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Messaggi di Novembre 2020
Post n°3311 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La glicina: un altro elemento della vita nell'atmosfera di Venere La glicina è un amminoacido fondamentale per la vita, anche se la sua presenza nell'atmosfera di Venere non significa necessariamente anche presenza di vita. Venere (illustrazione): il pianeta infernale del Sistema Solare è un ricettacolo di vita? | YAROSLAV VAKULENKO Venere sta sorpassando Marte in fatto di interesse per la ricerca della vita extraterrestre. Tra gli scienziati, è ancora viva la sorpresa per la scoperta di fosfina, che sembra essere un'impronta sicura della presenza di vita tra le nubi del pianeta, che già arriva una nuova scoperta da un gruppo di ricercatori del Midnapore College del Bengala (India): il team, coordinato da Arijit Manna, sostiene di aver rilevato, alle medie latitudini di Venere, la presenza di un'altra molecola interessante per la vita, la glicina. La glicina è un amminoacido glucogenico, ossia un amminoacido che, nel nostro corpo, può essere convertito in glucosio tramite un processo metabolico, la gluconeogenesi. Lo studio ha permesso di individuare la glicina in prossimità dell'equatore di Venere, mentre sembra essere assente ai poli. UN MATTONE DELLA VITA. La glicina, pur essendo un composto organico, non è una molecola che indica con certezza la presenza di vita (come invece si sostiene per la fosfina), anche se è un composto importante per la sua formazione: è un mattone fondamentale per la vita, ma avere un mattone non significa avere necessaria- mente una casa. L'aver trovato la glicina potrebbe però aiutare a comprendere i meccanismi che nell'atmosfera di Venere portano alla formazione di molecole che stanno alla base della vita e capire come si è formata, se davvero esiste. Al momento sono state avanzate alcune ipotesi che possono spiegare la glicina su Venere, ma nessuna è esaustiva. La glicina venne già trovata al di fuori della Terra, sulla superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ma è la prima volta che viene individuata nell'atmosfera di un altro pianeta. |
Post n°3310 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Ancora novità in arrivo dalla cometa su cui si appoggiò la sonda Philae Individuato finalmente il luogo del secondo impatto della sonda Philae sulla cometa Churyumov-Gerasimenko: ecco perché era così importante risolvere questo "mistero". Philae sulla cometa Churyumov-Gerasimenko. | NASA / ESA Il 12 novembre 2014 la sonda Philae della Nasa atterrò come previsto sulla superficie della cometa Churyumov- Gerasimenko, solo che - a causa di un difetto agli arpioni che l'avrebbero dovuta trattenere sulla superficie ghiacciata - dopo essere scesa nel punto di atterraggio iniziò a rimbalzare (e questo non era previsto). Dopo un primo salto Philae andò a impattare contro una parete della cometa e da lì rimbalzò ulteriormente fino a stabilizzarsi in un antro chiamato Abydos, dove venne scovata dalle fotocamere di Rosetta (la navicella madre da cui Philae si era staccato) soltanto 22 mesi più tardi e alcune settimane prima della conclusione della missione Rosetta. PERCHÉ È IMPORTANTE. Il luogo del secondo impatto della sonda era a tutt'oggi il "mistero finale" che Philae ci aveva lasciato e ora finalmente l'annuncio: è stato individuato: «Era importante trovare il sito», spiega Laurence O'Rourke dell'ESA, che ha ricoperto un ruolo guida nella ricerca di Philae, «perché i sensori della sonda indicavano che aveva scavato nella superficie, molto probabilmente espondendo ghiaccio "primitivo", vecchio di miliardi di anni». Ad aiutare O'Rourke nella sua missione non sono state tanto le fotografie (che comunque ci permettono, ora, di osservare bene com'è fatto il punto in questione, come si vede anche nel video qui sopra) quanto il braccio del magnetometro di Philae, ROMAP, strumento ideato per misurare il campo magnetico nell'ambiente locale della cometa. 4 SALTI SULLA COMETA. Analizzando i dati trasmessi dal magnetometro, infatti, il ricercatore è riuscito a localizzare il punto dove Philae impattò (per ben 4 volte nel medesimo punto) e a stimare la durata delle sue "evoluzioni" sulla cometa. L'area è stata soprannominata "Cima del teschio", perché la forma del suolo e delle rocce ricordano nell'aspetto il cranio di uno scheletro. La ricerca ha permesso anche di capire qual è la consistenza della polvere ghiacciata presente in quel punto della cometa. Sottolinea O'Rourke: «Abbiamo scoperto che quel misto di polvere ghiacciata è straordinariamente soffice, più morbida della schiuma di un cappuccino o della spuma che si può trovare in un bagnoschiuma o sulla cresta delle onde in riva al mare». Lo studio, infine, ha permesso di determinare una stima della porosità dei massi di quell'area: gli scienziati hanno calcolato che tra i granelli di polvere e ghiaccio c'è il vuoto per il 75%, un dato in linea con il valore misurato precedentemente per l'intera cometa in uno studio separato. |
Post n°3309 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Esopianeti: K2-141b, il pianeta dove piovono rocce È il primo tentativo di spiegare il meteo e l'atmosfera di un lontano pianeta roccioso, per metà talmente caldo da avere oceani di lava fusa e piogge al silicio. Esopianeti: K2-141b (illustrazione). Ecco come potrebbe apparire da vicino la faccia di K2-141b perennemente esposta al suo sole: un'atmosfera infuocata di silicio e venti inimmaginabili. | SAKKMESTERKE / Mentre la scoperta di nuovi pianeti al di là del Sistema Solare è ormai routine, portare alla luce qualcosa di più e di nuovo su ciò che può avvenire su di un esopianeta non è notizia di tutti i giorni. Nel 2018 venne scoperto il pianeta K2-141b, a circa 200 anni luce da noi, grazie al telescopio spaziale Hubble e a un gruppo di astronomi guidati da Luca Malavolta (INAF di Padova). Un pianeta roccioso, simile alla Terra per dimensioni e composizione, ma che a differenza della Terra ruota molto vicino alla sua stella madre (una nana arancione con temperatura superficiale di circa 4500 °C e una massa del 70 per cento di quella del Sole), tanto vicino che per compiere un'orbita impiega meno di 7 ore. Un mondo con venti a 5.000 km l'ora è stato immaginato per la prima volta da J.G. Ballard nel 1961, con Il vento dal nulla (The Wind From Nowhere): un vento spazza la Terra a velocità crescente, fino a diventare irresistibile per qualunque struttura. Nella foto, l'illustrazione dell'edizione italiana (Urania Mondadori, agosto 1962). | URANIA MONDADORI CONDIZIONI INFERNALI. La vicinanza fa sì che il pianeta sia in blocco gravitazionale e mostri sempre la stessa faccia alla stella, un po' come succede tra la Luna e la Terra. Circa due terzi della sua superficie sono costantemente esposti alla stella: il lato notturno registra temperature inferiori a -200 °C, mentre il lato illuminato arriva a 3.000 °C, temperatura sufficiente a fondere le rocce e a vaporizzarle, creando in alcune aree un'atmosfera rocciosa. La temperatura fa pensare che in superficie vi siano oceani di lava fusa, che dai calcoli presentati in uno studio avrebbero fino a 100 chilometri di profondità, e venti indescrivibili, che potrebbero raggiungere anche i 5.000 chilometri all'ora - come suggeriscono l'effetto Doppler e l'analisi spettroscopica. Il vapore di lava a un certo punto condensa e ricade al suolo come pioggia, ma di rocce - monossido di silicio e biossido di silicio - che i venti trasportano anche sul lato oscuro del pianeta. Spiega Giang Nguyen (York University, Canada), che questa ricerca «è un primo passo per riuscire a studiare il meteo, e persino fare previsioni meteo per esopianeti come K2-141b; in questo modo mettiamo alla prova i nostri modelli su condizioni che potranno però essere confermate solamente dai telescopi di nuova generazione che verranno lanciati nei prossimi anni, primo tra tutti il James |
Post n°3308 pubblicato il 10 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet C'è acqua sulla Luna, e non solo ai poli Sembra che l'acqua sia presente un po' ovunque dove non arriva mai la luce del Sole: due studi, tra i quali uno della NASA, portano alla stessa conclusione. L'acqua sulla Luna potrebbe essere più abbondante e accessibile di quanto si pensasse: una buona notizia per i piani di colonizzazione e sfruttamento del nostro satellite. L'astrofisico Paul Hayne (Università del Colorado, Boulder) e il suo gruppo di lavoro hanno utilizzato le immagini della fotocamera e le misurazioni della temperatura prese dalla sonda in orbita lunare Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della NASA per mappare le regioni fredde e permanentemente in ombra sulla Luna, che si ritiene siano i luoghi dove, con maggiore probabilità perché mai esposti alla luce del Sole, è conservato del ghiaccio. I risultati sono pubblicati su Nature. NON SOLO AI POLI. Sebbene le prove della presenza di acqua sulla Luna siano molte, si è finora pensato che il ghiaccio d'acqua si trovasse in trappole fredde limitate a crateri molto profondi e larghi chilometri. Il nuovo studio ha invece messo in luce che ci sono anche trappole fredde di piccole e piccolissime dimensioni: micro-aree che misurano da pochi millimetri al metro, permanentemente in ombra, che potrebbero contenere ghiaccio più facile da raggiungere. Complessivamente, i ricercatori stimano che le trappole fredde occupino circa 40.000 chilometri quadrati, ossia circa lo 0,1 per cento della superficie lunare. «Stiamo vedendo miliardi di queste trappole fredde su scale che non avremmo immaginato», commenta Hayne: «il ghiaccio è più a portata di mano di quanto si pensava. È una scoperta rivoluzionaria per l'esplorazione umana della Luna!». LA CONFERMA DA SOFIA. Uno studio separato, anticipato dalla NASA con molta enfasi (com'è evidente dal video in alto), ha confermato la presenza di ghiaccio d'acqua (H2O) piuttosto che di semplice idrossile (OH), che precedenti osservazioni non erano state in grado di distinguere. Casey Honniball (NASA Goddard Space Flight Center) e i suoi colleghi hanno utilizzato il telescopio SOFIA dell'agenzia spaziale - che è montato su un aereo per realizzare osservazioni a quote elevatissime, dove l'assorbimento della luce infrarossa da parte dell'atmosfera terrestre è molto ridotto - per individuare una firma spettrale ben chiara dell'acqua presente sulla Luna. La scienziata afferma che i dati sonocoerenti con la presenza di molecole d'acqua incorporate nelle rocce in notevoli quantità. «L'acqua è fondamentale per noi, ma è molto costosa da lanciare nello spazio», commenta: «trovare acqua sulla Luna sparsa in questo modo può significare che potremo utilizzare quella che c'è lassù, invece di portarla con noi.» UN PO' DI SCETTICISMO. «Non è ancora chiaro quanto sia stabile l'acqua in quella forma, se per lunghi o brevi periodi», è il commento di William Bottke (Southwest Research Institute, Colorado), che non ritiene le molecole d'acqua un indizio di abbondanza di acqua in forma utile a noi. In più, «gli astronauti potrebbero avere grandi difficoltà ad estrarre quell'acqua», afferma: «perché al momento nessuno può escludere che per riempire d'acqua anche una singola bottiglia occorra macinare migliaia di chili di roccia». 26 OTTOBRE 2020 | LUIGI BIGNAMI |
Post n°3307 pubblicato il 07 Novembre 2020 da blogtecaolivelli
Il nome della rosa (film) parte 1 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il nome della rosa è un film del 1986 diretto da Scritto da Andrew Birkin, Gérard Brach, Howard Franklin e Alain Godard, è tratto dall'omonimo romanzo di Umberto Eco del 1980. Trama Tramite flash-back, l'anziano frate Adso da Melk racconta di quando, ancora semplice novizio, trascorse dei giorni in un'abbazia benedettina in Piemonteassieme al suo mentore , Guglielmo da Baskerville. Nel 1327 alcuni terribili omicidi sconvolgono un'abbazia benedettina sperduta tra le Alpi piemontesi. Nel monastero dovrà svolgersi un'importante disputa sulle tesi dell'Ordine francescano a cui è chiamato a partecipare il dotto frate inglese Guglielmo da Baskerville, che giunge all'abbazi a insieme al suo giovane novizio, Adso da Melk. L'abate, conoscendo il passato da inquisitore di Guglielmo, gli affida il delicato caso delle morti avvenute dentro il monastero, poiché molti sono convinti che siano state causate dalla mano del maligno e prova ne è che le vittime avevano le dita e la lingua di un intenso colore nero. Guglielmo non è però convinto da questo dettaglio, e ritiene che l'assassino si trovi, in realtà, all'interno dell'abbazia. |
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