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Messaggi del 12/08/2019

I continenti perduti della Terra delle origin

Post n°2311 pubblicato il 12 Agosto 2019 da blogtecaolivelli

 

Fonte: Le Scienze

Nel tumultuoso passato del nostro pianeta

potrebbe esserci stata una generazione di

continenti sorta troppo presto e distrutta

dall'attività tettonica.

Uno studio sulla radioattività delle rocce ha

fatto emergere le tracce di queste Atlantidi

primordiali.

continenti-perdutiLe Jack Hills in Australia occidentale, dove

sono conservate alcune tra le più antiche

rocce terrestri.|WIKIMEDIA COMMONS

I più antichi continenti sulla Terra potrebbero

essere sorti molto prima del previsto ma avere

avuto vita breve, sciolti e cancellati dall'attività

tettonica: è l'ipotesi suggerita da uno studio 

dell'Università di Adelaide (Australia) che ha

messo a confronto età e radioattività di decine

di migliaia di rocce terrestri.

È opinione condivisa che la Terra delle origini 

fosse una monotona distesa d'acqua senza

montagne né tettonica, e che le prime prove

di dinamismo con la formazione della crosta

continentale (la roccia granitica su cui cam-

miniamo) non si videro prima di 2,5-3 miliardi

di anni fa: 1,5 miliardi di anni dopo la nascita

del nostro pianeta.

A lungo infatti i pochi sprazzi di superficie

terrestre "asciutta" furono costituiti da crosta

oceanica, che viene riciclata nel mantello terrestre

ogni qualche milione di anni: la crosta continentale,

più spessa, si forma più lentamente.

SVANITA NEL NULLA.

 Il nuovo studio mette sul piatto un'ipotesi

alternativa: i continenti che oggi consideriamo

più antichi potrebbero essere stati preceduti

da una generazione precedente di crosta

continentale già 4 miliardi di anni fa, non

molto più tardi rispetto alla nascita della Terra,

e ancora troppo presto per essere abitata forme

di vita terrestre.

Questo strato di roccia "perduta" era forse molto

più spesso di quanto stimato e non ha lasciato

traccia perché finì fuso, o distrutto in processi

tettonici.

 

tettonica delle placche, geologia, pangea, novopangea, supercontinenti, deriva dei continenti

La Pangea in un rendering realizzato con elementi

forniti dalla NASA. Per approfondire: quale sarà il

prossimo supercontinente? |mpioni di rocce ignee

(magmatiche) raccolti in ogni parte del mondo ha

rivelato infatti - a sorpresa - una relazione inversa

tra l'età delle rocce e i loro livelli di radioattività.

«Tutte le rocce hanno una radioattività naturale

che produce calore e alza le temperature nella

crosta quando decade» spiega Derrick Hasterok,

autore degli studi.

«Le rocce tipicamente associate alla crosta

continentale hanno una radioattività maggiore di

quelle oceaniche.

Una roccia vecchia 4 miliardi di anni aveva una

radioattività quattro volte superiore quando è

stata creata, rispetto ad oggi.»

PIÙ VULNERABILI.

 Curiosamente, però, le rocce più antiche di 2

miliardi di anni hanno una radioattività minore di

quanto ci si aspettasse.

Per Hasterok, è perché la crosta antica più

radioattiva e più calda è andata distrutta,

lasciandoci l'impressione che non ci fosse nulla

prima della crosta continentale che conosciamo.

Quando una vasta area dei protocontinenti

era altamente radioattiva, «le rocce diventavano

deboli e i processi tettonici riuscivano facilmente

a disgregarle».

Queste dinamiche ne avrebbero favorito la

distruzione.

Hasterok è giunto a queste conclusioni nell'ambito

di uno studio "collaterale" sulla radioattività delle

rocce antartiche e sulla loro capacità di fondere

i ghiacciai dal basso.

 
 
 

Quando Pisa aveva un porto sul fium

Post n°2310 pubblicato il 12 Agosto 2019 da blogtecaolivelli

 

Fonte: le Scienze

Molti secoli prima di essere una repubblica

marinara, Pisa manteneva fiorenti commerci

via mare grazie al suo porto fluviale: numerosi

relitti, oggi restaurati, sono esposti al Museo

delle Navi Antiche di Pisa.

pisa-v-secolo_ipotesiUna ricostruzione ipotetica della Pisa del V secolo.

|LONEWOLF1976 / VIA WIKIMEDIA

Trenta navi, e uno spaccato di vita che

attraversa otto secoli: dal terzo avanti

Cristo al settimo dopo Cristo.

È quello che raccontano le imbarcazioni

oggi finalmente esposte, dopo un lavoro

di scavo e di restauro durato vent'anni,

al Museo delle Navi Antiche di Pisa,

inaugurato con un allestimento che illustra,

insieme ai preziosi reperti, la storia del

territorio, della vita, dei commerci che vi

si sono svolti nell'arco di quasi un millennio,

ma almeno quattro secoli prima che si

cominciasse a parlare di Pisa come di una

repubblica marinara.

 

SEPOLTE PER SECOLI.

 La vicenda della scoperta di queste navi,

letteralmente sepolte nella terraferma,

comincia nel 1988. Durante gli scavi nel

cantiere di quello che avrebbe dovuto essere

il nuovo centro direzionale delle Ferrovie, nei

pressi dell'attuale stazione di San Rossore

vennero alla luce i resti di alcune imbarcazioni

antiche.

Lo scavo ne rivelò poi, uno strato dopo l'altro,

molte altre, alcune intere, quasi intatte,

perfino con il loro carico, gli alberi e le vele.

E insieme alle barche sono venuti alla luce

centinaia di oggetti: anfore, monete, vestiti,

oggetti personali dei viaggiatori e dei marinai.

ALLUVIONI DISASTROSE.
 «Il porto di Pisa era in realtà un approdo fluviale»,
racconta Domenico Barreca, archeologo e
responsabile tecnico degli scavi.
A quei tempi - si parla di alcuni secoli avanti Cristo
- i fiumi Arno e Serchio, il fiume di Lucca, che allora
si chiamava Auser, scorrevano lungo un corso diverso
dall'attuale ed erano collegati da una fitta rete
di canali navigabili. «In questi otto secoli gli
affondamenti sono stati causati da una serie di
alluvioni che si verificavano ciclicamente, ogni 50-
60 anni.
L'Arno esondava, e il Serchio creava una specie
di tsunami che travolgeva e affondava tutte le
barche presenti nel piccolo porto.
Ma la posizione era talmente favorevole che invece
di cercare un altro luogo si rimetteva tutto a posto,
e si rimaneva lì.»

 

Storia: la Roma antica e le navi di PisaSotto a un relitto denominato "nave B" sono

stati rinvenuti gli scheletri di un uomo e di un

cane.

La "storia" costruita attorno a questi resti è

quella di un marinaio travolto dall'onda di piena

di un'alluvione nel tentativo di salvare il suo cane...

 | COOPERATIVA ARCHEOLOGIA

UNA FLOTTA DIVERSIFICATA.

 Tra le imbarcazioni integre recuperate ed

esposte c'è un pattugliatore militare da 12

rematori, di cui sappiamo anche il nome,

Alkedo, ovvero "gabbiano", inciso su una

tavoletta inchiodata su uno dei banchi dei

rematori.

Poi un grande traghetto fluviale con il fondo

piatto, che veniva manovrato tra le due rive

con un sistema di funi e un argano (ritrovato

e anch'esso esposto al museo); agili piroghe

per il trasporto di merci; una grande nave per

il dragaggio e il trasporto della sabbia lungo il

corso dell'Arno: questa imbarcazione, che ha

ancora l'albero originale, oltre alla navigazione

a vela era trainata dalla riva da cavalli o buoi

- sotto al relitto sono stati trovati parti di uno

scheletro di cavallo e un giogo.

 

Storia: la Roma antica e le navi di PisaIl relitto dell'Alkedo, un pattugliatore militare

da 12 rematori. |

COOPERATIVA ARCHEOLOGIA

MERCI E BAGAGLI.

 Poi ci sono gli oggetti, che descrivono la vita e

i commerci dell'epoca.

Tra le anfore del carico di una nave del II secolo

avanti Cristo che faceva la rotta tra la Campania

e la Spagna sono state ritrovate spalle di maiale

in salamoia; in un'altra, del secondo secolo

dopo Cristo, conserve di frutta.

A bordo di quest'ultima è stato trovato anche

quello che doveva essere il tipico bagaglio di un

marinaio del tempo: una cassetta di legno con

un piccolo gruzzolo di monete e pochi oggetti

personali.

INGEGNERI NAVALI.

 Delle navi è stata studiata la tecnica costruttiva,

che si è dimostrata più avanzata di quel che si

pensava fossero le conoscenze dell'epoca.

Gli scavi hanno raccontato molto anche delle

tecniche di navigazione: il cantiere ha restituito

molte parti delle tipiche vele quadrate dei romani,

che permettono di ricostruire con notevole

affidabilità il complesso sistema alla base della

struttura delle vele.

 

Storia: la Roma antica e le navi di PisaL'ancora in legno di un'imbarcazione denominata

"nave A". |

COOPERATIVA ARCHEOLOGIA

IL RESTAURO.

 A permettere che a distanza di secoli le navi

si siano conservate così bene è stato il fatto

che, dopo ogni alluvione, le imbarcazioni

venivano seppellite dal fango, in una sorta di

sottovuoto privo di ossigeno che ha impedito a

funghi e batteri di proliferare e di decomporre

il legno.

 

Nel caso di materiali così facilmente deperibili,

il restauro e la conservazione consiste

essenzialmente nel sostituire l'acqua, presente

in percentuali altissime nel legno rimasto

immerso, con altre sostanze, senza far collassare

la struttura.

Una volta si utilizzavano materiali come il glicole

polietilenico, che però con il tempo rendono il

legno fragile - una "lezione" appresa con il restauro

del famoso vascello Vasa, affondato nel 1628

nel porto di Stoccolma, appena dopo il varo,

recuperato nel 1961 e conservato oggi in un museo

dedicato.

Per le navi romane sono state invece utilizzate

resine speciali, come la kauramina, innovativa

(e irreversibile).

Dopo anni di lavori, ora finalmente tutti possono

ammirarle.

 
 
 

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