Sidrón J1 doveva avere essere circa all'87,5% delle dimensioni di quello di un esemplare di Neanderthal adulto. Un dato che smentirebbe tutte le teorie che vorrebbero una crescita celebrale precoce in questa specie, soprattutto considerando che un coetaneo sapiens ha un cervello sviluppato quasi al 95%. Inoltre, per lo studio, le dimensioni di denti e cervello sarebbero il riflesso di una crescita del corpo lunga e continua nel tempo e non a ritmi diversi. Gli studi per capire l'evoluzione dell'uomo moderno Lo studio, sostengono i ricercatori, dimostra che in realtà il modello di crescita dei Neanderthal è simile al nostro. Questi antichi cugini, ha spiegato Rosas alla Bbc, "avevano un cervello più grande per permettere al corpo, anch'esso più grande del nostro, di raggiungere la dimensione adulta", e non a causa di un progresso precoce. La scoperta di un "ritmo" simile, secondo Rosas, potrebbe aprire anche all'ipotesi che l'uomo sapiens e il Neanderthal possano aver ereditato questo modello di crescita da un antenato comune ancora ignoto. |
Post n°1663 pubblicato il 10 Maggio 2018 da blogtecaolivelli
Quando i cavalli avevano le dita La zebra è bianca a strisce nere o nera a strisce bianche Come mai non ci sono animali con le ruote? Perché le imperfezioni presenti negli organismi sono prova dell'evoluzione? Domande a volte bizzarre, aneddoti, mostri e meraviglie della natura sono altrettante occasioni di approfondite e...... Quando i cavalli avevano le dita raccoglie una parte dei saggi pubblicati in quella sede. Gli spunti e i percorsi sono molteplici e possono apparire eterogenei - stranezze biologiche che si spiegano soltanto in rapporto al passato filogenetico delle specie, concezioni continuiste e discontinuiste dell'evoluzione, la frode di Piltdown, scienza e politica, l'estinzione delle specie ecc. -; in realtà gli argomenti trattati si organizzano attorno al tema portante del libro, la costruzione di un'immagine storica della natura, contribuendo con la loro varietà a suggerire la complessità e il fascino delle problematiche connesse all' evoluzionismo." |
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