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Messaggi di Ottobre 2019
Post n°2388 pubblicato il 18 Ottobre 2019 da blogtecaolivelli
Pompei: i tesori della Casa del Giardino Gioielli e monili: i nuovi, preziosi tesori in mostra nel sito archeologico più famoso al mondo. Grazie al Grande Progetto Pompei, avviato nel 2012 ed entrato nel vivo nel 2014, il passato della città vesu- viana continua a tornare alla luce. È in particolare la Regio V, l'area al confine settentrionale del sito in cui si sono concentrati gli scavi, a rega- lare nuove emozioni: dopo i due splendidi affreschi con Leda e il cigno e con Narciso che si specchia nell'acqua, scoperti in un cubicolo (una stanza da letto) di una casa di via del Vesuvio, è riemersa questa estate in un'altra domus (la Casa del Giardino) una ric- ca collezione di monili, gemme e altri piccoli manufatti di alta qualità artigia- nale e dai contorni misteriosi. Si tratta di oggetti d'uso quotidiano, utilizzati come semplice ornamento o per scacciare la malasorte. Sono infatti numerosi i pendenti a forma di fallo, di spiga o di teschio, immagini che evocano la fertilità e la fortuna. A questi si aggiungono oggetti più esotici, come gli scarabei e la figura di Arpocrate, antica divinità egizia adottata nel mondo romano come personificazione del "silenzio". I vari simboli e le molte iconografie sono peraltro ancora in corso di studio per comprenderne a fondo la funzione. |
Post n°2387 pubblicato il 15 Ottobre 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: risorse dell' Internet Indagine sul Dna nelle acque: la scoperta clamorosa 06.09.2019 - Paolo Vites Lo studio più complesso mai effettuato sul mostro di Loch Ness nessie-loch-nessieLa famosa foto di Robert Kenneth Wilson Esiste o non esiste? Da più di cento anni almeno, appassionati, studiosi, cacciatori di misteri, semplici turisti si affannano nella disputa che riguarda l'esistenza o meno di una misteriosa creatura nelle oscure acque del lago di Loch Ness, in Scozia, il lago più grande del Regno Unito. Tante foto che mostrano una sorta di animale preistorico sono state scartate perché frutto di evidenti fotomontaggi, eppure c'è ancora chi si ostina a dire di aver visto un animale sconosciuto spuntare dalle acque del lago. Adesso arriva i risultati dello studio più complesso mai effettuato sul mostro di Loch Ness, a opera di un team di studiosi della Nuova Zelanda. Uno studio scientifico, non la semplice ricerca con sottomarini o apparecchiature varie (che hanno sempre comunque dato esito negativo) eseguito prelevando 250 campioni delle acque del lago per studiarne il dna contenuto. Nessuna traccia di animali preistorici o mostri della natura, ma clamorosamente si è potuto individuare che "qualcosa" in effetti c'è. Che cosa? TROVATO IL "MOSTRO DI LOCH NESS" Anguille: "La presenza davvero abbondante di dna di anguille ha portato alla conclusione che effettivamente esemplari giganteschi di questo animale possano trovarsi nelle acque del lago. Queste anguille fuori norma vivrebbero nelle profondità delle acque, ma il loro spuntare in superficie potrebbe spiegare l'effetto visuale di una creatura anomala, il cosiddetto mostro di Loch Ness" dicono i ricercatori. Secondo il professor Gemmel dell'università di Otago, scrive il quotidiano inglese Independent, "esiste una quantità molto significativa di dna di anguille. Il lago ne è pieno, ogni campione prelevato riportava il loro dna". I dati raccolti però non permettono di calcolare le loro dimensioni, ma vista la grande quantità di dna "non possiamo escludere la possibilità che possano esserci anguille giganti" ha detto ancora. In effetti in passato diversi sommozzatori in passato avevano detto di aver visto grandi anguille in profondità, grandi anche circa quattro metri: "Come genetista penso molto alle mutazioni e alle variazioni naturali, e mentre un'anguilla così grande sarebbe ben al di fuori della gamma normale, non sembra impossibile che qualcosa potrebbe crescere a dimensioni così insolite". Svelato per sempre il mistero del lago di Loch Ness? |
Post n°2386 pubblicato il 15 Ottobre 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: le risorse dell'Internet I rettili simili a coccodrilli che terrorizzavano i dinosauri Per gli erbivori di 210 milioni di anni fa, la morte aveva le sembianze dei rauisuchi, bestioni lunghi come camion che si spinsero quasi fino all'Antartide: uno studio fa luce su alcuni degli ultimi rappresentanti di questo gruppo estinto.
due rauisuchi lottano per la carcassa di un erbivoro (illustrazione artistica).|VIKTOR RADERMACHER I dinosauri vegetariani del Triassico e i terapsidi, i rettili imparentati con gli antenati dei mammiferi, avevano una preoccupazione in comune: quella di finire tra le grinfie dei rauisuchi, giganteschi carnivori simili a coccodrilli che si estinsero 200 milioni di anni fa. Un nuovo studio su due specie di questo ordine di predatori vissute in Africa meridionale fa luce sull'aspetto, e sulle abitudini alimentari, di animali ancora poco conosciuti, i cui fossili sono spesso stati confusi con quelli dei dinosauri. SENZA RIVALI. I rauisuchi appartenevano al clade degli arcosauri, un grande gruppo di rettili che include i dinosauri, gli antenati estinti dei coccodrilli, gli pterosauri, i coccodrilli e, secondo alcune classificazioni, gli uccelli attuali. Nel Triassico medio e superiore, i rauisuchi si trovavano all'apice della catena alimentare, e quando si estinsero, lasciarono una nicchia che fu occupata dai grandi dinosauri carnivori.
rauisuco trovato in Namibia. | HELKE MOCKE VISTI DA VICINO. Fossili di rauisuchi sono venuti alla luce in diversi strati di roccia della Elliot Formation, una formazione geologica in Lesotho e Sudafrica. I paleontologi dell'Università di Witwatersrand hanno rianalizzato denti, mascelle, corazza e zampe posteriori di cinque esemplari appartenenti a due diverse specie di rauisuchi vissute 210 milioni di anni fa, tra le più recenti restituite da questo sito di scavi.
Denti di rauisuchi, capace di sminuzzare un dinosauro. | WITS UNIVERSITY A MACCHIA D'OLIO. Le osservazioni confermano che i bestioni, che crescevano fino a 10 metri e avevano denti serrati e ricurvi, si nutrivano di dinosauri erbivori. Il loro grosso cranio era adatto ad addentare una grande varietà di creature, e forse proprio l'abbondanza di cibo determinò la fortuna del gruppo di predatori, che si spinse fino quasi al Circolo polare antartico, portando il proprio corpo al limite delle capacità adattive. I rauisuchi sono filogeneticamente vicini ai coccodrilli odierni, ma nel Triassico svilupparono forme e taglie molto diverse tra specie e specie. I carnivori descritti nello studio rappresentano alcuni degli esemplari più grandi appartenenti a questo gruppo. |
Post n°2385 pubblicato il 15 Ottobre 2019 da blogtecaolivelli
NOBEL CHIMICA 2019 / I "magnifici tre" che ricaricano i nostri telefoni ogni notte10.10.2019 - Elisabetta Bulla Le ricerche dei chimici Goodenough, Whittingham e Yoshino hanno condotto alla costruzione delle batterie ricaricabili al litio che conosciamo cina treno litio tecnologia lapresse1280Cina: i test per un treno sospeso alimentato al litio (LaPresse) I vincitori del Premio Nobel per la Chimica 2019 sono John B. Goodenough, M. Stanley Whittingham e Akira Yoshino "per lo sviluppo delle batterie al litio". In particolare, John B. Goodenough, nato nel 1922 a Jena, in Germania, è la persona più anziana insignita del Premio Nobel e ha lavorato presso la University of Texas at Austin (Usa). M. Stanley Whittingham, invece, nato nel 1941 in Gran Bretagna, è Professore illustre alla Binghamton University, State University di New York (Usa). Akira Yoshino, infine, nato nel 1948 a Suita, in Giappone, è membro onorario della Asahi Kasei Corporation a Tokyo (Giappone) e Professore alla Meijo University di Nagoya (Giappone). "Hanno reso possibile un mondo ricaricabile", questa la motivazione data dall'Assemblea del Nobel al Karolinska Institutet a Solna. I tre studiosi hanno contribuito all'invenzione delle batterie al litio (o, più precisamente, degli accumulatori agli ioni di litio), oggi comunemente presenti nei telefoni cellulari, nei personal computer e nelle auto elettriche. "Attraverso il loro lavoro, i vincitori del premio per la Chimica di quest'anno hanno gettato le basi per una società senza fili e senza combustibili fossili". Le batterie agli ioni di litio sono infatti ricaricabili, leggere, durevoli e possono essere utilizzate per immagazzinare energia da fonti rinnovabili, ad esempio energia solare o eolica, rendendo possibile una società senza combustibili fossili. 70, durante la crisi energetica, il forte impulso del litio, in grado di liberare il suo elettrone esterno, e ha così sviluppato la prima batteria al litio funzionale. In particolare, ricercando dei superconduttori, ha scoperto un materiale estremamente ricco di energia, che ha usato per creare un catodo innovativo in una batteria al litio. Questo è stato realizzato con disolfuro di titanio che, a livello molecolare, ha spazi che possono ospitare ioni di litio. L'anodo della batteria, invece, era in litio-alluminio. Ciò ha portato alla nascita di una batteria che aveva letteralmente un grande potenziale, poco più di due volt. Tuttavia, il litio metallico è reattivo e la batteria era troppo esplosiva per essere praticabile. John B. Goodenough, tra gli anni 70 e 80, ha raddoppiato il potenziale della batteria al litio, creando le condizioni necessarie alla costruzione di una batteria molto più potente e utile. Infatti, comprese che il catodo avrebbe avuto un maggior potenziale qualora fosse stato realizzato usando un ossido metallico, e non un solfuro metallico, utilizzato invece da Whittingham. Nel 1980 dimostrò che l'ossido di cobalto, intercalato agli ioni di litio, è in grado di produrre addirittura quattro volt. Akira Yoshino, usando come base il catodo innova- tivo di Goodenough, creò la prima batteria al litio nel 1985, uscita sul mercato nel 1991, riuscendo ad eliminare il litio puro, reattivo, dall'anodo, usando invece il coke petrolifero, che può anch'esso esser intercalato agli ioni di litio. Quando caricò il coke petrolifero con elettroni, gli ioni di litio vennero attirati nel materiale; quando poi accese la batteria, gli elettroni e gli ioni di litio fluirono verso l'ossido di cobalto nel catodo, dal potenziale molto più elevato. Il vantaggio delle batterie al litio è che queste ultime non sono basate su dannose reazioni chimiche che rompono gli elettrodi, ma sugli ioni di litio che scorrono avanti e indietro tra l'anodo e il catodo, tra gli elettrodi a cui sono intercalati, senza avviare una reazione con l'ambiente circostante e garantendo lunga vita alla batteria stessa. Tutto ciò ha reso la batteria non solo attuabile e funzionante, ma anche leggera e ricaricabile centinaia di volte prima che si possa deteriorare. L'uscita sul mercato delle batterie al litio (1991) rivoluzionò l'elettronica stessa. I computer diventarono portatili e si svilupparono nuovi mezzi tecnologici quali tablet e lettori MP3. La batteria al litio, considerata ancora oggi la più efficiente, ha subito negli anni dei miglioramenti; tra questi, Goodenough ha sostituito l'ossido di cobalto con il fosfato di ferro, rendendo così la batteria maggiormente rispettosa dell'ambiente. Nonostante la sua età, infatti, egli continua tutt'oggi a ricercare batterie sempre più efficaci e sicure: la sua ultima invenzione è la "batteria di vetro" che, se confermata, dovrebbe essere nettamente migliore rispetto alle batterie al litio per densità di energia, intervallo di temperatura operativa e sicurezza. Akira Yoshino, durante la conferenza stampa in cui si annunciavano i vincitori, ha detto: "la curiosità è stata il mio motore, la mia principale forza trainante", mentre in un'altra intervista telefonica ha ribadito l'importanza di continuare a pensare e a riflettere, identificando in questo il segreto della sua creatività. Gli studiosi insigniti del Premio Nobel per la Chimica 2019 hanno contribuito, e contribuiranno, in maniera essenziale allo sviluppo di una società senza fili e senza combustibili fossili e hanno dimostrato come un fallimento non riesca a fermare la curiosità e il desiderio di scoprire e conoscere tipici dell'uomo. © RIPRODUZIONE RISERVATA |
Post n°2384 pubblicato il 15 Ottobre 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet Grande Adria, un continente perduto Non è Atlantide e alcuni resti sono in Italia 24.09.2019 - Paolo VitesGrande Adria, un continente perduto si trovava nel cuore del Mediterraneo. Non è Atlantide e alcuni resti sono in Italia... La grande scoperta. grande adriaGrande Adria Senza saperlo, milioni di turisti trascorrono le loro vacanze su un grande continente perduto. E' la mitica e leggendaria Atlantide, il continente che si suppone sia sprofondato nel Mar Mediterraneo dove ora si trova il Mar Egeo, lasciando in superficie solo migliaia di isolette? No, dicono subito gli studiosi che hanno annunciato la loro scoperta, non è Atlantide, ma "la Grande Adria". E i resti di questo continente perduto si trovano in superficie, non sotto al mare, un territorio che si estende da Torino al nord della Puglia. Una terra che, hanno detto i ricercatori della università olandese di Utrecht, si staccò dalla Africa del nord più di 200 milioni di anni fa. Sempre secondo gli studiosi gran parte del territorio è immerso nel mantello terrestre, tuttavia una parte della massa è rimasta visibile, costituendo una striscia di terra in tutta Italia che si estende da Torino a nord fino alla Puglia a sud. Secondo l'articolo pubblicato sulla rivista Gondwana Research, la massa terrestre si è separata dal Nord Africa oltre 200 milioni di anni fa prima di spostarsi lungo il complesso sistema di placche tettoniche che compongono la regione mediterranea. IL DISASTRO GEOLOGICO "tutto è curvo, rotto e impilato. Rispetto a questo, l'Himalaya, ad esempio, rappresenta un sistema piuttosto semplice. Lì puoi seguire diverse grandi linee di faglia su una distanza di oltre 2000 chilometri". Gran parte della massa di terra però è sprofondata in mare, sotto le acque a ovest dell'Italia, coperto da barriere coralline, mari poco profondi e sedimenti. Quei sedimenti hanno continuato a formare rocce, che a loro volta sono state raschiate via via che il continente affondava sotto placche tettoniche lasciando catene montuose nelle Alpi, Appennino, Balcani, Grecia e Turchia. Non è la prima volta che vengono scoperte masse di terra perdute. Nel 2017 i ricercatori dell'Università del Witwatersrand in Sudafrica hanno scoperto che l'isola di Mauritius si trova sulla cima di un frammento non scoperto del Gondwana del "supercontinente" vecchio di 200 milioni di anni, che si divise per formare Africa, Sud America, Antartide, India e l'Australia circa 180 milioni di anni fa. |
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