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Messaggi del 17/08/2020
Post n°3234 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet La vita sulla Terra: esisteva 4 miliardi di anni fa? Tra riconoscimenti e critiche, un nuovo studio sposta ancora più indietro nel tempo l'esistenza di prime forme di vita sulla Terra, quando il nostro pianeta aveva appena 500 milioni di anni. Così doveva apparire la Terra nel periodo dell'intenso bombarda- mento tardivo (vedi testo). | NASA In Labrador, nel nord del Canada, ci sono alcune delle più antiche rocce della Terra, con un'età stimata in circa 4 miliardi di anni. Sono pochi i luoghi del pianeta dove si sono preservate rocce così primitive (di estremo interesse sono anche il Sudafrica e alcune regioni dell'Australia) perché gli eventi geologici che si sono succeduti nel tempo, in particolare la tettonica delle placche, ha trasformato se non cancellato ogni traccia del passato. Sembra che nelle rocce canadesi ci sia una nuova risposta alla domanda che da sempre si fanno biologi, paleontologi e molti altri... quando è nata la vita sulla Terra? Cianobatteri (alghe azzurre): furono tra i primi arganismi viventi, ma in Labrador dovevano esserci i loro progenitori. | Prima di 3,95 miliardi di anni fa, afferma una nuova ricerca - che non ha mancato di raccogliere plausi (uno per tutti: Dominic Papineau, geochimico dell'University College London) e critiche (uno per tutti: Martin Whitehouse, geologo dello Swedish Museum of Natural History di Stoccolma). LE PREMESSE. Sappiamo che i primi organismi apparsi sulla Terra non possono essersi conservati in forme fossili, perché estremamente delicati e piccoli, perciò, per cercare una risposta alla famosa domanda, si cerca piuttosto ciò che forme di vita molto semplici possono aver lasciato dietro sé, come ad esempio sostanze prodotte dalla loro attività. Seguendo questa pista si era trovato che la vita esisteva sulla Terra 3,7 L'idea era che fosse quella la risposta, un tempo limite, visto che il pianeta ha circa 4,5 miliardi di anni e che più o meno 3,9 miliardi di anni fa venne sottoposto a un massiccio bombardamento di asteroidi e comete, il cosiddetto intenso bombardamento tardivo. Adesso però la ricerca dell'Università di Tokyo su alcuni minerali canadesi, riportata (e commentata) in questo articolo di Nature (inglese), sposta l'esistenza di forme di vita più indietro, a 3,95 miliardi di anni fa. E si parla di esistenza, non di origine, per di più su di una Terra per noi irriconoscibile, ricoperta da mari di lave sotto l'incessante pioggia di asteroidi. Lo studio di Tsuyoshi Komiya e Yuji Sano è focalizzato sulla grafite (lo stesso materiale delle matite) incorporata nelle rocce canadesi. Da uno studio pubblicato nel 2017: sezione di un frammento di roccia di 3,48 miliardi di anni fa, rinvenuto nella Dresser Formation (Pilbara , Australia occidentale). Le aree biancastre sarebbero tracce di stromatoliti. | UNSW IL METODO. La grafite è carbonio, ossia l'elemento base della vita, e qualunque laboratorio adeguatamente attrezzato può stabilire se un campione di carbonio è stato prodotto da organismi viventi (e dunque è biogenico) o da comuni processi geologici. L'analisi viene eseguita sugli isotopi dell'elemento, ossia sugli atomi che pur avendo uguale numero di protoni hanno un diverso numero di neutroni. Di solito, il carbonio biogenico ha un maggior contenuto di isotopi con minor numero di neutroni. In effetti è un processo di ricerca non semplice, ma è ben collaudato, ed è il metodo che usiamo per cercare tracce di vita su altri pianeti, a partire da Marte. PROVE CERTE? Dallo studio sulla grafite canadese Komiya e Sano hanno stabilito che quel carbonio di 3,95 miliardi di anni fa è di origine organica. Dunque, in quel periodo esisteva già vita sulla Terra... Primi anni 2000: tubi di ematite rinvenuti in alcune rocce nella formazione geologica della Groenlandia detta Nuvvuagittuq. Uno studio pubblicato nel 2017 li interpreta come resti di antichissimi batteri. | MATTHEW DODD Studi precedenti avevano individuato tracce di vita organica che potevano risalire a 3,85 miliardi di anni fa, ma in tutte le occasioni le prove erano state fortemente contestate da molti ricercatori. «In questo caso», afferma Komiyra, «sono invece certissime. Al momento non possiamo dire "quale organismo" può avere prodotto tale tipo di grafite, perciò adesso analizzeremo isotopi di altri elementi come l'azoto, lo zolfo e il ferro, e forse questo ci permetterà anche di identificarli.» Le polemiche sui risultati non si sono fatte attendere: il metodo e le deduzioni sono al vaglio di ricercatori indipendenti (non coinvolti nella ricerca) che si sono già confrontati in passato con ricerche analoghe: se le prove non convinceranno la comunità scientifica bisognerà accettare il fatto che non c'è una nuova risposta, oppure che se anche ci fosse non siamo in grado di trovarla. |
Post n°3233 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Scoperti nell'atmosfera di Titano i processi che portarono alla vita sulla Terra Nell'atmosfera della luna di Saturno sono state rilevate molecole in grado di unirsi tra loro per dare origine agli elementi fondamentali della vita. Titano è una delle Luna di Saturno. La sua densa atmosfera impedisce ad occhio umano di osservare la superficie. Ora si è scoperto che al suo interno vi sono importanti molecole e reazioni utili alla nascita della vita. | ESA/NASA La missione Cassini-Huygens, ormai vicina alla sua fine, ha realizzato una sorprendente scoperta che riguarda l'esistenza di particolari molecole all'interno dell'atmosfera di Titano, la nebbiosa luna di Saturno, che sarebbero fondamentali nella produzione di complessi composti organici. La grande luna di Saturno possiede una spessa atmosfera composta di azoto e metano con una chimica tra le più articolate del sistema solare. Per molti astronomi assomiglia molto all'atmosfera primordiale della Terra, prima che si accumulasse ossigeno al suo interno. È come osservare il nostro pianeta quando aveva poche centinaia di milioni di anni. Per questo motivo la luna è vista come un gigantesco laboratorio che potrebbe aiutarci a capire come si è sviluppata la vita sulla Terra e forse anche su altri corpi del sistema solare.
Così si potrebbe immaginare la superficie di Titano: fiumi, montagne e laghi. | ESA/NASA AZOTO, METANO ED ENERGIA. Nell'alta atmosfera di Titano, l'azoto e il metano sono esposti all'azione della luce solare e alle particelle molto energetiche della magnetosfera di Saturno. Queste fonti di energia portano a far sì che si sviluppino reazioni chimiche tra l'azoto, l'idrogeno e il carbonio (carbonio e idrogeno sono le molecole che formano il metano, CH4), le quali portano alla formazione di composti prebiotici più complessi. Le molecole che si formano, essendo pesanti, tendono a scendere verso le zone inferiori dell'atmosfera e creano un denso aerosol organico che a volte raggiunge la superficie stessa di Titano.
I processi chimici che avvengono nell'atmosfera di Titano. Sono complessi e portano alle molecole base per la vita. | ESA/NASA (BIGNAMI) ALLA CARICA. Il processo della formazione delle molecole che vi abbiamo raccontato finora, però, è molto complesso e difficile da capire. Ora la sonda Cassini ha scoperto, sorprendentemente, l'esistenza di molecole con carica negativa (ossia con un surplus di elettroni) all'interno dell'aerosol. La sorpresa sta nel fatto che gli scienziati non si aspettavano di trovarle perché le molecole con cariche negative - chiamate anioni - sono fortemente reattive e quindi non dovrebbero resistere a lungo nell'atmosfera, ma reagire immediatamente con altre molecole ad originare nuove sostanze. Se sono state osservate e rilevate significa che sono molto, ma molto abbondanti. IL FORNO È NELL'AEROSOL. Nello studio appena pubblicato su Astrophysical Journal Letters, un gruppo di ricercatori ha identificato alcune molecole caricate negativamente note come "anioni di catene carboniose", che stando a quanto noto finora, sono alla base di molecole molto più complesse che, sulla Terra, devono aver reagito con altre sostanze ancora per dare origine alle prime forme di vita. È interessante il fatto che le catene di carbonio diminuiscono vicino alla superficie della luna, mentre nell'aerosol sono molto abbondanti a significare che è nell'aerosol la fornace di molecole organiche più grandi. In altre parole si può affermare che è al suo interno dove il mix tra gli atomi di azoto, carbonio e idrogeno, sottoposti a forti dosi di energia, si uniscono a formare molecole molto complesse.
Il CAPS, lo strumento che ha permesso di rilevare le complesse molecole su Titano. | ESA/NASA PROCESSO UNIVERSALE? «È la prima volta che si è riusciti a identificare catene di anioni carboniosi in un'atmosfera simile a quella di alcuni pianeti e quelle molecole sono vitali nella creazione di molecole organiche più grandi e più complesse. Fino ad oggi si erano visti processi del genere nel "mezzo interstellare" (ossia nel vuoto tra una stella e l'altra), ma ora li abbiamo osservati anche in un ambiente completamente differente e questo suggerisce che il processo potrebbe essere un universale per la costruzione di molecole organiche complesse», spiega Ravi Desai dell'University College di Londra. Ora ci si chiede se ciò possa avvenire anche in altri ambienti ricchi di azoto e metano, come quelli che ci sono su Plutone, Tritone o su pianeti extrasolari. La risposta potrebbe arrivare dalle future missioni spaziali, come dal telescopio Webb, in grado di analizzare le atmosfere di alcuni pianeti oltre il nostro sistema solare, a missioni specifiche per lo studio di tali pianeti. Le rilevazioni sono state effettuate dallo spettrometro di Cassini chiamato CAPS, quando la sonda passò tra i 900 e i 1.300 chilometri al di sopra della superficie di Titano. |
Post n°3232 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet A Latina scatta l'allarme granchio bluA Latina, nei pressi della Foce di Rio Martino, due pescatori hanno catturato un esemplare di granchio blu, crostaceo molto dannoso per l'ecosistema Un granchio blu è stato catturato a Latina: l'esemplare ha fatto la sua comparsa in una delle aree più delicate del mare del Lazio. Dopo l'apprensione per la vespa velutina in Liguria e Toscana e quella per l'invasione delle coccinelle in Puglia, scatta l'allarme anche a Latina questa volta per il granchio blu, un crostaceo molto pericoloso per l'ecosistema. La presenza di questa specie, appartenente a quelle che in gergo vengono definite "aliene", è stata scoperta da due pescatori della costa pontina: Gastone Orsini e Maurizio Lampacresce. I due hanno avvistato il granchio blu a Latina, nei pressi della Foce di Rio Martino nel Parco Nazionale del Circeo. Il nome scientifico del crostaceo in questione, conosciuto come granchio blu, è callinectes sapidus. In genere può essere lungo fino a 15 centimetri e largo 5. Il granchio blu è un crostaceo originario della sponda occidentale dell'Oceano Atlantico, dove vive lungo le coste dell'intero continente americano, dalla Nuova Scozia fino all'Argentina e riesce a spostarsi anche seguendo i corsi dei fiumi perché è in grado di tollerare anche acque con una salinità inferiore rispetto a quella del mare. In Europa è giunto intrufolandosi nelle acque di sentina delle navi. Per natura è onnivoro, quindi divora tutto quello che riesce a catturare: bivalvi, anellidi, avannotti, piante e anche le carogne. Le sue zampe sono piuttosto allungate: il primo paio, tramutate in chele, sono più grandi negli esemplari maschi rispetto a quelli delle femmine. L'avvistamento del callinectes sapidus ha fatto scattare l'allarme a Latina, dov e è stata catturata una femmina che presentava uova in avanzato stato di sviluppo. Secondo gli esperti, questo testimonia il successo ecologico e riproduttivo della specie nei mari italiani. Il suo arrivo sulle coste di Latina mette a repentaglio l'ecosistema della zona perché è una specie aggressiva, vorace e onnivora. La segnalazione è stata subito inserita nel progetto "BioBlitz: ricerca, conoscenza e partecipazione per la gestione sostenibile delle risorse marine" promosso dal Ministero delle politiche agricole e realizzato dal Cursa, il Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l'Ambiente. Alcuni esemplari di granchio blu sono presenti nei mari italiani sin dal 2015, quando hanno fatto la propria comparsa in Salento, nei vari bacini della marina di Ugento. Dalla scorsa estate hanno iniziato a riprodursi rapidamente anche nelle Valli di Comacchio e nella provincia di Ravenna. |
Post n°3231 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. Neve rosa sulle Alpi Italiane: un'alga minaccia i ghiacciai Scatta l'allarme sulle Alpi italiane: sul Presena e al Passo Gavia la neve è diventata rosa, a causa di un'alga minuscola che minaccia i ghiacciai Rosa come la neve. No, nessun errore. Sul ghiacciaio del Presena e al Passo Gavia la neve ha iniziato realmente a colorarsi di rosa. Il fenomeno, mai registrato prima d'ora sulle Alpi italiane, è causato dal proliferare di un'alga che, pur minuscola, sta minacciando i ghiacciai. Quest'alga, chiamata Ancylonema Nordenskioldii, oltre a conferire ai ghiacciai un colore rossastro, ha gravi conseguenze per la fusione degli stessi. Il fenomeno, causato dall'aumento delle temperature terrestri ed emerso e studiato in Groenlandia, è stato riscontrato anche in Europa dai ricercatori dell'Università di Milano-Bicocca, che qualche mese fa hanno pubblicato i r isultati della ricerca sulla rivista 'Scientific Reports'. Prima d'ora, quest'alga unicellulare non aveva mai colpito a latitudini così basse. Quella dell'alga Ancylonema Nordenskioldii non è l'unica minaccia in corso in Italia. Nei giorni scorsi, infatti, a Latina è scattato l'allarme granchio blu: un esemplare di questa particolare specie di crostaceo, per natura onnivora, aggressiva e vorace, è stato avvistato (e poi catturato) nei pressi della Foce di Rio Martino nel Parco Nazionale del Circeo. In Sardegna, invece, l'allarme riguarda le cavallette: nelle scorse settimane i campi in provincia di Nuoro sono stati invasi da milioni di famelici insetti, che hanno devastato ettari ed ettari di terreno, distruggendo raccolti e pascoli. Già l'estate scorsa l'isola italiana era stata invasa dalle cavallette, ma quest'anno gli insetti sono comparsi in anticipo e in numero ancora maggiore. I territori che hanno risentito maggiormente di questa invasione sono i paesi vicini alla Valle del Tirso, nel centro della Sardegna, come Ottana, Bolotana, Orotelli e Sarule. L'allarme cavallette ha però interessato anche la Bassa Ogliastra e qualche paese del Sarcidano. In Toscana e in Liguria preoccupa la comparsa della vespa "killer": si tratta della vespa velutina proveniente dal sud-est asiatico, un predatore molto pericoloso, grande più o meno come un calabrone, che rischia di fare una strage tra la popolazione di api, causando così un impatto potenzialmente devastante sull'apicoltura, sull'ecosistema e sulla biodiversità. Le segnalazioni della presenza della vespa velutina tra la Liguria e la Toscana sono ripartite all'inizio del mese di aprile 2020, nelle provincie di La Spezia e quelle di Massa e Carrara. |
Post n°3230 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Le noci di mare tornano a minacciare il mar Adriatico: l'allarme Le noci di mare, da molti scambiate per delle meduse, sono tornate a minacciare il mar Adriatico: è scattato un nuovo allarme dopo l'avvistamento Rieccole: le noci di mare sono tornate a tormentare il bagno di turisti e residenti che hanno scelto la costa Adriatica per le loro vacanze estive 2020. Nei giorni scorsi, questi piccoli esseri gelatinosi, che da molti vengono scambiati per meduse, hanno invaso le acque pesaresi, tra lo sconcerto dei bagnanti. Gli avvistamenti sono stati segnalati lungo tutta la costa, da Ponente fino a Fosso Sejore, ma l'invasione di noci di mare riguarda tutto il Mediterraneo e, in particolare, il Mar Adriatico, dal golfo di Trieste, dove a giugno era stata avvistata la più grande medusa del Mar Mediterraneo, a Pescara. In questo periodo, generalmente, le noci di mare si radunano in grossi banchi a ridosso delle scogliere, che creano una sorta di cortina difficile da penetrare per chi vuole farsi un bagno al largo. Cosa sono le noci di mare e perché sono pericolose Come già anticipato, in molti scambiano le noci di mare per delle meduse, anche se le noci di mare, conosciute anche col nome scientifico di Mnemiopsis Leidyi, non sprigionano sostanze urticanti. Ciò nonostante, questa specie aliena proveniente dall'Oceano Atlantico rappresenta ugualmente una minaccia, dal momento che è pericolosa per l'equilibrio marino in quanto in grado di modificare interi ecosistemi e ridurre fortemente la fauna ittica. Si nutrono di organismi molto piccoli, come le uova dei piccoli pesci e le larve. Nel Mar Nero, le noci di mare hanno già avuto degli effetti devastanti, compromettendo totalmente la pesca. Si pensa che le noci di mare siano giunte fino al Mar Adriatico attraverso l'acqua di sentina delle navi cisterna. Tra le possibili cause dell'invasione ci sono la sovrappesca, i cambiamenti climatici e l'eutrofizzazione. Una soluzione al problema, per il momento, non è stata però ancora trovata. Le noci di mare non sono l'unica minaccia per i mari italiani in questa estate 2020: nel mese di giugno, sulla costa Tirrenica, nel Lazio e più precisamente a Latina, è scattato infatti l'allarme granchio blu. Anche questo crostaceo, presente nei mari italiani fin dal 2015, è molto pericoloso per l'ecosistema dal momento che si tratta di una specie onnivora particolarmente aggressiva e vorace. |
Post n°3229 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. Gli affreschi svelano la vera origine di Venezia: la scoperta Alcuni affreschi recentemente ritrovati nella Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello hanno svelato la vera origine della città di Venezia Venezia ha origini carolingie e non bizantine. A rivelarlo sarebbero alcuni affreschi del IX secolo, i più antichi mai scoperti nella città lagunare, ritrovati dagli archeologi guidati da Diego Calaon dell'Università di Venezia sotto il tetto della Basilica di Santa Maria Assunta nell'isola di Torcello. Gli affreschi ritrovati dagli archeologi sarebbero la prova più schiacciante a conferma del fatto che la città di Venezia non sia sempre stata un baluardo irriducibile dell'Impero bizantino in occidente, come riporta la storiografia cittadina e come afferma la maggior parte degli storici. La Venezia delle origini sarebbe stata, invece, politicamente e culturalmente, soggetta ai Carolingi. L'isola di Torcello è molto importante per capire la nascita di Venezia, dal momento che fu uno dei primi luoghi dove, dopo la fine dell'Impero romano, si stabilì chi prima abitava in terraferma. Lo stile degli affreschi ritrovati nella Basilica di Santa Maria Assunta rimanda chiaramente all'Europa, piuttosto che alla Bisanzio dell'epoca. I colori vivaci e il bisogno di decorare tutti gli spazi disponibili (dovuto all'horror vacui) appaiono l'opposto della ieraticità bizantina. Le didascalie delle figure, poi, non lascerebbero dubbi, in quanto dipinte in una grafia di tipo carolingio. La Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello fu realizzata nel IX secolo e decorata con sculture e affreschi "carolingi". Nell'XI secolo, poi, gli affreschi vennero sostituiti dai mosaici in stile bizantino. Il lavoro degli archeologi, che hanno indagato lo spazio tra la volta decorata a mosaici e il tetto nella cappella del Diaconico, l'abside destra della basilica, ha riportato alla luce i pochi affreschi rimasti alle pareti. I restauri sono finanziati da "Save Venice", nell'ambito di un programma di messa in sicurezza dell'edificio ecclesiastico condiviso e discusso con il Patriarcato di Venezia. I lavori rientrano in un piano di interventi accelerato dalle conseguenze dell'ultima grande acqua alta del 2019, che ha provocato danni ingenti in oltre 80 chiese di Venezia. Lo scorso venerdì 10 luglio, a Venezia è stato completato il primo storico test del Mose, l'impianto per la difesa della città di Venezia dal fenomeno dell'acqua alta. Ecco le immagini del ritrovamento degli affreschi nella Basilica di Santa Maria Assunta nell'isola di Torcello a Venezia. |
Post n°3228 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Svelato il mistero della balena di Leonardo da Vinci Il mistero della balena descritta da Leonardo da Vinci nel Codex Arundel è stato svelato da una ricerca condotta dalle università Pisa e San Diego Un altro mistero legato alle opere di Leonardo da Vinci è stato svelato. L'ultima scoperta, in particolare, è legata alla balena descritta da Leonardo nel Codex Arundel , l'imponente raccolta di manoscritti autografi conservata presso la British Library di Londra. Secondo un nuovo studio internazionale, appena pubblicato nella rivista internazionale "Historical Biology", a firma di Alberto Collareta, Marco Collareta e Giovanni Bianucci dell'Università di Pisa e di Annalisa Berta dell'Università di San Diego, la balena in questione non era un mostro marino, ma un fossile di cetaceo e quella di Leonardo da Vinci è stata, quindi, la più antica descrizione ad oggi nota di un reperto paleontologico. Secondo i ricercatori, l'autore della Gioconda non fu solo pittore, scultore, disegnatore, architetto, anatomista, ingegnere e filosofo ma anche uno dei precursori della moderna geologia. Nello studio si legge: "L'analisi suggerisce che le riflessioni di Leonardo sulla geologia e, in particolare, sui fossili potrebbero essere state ancora più ampie, includendo anche i vertebrati marini. Leonardo si dimostra anche precursore della paleontologia dei vertebrati, oltre 300 anni prima di George Cuvier, il grande naturalista francese padre di questa disciplina". Secondo la nuova ricerca condotta tra Pisa e San Diego, piuttosto che una divagazione fantastica su temi della letteratura antica, il testo di Leonardo sul mostro marino appare più come la più antica descrizione a oggi nota di un cetaceo fossile. Il testo, infatti, partirebbe da un'osservazione di una balena fossile. Un censimento dei rinvenimenti di cetacei fossili toscani ha dimostrato che, negli ultimi due secoli, almeno 8 località toscane nelle vicinanze di Vinci hanno restituito resti fossili significativi di grandi balene. Stando agli studiosi, esistono molte indicazioni che il giovane Leonardo abbia osservato una balena fossile e che questo avvenimento abbia significativamente indirizzato la sua riflessione paleontologica e geoscientifica. Anche la collocazione del mostro marino, che Leonardo da Vinci descrive come facente da "armadura e sostegno" ai rilievi circostanti, suggerisce un posizionamento lungo il fianco di una collina e tale scenario appare perfettamente compatibile con le condizioni più tipiche del rinvenimento delle balene fossili toscane. Nel gennaio 2019 era stato svelato un altro mistero sulle opere di Leonardo da Vinci, quello della sfera presente nel Salvator Mundi, che non riflette la luce perché, in realtà, cava. |
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