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Messaggi del 08/07/2019
Post n°2284 pubblicato il 08 Luglio 2019 da blogtecaolivelli
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Post n°2283 pubblicato il 08 Luglio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 19 giugno 2019 L'alba delle città nel NeoliticoMigliaia di anni fa l'avvento dell'agricoltura e della domesticazione di animali ha portato non solo insediamenti stabili e sviluppo culturale, ma anche maggior incidenza delle malattie infettive e una primitiva forma di stress, che poteva sfociare in conflitti violentiScorte di cibo più sicure e insediamenti stabili. Una vita a stretto contatto con gli altri membri di una comunità numerosa, che garantiva maggiori relazioni sociali e sviluppo culturale. Ma anche maggiore esposizione alle malattie infettive e a una primitiva forma di stress psico- sociale, che poteva sfociare in conflitti anche violenti. Neolitico sorte dopo il passaggio dalla sussistenza basata sulla caccia e sulla raccolta a quella basata sull'agricoltura e sull'allevamento. National Academy of Sciences" da Clark Spencer Larsen, dell'Ohio State University a Columbus e colleghi, aggiunge informazioni importanti per comprendere questa svolta fondamentale della storia umana, grazie a nuove analisi dei resti rinvenuti nel sito neolitico di Çatalhöyük, in Anatolia, Turchia. resti umani risalenti a un periodo tra il 7100 e il 5950 a.C., quindi successivo all'avvento dell'agricoltura e della domesticazione degli animali. I dati raccolti mostrano un notevole aumento dei tassi di fecondità e di natalità rispetto ai secoli passati, con una crescita della popolazione che poteva arrivare a 3500-8000 individui. società complessa, caratterizzata dallo sviluppo della cultura materiale, come testimoniano dipinti murari e statuette di esseri umani e animali emersi dagli scavi; e come suggeriscono anche gruppi di abitazioni molto vicine tra loro, con sepolture sotto i pavimenti delle case e resti di scheletri umani molto ben preservati. Queste modalità di sepoltura sono le stesse in tutto il sito, e fanno pensare a un forte senso di comunità. animali getta una luce sulle coltivazioni e sulle specie che erano la base alimentare degli abitanti di Çatalhöyük. Le varietà agricole più consumate sono farro dicocco (Triticum dicoccum) e piccolo farro (Triticum monococcum), frumento, orzo, segale, piselli, lenticchie e altre specie vegetali non domesticate contenenti amido. Gli allevamenti sono principalmente di ovini e caprini, mentre le fonti di proteine animali non domesticate sono lepri, cervi, pesce e crostacei. dell'alimentazione e delle condizioni di vita. Ma il modello di vita proto-urbano di questi millenni è anche fonte di problemi di salute. Il maggior consumo di carboidrati determina un incremento delle carie dentali, mentre l'elevata densità abitativa contribuisce, insieme alla prossimità con gli animali domestici, a una maggior incidenza delle malattie infettive. fonte di una maggiore competizione tra i membri della comunità e di una forma primitiva di stress psico-sociale: aumentano le occasioni di conflitti e di violenza, come indicato dalla diffusione delle lesioni craniche. (red) |
Post n°2282 pubblicato il 08 Luglio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 25 giugno 2019 Tre millenni di tecnologia tra i cebi brasilianiEsemplare di Sapajus libidinosus L'analisi di un giacimento archeologico di strumenti in pietra usati da animali non umani ha dimostrato che i cebi usano pietre per aprire gli anacardi almeno da 3000 anni e che nel corso del tempo hanno cambiato diverse volte peso e dimensioni dei percussori. Scimpanzé, cebi e lontre sono tutti animali che usano le pietre come strumenti per aprire noci e conchiglie. Un nuovo studio pubblicato su "Nature Ecology & Evolution" da Tomos Proffitt dello University College di Londra e colleghi dimostra ora che i cebi striati, o cappuccini barbuti (Sapajus libidinosus), usano questi strumenti da almeno 3000 anni e che nel corso di questo lungo arco temporale hanno cambiato più volte la loro tecnologia. si è strutturato nel corso dell'evoluzione dei primati l'uso di utensili di pietra, considerato uno dei passi fondamentali dell'evoluzione umana, perché indicativo di destrezza manuale e di capacità di elaborare strategie complesse di adattamento all'ambiente. Per questo, l'industria litica - cioè l'attività di scheg- giatura delle pietre da usare a vari scopi, dalla caccia alla macellazione delle carni - è ritenuta caratteristica degli esseri umani. pietra come percussori, reperiti in modo fortuito nell'ambiente, è però presente anche in diverse specie di scimmie, e cioè scimpanzé, macachi e cebi: è un segno che si tratta di un'attitudine emersa tra i nostri antichi antenati, ancora prima dell'avvento del genere Homo. dei resti archeologici non solo di ominidi, ma anche dei primati. Risultati interessanti erano stati ottenuti con uno scavo condotto in Costa d'Avorio, da cui sono emerse le prove dell'uso percussivo delle pietre tra gli scimpanzé già 4300 anni fa. Gli altri animali che usano strumentidi Michael HaslamDi recente, si è però scoperto il primo giacimento archeologico di strumenti in pietra di animali non umani a parte gli scimpanzé: è nel Parco Nazionale di Serra di Capirava, in Brasile, dove i cebi striati usano le pietre per aprire gli anacardi. con la tecnica di datazione al radiocarbonio, mostrano ora che le scimmie usano questa tecnica da 3000 anni, o 450 generazioni, con alcune varianti che si sono succedute nel corso del tempo. hanno usato strumenti di pietra più piccoli e più leggeri. Tra 2400 e 300 anni fa, sono passati a utensili più grandi e pesanti; infine, sono tornati a strumenti più piccoli, utilizzati fino a oggi. dell'evoluzione su un lungo periodo di una tecnologia non umana, e può essere spiegata in vari modi. La prima ipotesi è che nel corso del tempo diversi gruppi di cebi abbiano usato differenti utensili in pietra. Ma è anche possibile che prima che gli anacardi fossero facilmente raggiungibili, gli strumenti più grossi e massicci servissero a trasformare altri tipi di cibi. (red) |
Post n°2281 pubblicato il 08 Luglio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze. 15 aprile 2019 Le tante famiglie dei Denisova(Science Photo Library/AGF) Il DNA delle popolazioni attuali di isole del Sudest asiatico e di Papua Nuova Guinea porta le tracce di diversi rami filogenetici dell'uomo di Denisova, la misteriosa specie umana i cui primi resti fossili sono stati scoperti anni fa nella grotta dei Monti Altai, in Siberia. Le simulazioni, inoltre, indicano che uno dei rami denisoviani si sarebbe estinto 30.000 anni fa e si tratterebbe quindi degli ominidi arcaici sopravvissuti più a lungo tra quelli noti finora. antropologiaevoluzionegenetica Nel 2010, il completamento delle analisi del materiale genetico recuperato da resti fossili scoperti in una grotta dei Monti Altai, in Siberia, ha delineato l'identikit di una nuova specie umana, l'uomo di Denisova, vissuto tra 70.000 e 40.000 anni fa. È accertato ormai che questo ominide condivise il territorio sia con la nostra specie, Homo sapiens, sia con i Neanderthal. I contatti tra le diverse specie furono consistenti e con incroci, tanto che una piccola percentuale del genoma delle attuali popolazioni umane asiatiche è di origine denisoviana. Massey University, in Nuova Zelanda, e colleghi di una collaborazione internazionale ha rivelato che nel patrimonio genetico di 161 individui appartenenti a 14 popolazioni isolane del Sudest asiatico e di Papua Nuova Guinea ci sono tracce di due distinti rami filogenetici denisoviani rispetto al Denisova siberiano, il primo chiamato convenzionalmente D1, geneticamente più vicino al Denisova di Altai, e il secondo chiamato D2, geneticamente più distante. Questi due rami sono rimasti separati l'uno dall'altro per circa 350.000 anni. Inoltre, le analisi hanno mostrato che le varianti genetiche di D1 sono presenti solo nei papuani, mentre quelle di D2 hanno una diffusione geografica molto più ampia, dall'Asia all'Oceania. Ricostruzione dell'aspetto dell'uomo di Denisova diffuso nel Sudest asiatico e in Oceania. (Science Photo Library/AGF )Grazie a una simulazione basata sul tasso stimato di mutazioni, gli autori hanno concluso che D1 si è separato dal ramo dei Denisova di Altai circa 363.000 anni fa e che D2 si è separato da questo stesso ramo circa 283.000 anni fa. Questi risultati fanno seguito a quelli di uno studio che hanno mostrato una terza discendenza di Denisova, indicata come D0, di origine molto più recente, nei genomi dei siberiani moderni, dei nativi americani e degli asiatici orientali. umano molto più complesso di quello ricostruito fino a pochi anni fa. Questo mosaico di nuove scoperte nel continente asiatico, oltre a quelle di Homo floresiensis e del recentissimo Homo luzonensis, è frutto anche di un mutamento di prospettiva nella ricerca paleoantropologica, che nei decenni passati ha dedicato molta attenzione alle regioni europee e dell'Eurasia settentrionale, sulla base della convinzione che i resti umani - e soprattutto il DNA che contengono - potessero conservarsi solo al freddo. neanderthaliani", ha spiegato Cox. "Ora sappiamo che c'era un'enorme varietà di gruppi simili agli umani in tutto il pianeta, e per molto tempo i nostri antenati sono venuti in contatto con gruppi che erano geograficamente isolati tra loro". e molto più a nord", dice Cox. "Il nostro lavoro mostra invece che il centro della diversità arcaica non era in Europa o nel nord ghiacciato, ma nell'Asia tropicale". ramo D1 dei Denisova è sopravvissuto fino a 30.000 anni fa, forse anche fino a 14.500 anni fa. Si tratterebbe quindi degli ominidi arcaici sopravvissuti più a lungo tra quelli finora noti, considerato che i neanderthaliani si estinsero circa 40.000 anni fa, l'uomo di Flores tra 60.000 e 50.000 anni fa e che i resti di H. luzonensis risalgono a prima di 50.000 anni fa. (red) |
Post n°2280 pubblicato il 08 Luglio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 29 marzo 2019 Gli dèi moralizzatori non c'entrano con lo sviluppo delle società complesseLe grandi religioni basate su figure divine moralizzatrici si sono diffuse in un'epoca posteriore al sorgere delle società umane complesse, e quindi non hanno avuto un ruolo nel loro sviluppo. E' quanto sostiene un nuovo studio condotto con metodi quantitativi e statistici che mette in discussione la funzione prosociale delle religionidi Marcus Woo/Scientific American Circa 12.000 anni fa le società umane s'ingrandirono; tribù e villaggi si svilupparono in vaste città, regni e imperi nel giro di pochi millenni. Ma perché società così grandi e complesse potessero mettere radici, era necessario mantenere coesione sociale e cooperazione, anche tra estranei. L'elemento che ha permesso questo, hanno sostenuto molti ricercatori, è stata la religione. particolarmente bene [a questo scopo] se stabilisce standard di moralità e comportamento e li impone con la minaccia di una punizione soprannaturale. di chi si comporta bene o male, come nelle religioni abramitiche. Oppure, come nel concetto buddista del karma, le religioni possono imporre la moralità attraverso la cosiddetta "punizione soprannaturale dffusa", con conseguenze spontanee che avvengono senza l'intervento di grandi dèi convenzionali. il ruolo di questo tipo di religione "prosociale" nel favorire società di ampie dimensioni. "Non è il principale motore della complessità sociale, come avevano previsto alcune teorie", afferma Harvey Whitehouse, antropologo dell'Università di Oxford e tra gli autori principali dello studio. I simboli delle tre religioni mototeiste: islam, ebraismo e cristianesimo (BSIP/AGF)Al contrario, lo studio suggerisce che le religioni prosociali sono apparse dopo che erano già emerse società complesse. Anche se queste religioni possono aver contribuito a sostenere e far crescere grandi società, l'analisi spiega che non erano necessarie fin dall'inizio perché le società si espandessero. non l'hanno fatto in gran parte del passato dell'umanità, quando le persone in genere cercavano di placare dèi volubili con la preghiera e il sacrificio piuttosto che impegnarsi a essere buone. Le religioni prosociali erano "davvero non comuni", dice Edward Slingerland, storico e studioso religioso dell'Università della British Columbia che non era coinvolto nel nuovo studio. "Eppure quando emergono, poi si diffondono". definiscono anche ipotesi degli "dèi moralizzatori" - prevede che si siano diffuse perché hanno dato il via alle grandi società, che alla fine sono arrivate a dominare ampie parti del mondo. imparentate biologicamente o comunque si conoscevano bene, quindi era abbastanza facile sentirsi reciprocamente responsabili quando si trattava di cooperare e scambiare favori reciproci. potrebbero interagire solo una volta, dice Slingerland. Di conseguenza, un gruppo di ricercatori, tra cui Slingerland e Ara Norenzayan, psicologo della UBC, aveva proposto che le religioni prosociali - in particolare quelle con i "grandi dèi" - fossero state necessarie per promuovere una cooperazione sufficiente a far decollare le società complesse. Alcuni esperimenti hanno scoperto che persone psicologicamente predisposte a pensare alle religioni prosociali sono più collaborative. Studi storici hanno anche suggerito che l'ascesa di quelle religioni coincise con l'aumento della complessità sociale. state contradditorie, trovando differenze tra i due tipi di religioni prosociali. Per esempio, uno studio del 2015 sulle società austronesiane ha trovato grandi dèi emersi dopo l'ascesa di società complesse, anche se il concetto di punizione soprannaturale diffusa era apparso prima. Uno studio del 2017 sulla Scandinavia dell'era vichinga ha trovato risultati simili. specifiche, mentre quello pubblicato ora riguarda tutto il mondo: si basa su una banca dati chiamata Seshat, che copre 414 società di 30 regioni geografiche attraverso 10.000 anni di storia. letteratura scientifica disponibile relativa a diverse società. Hanno stabilito quanto una società credeva nelle religioni prosociali, insieme a vari indicatori di complessità sociale tra cui la popolazione, le dimensioni del territorio e la presenza di codici legislativi e tribunali. numeriche e hanno utilizzato tecniche statistiche per calcolare un numero che riflettesse il livello di complessità di ciascuna società. sociale con la cronologia della comparsa delle religioni pro-sociali, hanno scoperto che, nella grande maggioranza delle società, quelle religioni erano emerse successivamente, dopo che le società si erano espanse fino a raggiungere una popolazione di circa un milione di persone. che si adatta a ciò che era stato trovato in precedenza", dice Russell Gray, evoluzionista del Max-Planck-Institut per la Scienza della Storia umana, che faceva parte dello studio sull'Austronesia ma non di quello nuovo. punizione soprannaturale diffusa per avere delle società complesse, dice. "Questa è di gran lunga la cosa migliore che ho visto arrivato finora dal tanto pubblicizzato progetto Seshat". database Seshat non riportano alcuna consultazione con esperti. "Questo mi preoccupa", dice. Molti elementi del database, come la fede nelle religioni prosociali, sono soggetti all'interpretazione e al dibattito, anche tra esperti che hanno passato la carriera a studiare specifiche società e periodi di tempo, osserva. il database potrebbe sottostimare l'incertezza o caratterizzare in modo errato una società. "Non sto dicendo che i dati siano tutti sbagliati", dice. "È solo che non lo sappiamo: in un certo senso, ciò è altrettanto negativo, perché non conoscere significa non poter prendere sul serio l'analisi". di esperti, ma sarebbe stato impossibile reclutare studiosi per controllare tutti i 47.613 documenti che hanno analizzato, dice Patrick Savage, antropologo e statistico dell'Università Keio, in Giappone, che ha guidato il nuovo studio insieme a Whitehouse e a Pieter Francois, antropologo di Oxford. Anche senza la verifica di ogni voce da parte di esperti, Savage afferma che il gruppo rimane fiducioso sulla qualità dei suoi dati e delle sue analisi. statistica è stata ripetuta più volte con molteplici valori possibili dei dati. Ogni volta, si sono continuate a trovare religioni prosociali emerse dopo società complesse. Le conclusioni erano così forti e coerenti che discrepanze o errori di sorta nel database non sarebbero stati abbastanza rilevanti da fare molta differenza, dice. La pesa delle anime (dettaglio del Giudizio Universale, Saint- Pierre-le-Jeune, Strasburgo; ©Godong/UIG/AGF)Se lo studio resiste al controllo, non significa che gli dèi moralizzatori non abbiano alcuna relazione con le società complesse: potrebbero aver aiutato a rafforzare la coesione e la cooperazione, poiché queste società ne conquistavano altre e via via abbracciavano una popolazione più diversificata. "Non sono tutte cattive notizie per l'ipotesi degli dèi moralizzatori", dice Whitehouse. anche altri aspetti della religione. Per esempio, Whitehouse ipotizza che la standardizzazione dei rituali religiosi potrebbe essere stata cruciale. Secondo l'analisi del suo gruppo, le prove archeologiche dei rituali corrispondono spesso alle epoche in cui le società sono diventate grandi, prima che comparissero le religioni prosociali. "Quando si tratta della nascita della complessità sociale", hanno scritto gli autori dello studio, "il modo di adorare in definitiva potrebbe essere più importante di che cosa si adora". il 20 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2279 pubblicato il 08 Luglio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze Il nuovo biomateriale creato sfruttando le proprietà di organismi marini unicellulari Fonte: Università di Bologna ©Biosphoto Un gruppo di ricercatori è riuscito ad arricchire lo scheletro di carbonato di calcio prodotto naturalmente dalla foraminifera Amphistrigina lessoni con nano-particelle magnetiche. Una nuova strategia che apre le porte a infinite possibilità per la sintesi di nuovi materiali. Un gruppo di ricercatori guidato da studiosi dell'Università di Bologna è riuscito per la prima volta a sintetizzare un nuovo biomateriale, a base di carbonato di calcio e arricchito con nano -particelle magnetiche, sfruttando le caratteristiche naturali di un organismo marino unicellulare, la foraminifera Amphistrigina lessoni. progressi per individuare i meccanismi da cui nascono i materiali naturali e che ne regolano le proprietà, infatti, in molti casi è ancora impossibile riprodurli in laboratorio. Per questo, gli studiosi autori della ricerca hanno cambiato approccio: non tentare di imitare i processi naturali, ma sfruttarli per produrre nuovi materiali. Una strategia innovativa - presentata sulla rivista Materials Horizons - che potrebbe ora essere replicata anche su altri organismi e con altri "ingredienti", dando così origine a infinite possibilità per la sintesi di nuovi materiali. Tutto parte dalla foraminifera Amphistrigina lessoni, un organismo marino unicellulare capace di produrre uno scheletro composto di carbonato di calcio, materiale molto studiato e molto utile soprattutto in campo biomedicale. Sfruttando questa abilità naturale, i ricercatori sono riusciti ad utilizzare la foraminifera come bioreattore per produrre cristalli bionici di carbonato di calcio arricchiti con nano-particelle magnetiche. Un ingrediente aggiuntivo che è in grado di dare allo scheletro di questi organismi delle proprietà magnetiche addizionali. assorbono l'acqua di mare attraverso vescicole", spiega Giuseppe Falini, professore dell'Università di Bologna che ha coordinato lo studio. "Noi abbiamo voluto studiare se la presenza di un additivo nel mezzo utilizzato per la crescita degli organismi consentisse di sintetizzare cristalli ibridi di calcite e additivo, con caratteristiche non ottenibili tramite la sola sintesi chimica in laboratorio". Una sfida che ha restituito un riscontro positivo: l'additivo aggiunto dai ricercatori ha portato gli organismi ad arricchire il loro scheletro con particelle magnetiche, creando di fatto un nuovo biomateriale. "Sfruttando il processo di biomineralizzazione delle foraminifere - conferma Giulia Magnabosco, prima autrice dello studio - siamo riusciti a fare in modo che all'interno dello scheletro venissero intrappolate particelle magnetiche. In questo modo, è stato possibile sintetizzare un nuovo materiale a base di carbonato di calcio che può essere controllato applicando un campo magnetico esterno". tratto vantaggio dalle abilità delle foraminifere, ma, sottolineano gli autori, in linea di principio può essere applicata anche ad altri organismi calcificanti e ad altre classi di additivi. Uno schema, insomma, da cui potrebbero nascere infinite possibilità per la sintesi di nuovi materiali. Horizons con il titolo "Bionic synthesis of a magnetic calcite skeletal structure through living foraminifera" - è stato condotto da Giulia Magnabosco, Simona Fermani, Matteo Calvaresi e Giuseppe Falini del Dipartimento di Chimica "Giacomo Ciamician" dell'Università di Bologna. Corticelli, Meganne Christian e Vittorio Morandi dell'Istituto per la microelettronica e microsistemi (IMM) del CNR di Bologna, con Cristiano Albonetti dell'Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (ISMN) del CNR di Bologna e con Hagar Hauzer e Jonathan Erez della Hebrew University of Jerusalem. |
Post n°2278 pubblicato il 08 Luglio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 05 luglio 2019Comunicato stampa I faggi più vecchid'Europa scopertinel Parco del PollinoFonte: Università della Tuscia © Gianluca Piovesan Nel Parco Nazionale del Pollino scoperti faggi di oltre 600 anni, le latifoglie decidue di clima temperato più antiche del mondo. Il segreto di lunga vita è una crescita lenta ma che aumenta nel corso dei secoli, una condizione che sembra accomunare molti alberi longevi del pianeta inclusi i pini loricati.Pubblicato in "Ecology" l'articolo "Lessons from the wild: Slow but increasing long-term growth allows for maximum longevity in European beech"Scoprire, studiare e preservare le foreste vetuste e i vecchi alberi è una priorità assoluta per la conservazione della natura in questa epoca di cambiamenti globali. In questo studio abbiamo utilizzato il metodo dendrocronologico, ossia basato sulla misurazione degli anelli di accrescimento, per ricostruire le storie di crescita degli alberi in una faggeta vetusta altomontana del Pollinello (Parco Nazionale del Pollino). Due degli alberi datati con il metodo dendrocronologico sono di oltre 620 anni, un'età che li distingue per aver raggiunto una longevità massima nell'ambito della foresta temperato decidua. I due alberi sono stati chiamati Michele e Norman in memoria del botanico Michele Tenore e del viaggiatore e scrittore Norman Douglas che, rispettivamente, nell'ottocento e nei primi del novecento descrivono le fantastiche foreste del Pollino rimarcando la naturalità diffusa degli ecosistemi. Per fortuna la faggeta del Pollinello è stata solo marginalmente toccata dalle forti utilizzazioni forestali del secolo scorso per cui, ancora oggi, si rinvengono tratti praticamente primevi dove gli alberi nascono, crescono e muoiono seguendo un ciclo naturale. caratteri ecologici unici di foresta decidua che entra in contatto con le pinete oromediterranee di pino loricato il popolamento è stato candidato nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità "Ancient and Primeval Beech Forests of the Carpathians and Other Regions of Europe". crescita individuale è molto variabile; un albero può impiegare da uno a oltre sette secoli per raggiungere una grande dimensione (diametro a petto d'uomo maggiore di 60 cm). Va rimarcato che in questi boschi la carie, ossia il marciume del legno, attacca spesso i tronchi del faggio rendendo difficile la datazione. Tuttavia, una ricostruzione delle età evidenzia la possibilità che alcuni alberi con il tronco cariato possano avere oltre 800 anni fino a sfiorare il millennio. La ricerca in corso con metodi integrati dendrocronologia e radiocarbonio ha quindi l'obiettivo di verificare scientificamente questa proiezione basata per ora su modelli di crescita basati sugli anelli misurati nella prima parte (ossia la più antica) del legno sano. faggi, i più antichi d'Europa, è quella di un accrescimento lento ma crescente nel lungo termine, una condizione che si sta confermando sempre più nel mondo degli alberi quale prerequisito per raggiungere longevità estreme. Soppressione della crescita nelle prime fasi della vita dovuta a competizione e condizioni climatiche estreme sembrano così essere il segreto di una vita lunga. Sempre a causa delle condizioni ambientali severe gli alberi non sviluppano altezze importanti ma mantengono una dimensione più ridotta intorno ai 15-25 m che conferisce loro una maggiore resistenza agli eventi climatici estremi. Faggi di oltre 500 anni sono stati rinvenuti in condizioni stazionali simili nelle boschi vetusti dei Parchi Nazionali del Casentino e di Abruzzo, faggete riconosciute patrimonio mondiale Unesco nel 2017. Gli alberi habitat che racchiudono queste faggete vetuste ospitano una biodiversità unica di tante specie di vegetali e animali oggi a rischio di estinzione perché l'uomo nel corso dei secoli ha distrutto quasi dappertutto nel bioma temperato questi ambienti di foresta vergine. Grazie ai nuclei di foresta vetusta sopravvissuti insieme ad la politica del rewilding attuata dai Parchi Nazionali e dai Carabinieri Forestali nel corso degli ultimi decenni oggi si sta cercando di salvare questi scrigni di biodiversità e di servizi ecosistemici per la collettività. lungo termine possibili grazie ad una collaborazione tra Parchi Nazionali, in questo caso del Pollino che ha finanziato lo studio, ed Università, nella fattispecie di questo studio Dipartimento di eccellenza Scienze Agrarie e Forestali dell'Università della Tuscia. La ricerca viene ora divulgata quale buona prassi per la conservazione degli ecosistemi forestali nell'ambito del progetto FISR-Miur Italian Mountain Lab con la finalità di diffondere i contributi della biologia della conservazione nella gestione forestale per intraprendere la strada dello sviluppo sostenibile in attuazione degli obiettivi previsti nell'ambito dell'Agenda 2030. long-term growth allows for maximum longevity in European beech" by Gianluca Piovesan, Franco Biondi, Michele Baliva, Giuseppe De Vivo, Vittoria Marchianò, Aldo Schettino, and Alfredo Di Filippo published in Ecology. https://doi.org/ 10.1002/ecy.2737 |
Post n°2277 pubblicato il 08 Luglio 2019 da blogtecaolivelli
Fonte:Ansa Scoperti i resti umani più antichi del Nord Italia Di 300mila anni fa, scoperta di ateneo Ferrara nel Vercellese Redazione ANSA FERRARA 05 luglio 201906:19 L'incisivo inferiore di un giovane adulto e un osso occipitale intero (la parte posteriore del cranio) risalenti a circa 300mila anni fa: sono i resti umani più antichi del Nord Italia e sono stati rinvenuti nel Vercellese, nella Grotta di Ciota Ciara a Borgosesia. La scoperta è avvenuta durante una campagna di scavi condotta da docenti, ricercatori e studenti del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Ferrara grazie alla concessione del Mibac. sono davvero fondamentali per definire la storia evolutiva dell'uomo in Europa", sottolinea Marta Arzarello, docente di Scienze preistoriche e antropologiche a Ferrara: "Proprio su di esso sono presenti delle strutture che definiscono la specie Neandertaliana: il famoso 'chignon' (rigonfiamento) occipitale e la sottostante fossa soprainiaca". spiegano i ricercatori, e permetteranno di documentare il periodo cronologico che vede il passaggio dall'Homo heidelbergensis all'Homo neanderthalensis. come rifugio durante la caccia e successivamente per delle occupazioni più lunghe, probabilmente stagionali per poi finire con un'ultima occupazione di breve durata. La datazione, con metodi radiometrici, del sito è ancora in corso presso il Muséum National d'Histoire Naturelle di Parigi ma i risultati preliminari lasciano pensare che la parte centrale (in termini di cronologia) del giacimento sia da attribuire a circa 300mila anni fa. RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA |
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