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Messaggi del 17/08/2020

La vita sul pianeta.

Post n°3234 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

La vita sulla Terra:

esisteva 4 miliardi di anni fa?

Tra riconoscimenti e critiche, un nuovo studio sposta ancora più

indietro nel tempo l'esistenza di prime forme di vita sulla Terra,

quando il nostro pianeta aveva appena 500 milioni di anni.

sole5

Così doveva apparire la Terra nel periodo dell'intenso bombarda-

mento tardivo (vedi testo). | NASA  

In Labrador, nel nord del Canada, ci sono alcune delle più antiche

rocce della Terra, con un'età stimata in circa 4 miliardi di anni.

Sono pochi i luoghi del pianeta dove si sono preservate rocce così

primitive (di estremo interesse sono anche il Sudafrica e alcune

regioni dell'Australia) perché gli eventi geologici che si sono succeduti

nel tempo, in particolare la tettonica delle placche, ha trasformato se

non cancellato ogni traccia del passato.

Sembra che nelle rocce canadesi ci sia una nuova risposta alla domanda

che da sempre si fanno biologi, paleontologi e molti altri... quando è

nata la vita sulla Terra?


vita sulla terra, asteroidi, intenso bombardamento tardivo, origine della vita, geologia, chimica

Cianobatteri (alghe azzurre): furono tra i primi arganismi viventi, ma

in Labrador dovevano esserci i loro progenitori. |

Prima di 3,95 miliardi di anni faafferma una nuova ricerca - che non

ha mancato di raccogliere plausi (uno per tutti: Dominic Papineau,

geochimico dell'University College London) e critiche (uno per tutti:

Martin Whitehouse, geologo dello Swedish Museum of Natural

History di Stoccolma).

LE PREMESSE.

 Sappiamo che i primi organismi apparsi sulla Terra non possono essersi

conservati in forme fossili, perché estremamente delicati e piccoli, perciò,

per cercare una risposta alla famosa domanda, si cerca piuttosto ciò che

forme di vita molto semplici possono aver lasciato dietro sé, come ad

esempio sostanze prodotte dalla loro attività.

Seguendo questa pista si era trovato che la vita esisteva sulla Terra 3,7

miliardi di anni fa.

L'idea era che fosse quella la risposta, un tempo limite, visto che il pianeta

ha circa 4,5 miliardi di anni e che più o meno 3,9 miliardi di anni fa venne

sottoposto a un massiccio bombardamento di asteroidi e comete, il

cosiddetto intenso bombardamento tardivo.

Adesso però la ricerca dell'Università di Tokyo su alcuni minerali canadesi,

riportata (e commentata) in questo articolo di Nature (inglese), sposta

l'esistenza di forme di vita più indietro, a 3,95 miliardi di anni fa.

E si parla di esistenza, non di origine, per di più su di una Terra per noi

irriconoscibile, ricoperta da mari di lave sotto l'incessante pioggia di asteroidi.

Lo studio di Tsuyoshi Komiya e Yuji Sano è focalizzato sulla grafite (lo

stesso materiale delle matite) incorporata nelle rocce canadesi.


stromatoliti, com'è nata la vita sulla terra?

Da uno studio pubblicato nel 2017: sezione di un frammento di roccia

di 3,48 miliardi di anni fa, rinvenuto nella Dresser Formation (Pilbara

, Australia occidentale). Le aree biancastre sarebbero tracce di stromatoliti.

 | UNSW

IL METODO. La grafite è carbonio, ossia l'elemento base della vita, e

qualunque laboratorio adeguatamente attrezzato può stabilire se un campione

di carbonio è stato prodotto da organismi viventi (e dunque è biogenico) o

da comuni processi geologici.

L'analisi viene eseguita sugli isotopi dell'elemento, ossia sugli atomi che

pur avendo uguale numero di protoni hanno un diverso numero di neutroni.

Di solito, il carbonio biogenico ha un maggior contenuto di isotopi con minor

numero di neutroni.

In effetti è un processo di ricerca non semplice, ma è ben collaudato, ed è il

metodo che usiamo per cercare tracce di vita su altri pianeti, a partire da

Marte.

PROVE CERTE? Dallo studio sulla grafite canadese Komiya e Sano hanno

stabilito che quel carbonio di 3,95 miliardi di anni fa è di origine organica.

Dunque, in quel periodo esisteva già vita sulla Terra...


Primi anni 2000: tubi di ematite rinvenuti in alcune rocce nella

formazione geologica della Groenlandia detta Nuvvuagittuq. Uno studio

pubblicato nel 2017 li interpreta come resti di antichissimi batteri. 

| MATTHEW DODD

Studi precedenti avevano individuato tracce di vita organica che

potevano risalire a 3,85 miliardi di anni fa, ma in tutte le occasioni le prove

erano state fortemente contestate da molti ricercatori.

«In questo caso», afferma Komiyra, «sono invece certissime.

Al momento non possiamo dire "quale organismo" può avere prodotto

tale tipo di grafite, perciò adesso analizzeremo isotopi di altri elementi

come l'azoto, lo zolfo e il ferro, e forse questo ci permetterà anche

di identificarli.»

Le polemiche sui risultati non si sono fatte attendere: il metodo e le

deduzioni sono al vaglio di ricercatori indipendenti (non coinvolti

nella ricerca) che si sono già confrontati in passato con ricerche analoghe:

se le prove non convinceranno la comunità scientifica bisognerà accettare

il fatto che non c'è una nuova risposta, oppure che se anche ci fosse non

siamo in grado di trovarla.

 
 
 

L'atmosfera di Titano.

Post n°3233 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Scoperti nell'atmosfera di Titano

i processi che portarono alla vita

sulla Terra

Nell'atmosfera della luna di Saturno sono state rilevate

molecole in grado di unirsi tra loro per dare origine agli

elementi fondamentali della vita.

ti3Titano è una delle Luna di Saturno.

La sua densa atmosfera impedisce ad occhio umano

di osservare la superficie.

Ora si è scoperto che al suo interno vi sono importanti

molecole e reazioni utili alla nascita della vita. | ESA/NASA  

La missione Cassini-Huygens, ormai vicina alla sua fine,

ha realizzato una sorprendente scoperta che riguarda

l'esistenza di particolari molecole all'interno dell'atmosfera

di Titano, la nebbiosa luna di Saturno, che sarebbero

fondamentali nella produzione di complessi composti organici.

La grande luna di Saturno possiede una spessa atmosfera

composta di azoto e metano con una chimica tra le più

articolate del sistema solare.

Per molti astronomi assomiglia molto all'atmosfera primordiale

della Terra, prima che si accumulasse ossigeno al suo interno.

È come osservare il nostro pianeta quando aveva poche

centinaia di milioni di anni.

Per questo motivo la luna è vista come un gigantesco laboratorio

che potrebbe aiutarci a capire come si è sviluppata la vita sulla

Terra e forse anche su altri corpi del sistema solare.

 

Così si potrebbe immaginare la superficie di Titano: fiumi,

montagne e laghi. | ESA/NASA

AZOTO, METANO ED ENERGIA. 

Nell'alta atmosfera di Titano, l'azoto e il metano sono esposti

all'azione della luce solare e alle particelle molto energetiche

della magnetosfera di Saturno.

Queste fonti di energia portano a far sì che si sviluppino reazioni

chimiche tra l'azoto, l'idrogeno e il carbonio (carbonio e idrogeno

sono le molecole che formano il metano, CH4), le quali portano

alla formazione di composti prebiotici più complessi.

Le molecole che si formano, essendo pesanti, tendono a scendere

verso le zone inferiori dell'atmosfera e creano un denso aerosol

organico che a volte raggiunge la superficie stessa di Titano.

 

I processi chimici che avvengono nell'atmosfera di Titano.

Sono complessi e portano alle molecole base per la vita.

 | ESA/NASA (BIGNAMI)

ALLA CARICA. Il processo della formazione delle molecole

che vi abbiamo raccontato finora, però, è molto complesso

e difficile da capire.

Ora la sonda Cassini ha scoperto, sorprendentemente,

l'esistenza di molecole con carica negativa (ossia con un surplus

di elettroni) all'interno dell'aerosol.

La sorpresa sta nel fatto che gli scienziati non si aspettavano di

trovarle perché le molecole con cariche negative - chiamate

anioni - sono fortemente reattive e quindi non dovrebbero

resistere a lungo nell'atmosfera, ma reagire immediatamente

con altre molecole ad originare nuove sostanze.

Se sono state osservate e rilevate significa che sono molto, ma

molto abbondanti.

IL FORNO È NELL'AEROSOL. 

Nello studio appena pubblicato su Astrophysical Journal Letters,

un gruppo di ricercatori ha identificato alcune molecole caricate

negativamente note come "anioni di catene carboniose", che

stando a quanto noto finora, sono alla base di molecole molto più

complesse che, sulla Terra, devono aver reagito con altre sostanze

ancora per dare origine alle prime forme di vita.

È interessante il fatto che le catene di carbonio diminuiscono

vicino alla superficie della luna, mentre nell'aerosol sono molto

abbondanti a significare che è nell'aerosol la fornace di molecole

organiche più grandi.

In altre parole si può affermare che è al suo interno dove il mix

tra gli atomi di azoto, carbonio e idrogeno, sottoposti a forti dosi

di energia, si uniscono a formare molecole molto complesse.

 

Il CAPS, lo strumento che ha permesso di rilevare le complesse

molecole su Titano. | ESA/NASA

PROCESSO UNIVERSALE? «È la prima volta che si è riusciti

a identificare catene di anioni carboniosi in un'atmosfera simile

a quella di alcuni pianeti e quelle molecole sono vitali nella

creazione di molecole organiche più grandi e più complesse.

Fino ad oggi si erano visti processi del genere nel "mezzo

interstellare" (ossia nel vuoto tra una stella e l'altra), ma ora

li abbiamo osservati anche in un ambiente completamente

differente e questo suggerisce che il processo potrebbe essere

un universale per la costruzione di molecole organiche

complesse», spiega Ravi Desai dell'University College di Londra.

Ora ci si chiede se ciò possa avvenire anche in altri ambienti

ricchi di azoto e metano, come quelli che ci sono su Plutone,

Tritone o su pianeti extrasolari.

La risposta potrebbe arrivare dalle future missioni spaziali, come

dal telescopio Webb, in grado di analizzare le atmosfere di alcuni

pianeti oltre il nostro sistema solare, a missioni specifiche per lo

studio di tali pianeti.

Le rilevazioni sono state effettuate dallo spettrometro di Cassini

chiamato CAPS, quando la sonda passò tra i 900 e i 1.300

chilometri al di sopra della superficie di Titano.

 
 
 

Il granchio blu.

Post n°3232 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

A Latina scatta l'allarme granchio bluA Latina, nei pressi della Foce di Rio Martino, due pescatori hanno catturato un esemplare di granchio blu, crostaceo molto dannoso per l'ecosistemaGranchio blu

Un granchio blu è stato catturato a Latina: l'esemplare ha fatto la sua

comparsa in una delle aree più delicate del mare del Lazio.

Dopo l'apprensione per la vespa velutina in Liguria e Toscana e quella

per l'invasione delle coccinelle in Puglia, scatta l'allarme anche a Latina

questa volta per il granchio blu, un crostaceo molto pericoloso per

l'ecosistema.

La presenza di questa specie, appartenente a quelle che in gergo vengono

definite "aliene", è stata scoperta da due pescatori della costa pontina:

Gastone Orsini e Maurizio Lampacresce.

I due hanno avvistato il granchio blu a Latina, nei pressi della Foce di Rio

Martino nel Parco Nazionale del Circeo.

Il nome scientifico del crostaceo in questione, conosciuto come granchio blu,

è callinectes sapidus. In genere può essere lungo fino a 15 centimetri e largo 5.

Il granchio blu è un crostaceo originario della sponda occidentale dell'Oceano

Atlantico, dove vive lungo le coste dell'intero continente americano, dalla

Nuova Scozia fino all'Argentina e riesce a spostarsi anche seguendo i corsi

dei fiumi perché è in grado di tollerare anche acque con una salinità inferiore

rispetto a quella del mare.

In Europa è giunto intrufolandosi nelle acque di sentina delle navi.

Per natura è onnivoro, quindi divora tutto quello che riesce a catturare: bivalvi,

anellidi, avannotti, piante e anche le carogne.

Le sue zampe sono piuttosto allungate: il primo paio, tramutate in chele, sono

più grandi negli esemplari maschi rispetto a quelli delle femmine.

L'avvistamento del callinectes sapidus ha fatto scattare l'allarme a Latina, dov

e è stata catturata una femmina che presentava uova in avanzato stato di sviluppo.

Secondo gli esperti, questo testimonia il successo ecologico e riproduttivo

della specie nei mari italiani.

Il suo arrivo sulle coste di Latina mette a repentaglio l'ecosistema della zona

perché è una specie aggressiva, vorace e onnivora.

La segnalazione è stata subito inserita nel progetto "BioBlitz: ricerca, conoscenza

e partecipazione per la gestione sostenibile delle risorse marine" promosso dal

Ministero delle politiche agricole e realizzato dal Cursa, il Consorzio

Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l'Ambiente.

Alcuni esemplari di granchio blu sono presenti nei mari italiani sin dal 2015, quando

hanno fatto la propria comparsa in Salento, nei vari bacini della marina di Ugento.

Dalla scorsa estate hanno iniziato a riprodursi rapidamente anche nelle Valli di

Comacchio e nella provincia di Ravenna.

 
 
 

La neve č diventata rosa...

Post n°3231 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.
Neve rosa sulle Alpi Italiane:
un'alga minaccia i ghiacciai

Scatta l'allarme sulle Alpi italiane: sul Presena e al Passo Gavia la

neve è diventata rosa, a causa di un'alga minuscola che minaccia i

ghiacciaiNeve rosa sulle Alpi Italiane: un'alga minaccia i ghiacciai

Rosa come la neve. No, nessun errore. 

Sul ghiacciaio del Presena e al Passo Gavia la neve ha iniziato realmente

a colorarsi di rosa.

Il fenomeno, mai registrato prima d'ora sulle Alpi italiane, è causato dal

proliferare di un'alga che, pur minuscola, sta minacciando i ghiacciai.

Quest'alga, chiamata Ancylonema Nordenskioldii, oltre a conferire ai

ghiacciai un colore rossastro, ha gravi conseguenze per la fusione degli

stessi.

Il fenomeno, causato dall'aumento delle temperature terrestri ed emerso

e studiato in Groenlandia, è stato riscontrato anche in Europa dai ricercatori

dell'Università di Milano-Bicocca, che qualche mese fa hanno pubblicato i r

isultati della ricerca sulla rivista 'Scientific Reports'. 

Prima d'ora, quest'alga unicellulare non aveva mai colpito a latitudini

così basse.

Quella dell'alga Ancylonema Nordenskioldii non è l'unica minaccia in corso in Italia.

Nei giorni scorsi, infatti, a Latina è scattato l'allarme granchio blu: un esemplare di

questa particolare specie di crostaceo, per natura onnivora, aggressiva e vorace, è

stato avvistato (e poi catturato) nei pressi della Foce di Rio Martino nel Parco

Nazionale del Circeo.

In Sardegna, invece, l'allarme riguarda le cavallette: nelle scorse settimane i campi

in provincia di Nuoro sono stati invasi da milioni di famelici insetti, che hanno devastato

ettari ed ettari di terreno, distruggendo raccolti e pascoli.

Già l'estate scorsa l'isola italiana era stata invasa dalle cavallette, ma quest'anno gli

insetti sono comparsi in anticipo e in numero ancora maggiore.

I territori che hanno risentito maggiormente di questa invasione sono i paesi vicini alla

Valle del Tirso, nel centro della Sardegna, come Ottana, Bolotana, Orotelli e Sarule.

L'allarme cavallette ha però interessato anche la Bassa Ogliastra e qualche paese

del Sarcidano.

In Toscana e in Liguria preoccupa la comparsa della vespa "killer": si tratta della

vespa velutina proveniente dal sud-est asiatico, un predatore molto pericoloso,

grande più o meno come un calabrone, che rischia di fare una strage tra la popolazione

di api, causando così un impatto potenzialmente devastante sull'apicoltura,

sull'ecosistema e sulla biodiversità.

Le segnalazioni della presenza della vespa velutina tra la Liguria e la Toscana

sono ripartite all'inizio del mese di aprile 2020, nelle provincie di La Spezia e

quelle di Massa e Carrara.

 
 
 

Un altro supplizio per i turisti.

Post n°3230 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Le noci di mare tornano a minacciare il mar Adriatico: l'allarme

Le noci di mare, da molti scambiate per delle meduse, sono tornate

a minacciare il mar Adriatico: è scattato un nuovo allarme dopo

l'avvistamento

Rieccole: le noci di mare sono tornate a tormentare il bagno di

turisti e residenti che hanno scelto la costa Adriatica per le loro

vacanze estive 2020.

Nei giorni scorsi, questi piccoli esseri gelatinosi, che da molti

vengono scambiati per meduse, hanno invaso le acque pesaresi,

tra lo sconcerto dei bagnanti.

Gli avvistamenti sono stati segnalati lungo tutta la costa, da Ponente 

fino a Fosso Sejore, ma l'invasione di noci di mare riguarda tutto il

 Mediterraneo e, in particolare, il Mar Adriatico, dal golfo di Trieste,

dove a giugno era stata avvistata la più grande medusa del Mar

Mediterraneo, a Pescara.

In questo periodo, generalmente, le noci di mare si radunano in grossi

banchi a ridosso delle scogliere, che creano una sorta di cortina difficile

da penetrare per chi vuole farsi un bagno al largo.

Cosa sono le noci di mare e perché sono pericolose

Come già anticipato, in molti scambiano le noci di mare per delle

meduse, anche se le noci di mare, conosciute anche col nome

scientifico di Mnemiopsis Leidyi, non sprigionano sostanze urticanti.

Ciò nonostante, questa specie aliena proveniente dall'Oceano Atlantico

rappresenta ugualmente una minaccia, dal momento che è pericolosa

per l'equilibrio marino in quanto in grado di modificare interi ecosistemi

e ridurre fortemente la fauna ittica.

 Si nutrono di organismi molto piccoli, come le uova dei piccoli pesci e le

larve.

Nel Mar Nero, le noci di mare hanno già avuto degli effetti devastanti,

compromettendo totalmente la pesca.

Si pensa che le noci di mare siano giunte fino al Mar Adriatico attraverso

l'acqua di sentina delle navi cisterna.

Tra le possibili cause dell'invasione ci sono la sovrappesca, i cambiamenti

climatici e l'eutrofizzazione.

Una soluzione al problema, per il momento, non è stata però ancora trovata.

Le noci di mare non sono l'unica minaccia per i mari italiani in questa estate

2020: nel mese di giugno, sulla costa Tirrenica, nel Lazio e più precisamente

 a Latina, è scattato infatti l'allarme granchio blu.

Anche questo crostaceo, presente nei mari italiani fin dal 2015, è molto

pericoloso per l'ecosistema dal momento che si tratta di una specie onnivora

particolarmente aggressiva e vorace.

 
 
 

A Venezia...

Post n°3229 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.
Gli affreschi svelano la vera origine
di Venezia: la scoperta

Alcuni affreschi recentemente ritrovati nella Basilica di Santa Maria

Assunta a Torcello hanno svelato la vera origine della città di Venezia

Venezia ha origini carolingie e non bizantine.

A rivelarlo sarebbero alcuni affreschi del IX secolo, i più antichi mai scoperti

nella città lagunare, ritrovati dagli archeologi guidati da Diego Calaon 

dell'Università di Venezia sotto il tetto della Basilica di Santa Maria Assunta

 nell'isola di Torcello.

Gli affreschi ritrovati dagli archeologi sarebbero la prova più schiacciante a

conferma del fatto che la città di Venezia non sia sempre stata un baluardo

irriducibile dell'Impero bizantino in occidente, come riporta la storiografia

cittadina e come afferma la maggior parte degli storici.

La Venezia delle origini sarebbe stata, invece, politicamente e culturalmente,

soggetta ai Carolingi.

L'isola di Torcello è molto importante per capire la nascita di Venezia, dal

momento che fu uno dei primi luoghi dove, dopo la fine dell'Impero romano,

si stabilì chi prima abitava in terraferma.

Lo stile degli affreschi ritrovati nella Basilica di Santa Maria Assunta rimanda

chiaramente all'Europa, piuttosto che alla Bisanzio dell'epoca.

I colori vivaci e il bisogno di decorare tutti gli spazi disponibili (dovuto

all'horror vacui) appaiono l'opposto della ieraticità bizantina.

Le didascalie delle figure, poi, non lascerebbero dubbi, in quanto dipinte in

una grafia di tipo carolingio.

La Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello fu realizzata nel IX secolo e

decorata con sculture e affreschi "carolingi". Nell'XI secolo, poi, gli affreschi

vennero sostituiti dai mosaici in stile bizantino.

Il lavoro degli archeologi, che hanno indagato lo spazio tra la volta decorata a

mosaici e il tetto nella cappella del Diaconico, l'abside destra della basilica,

ha riportato alla luce i pochi affreschi rimasti alle pareti.

I restauri sono finanziati da "Save Venice", nell'ambito di un programma di

messa in sicurezza dell'edificio ecclesiastico condiviso e discusso con il Patriarcato

di Venezia.

I lavori rientrano in un piano di interventi accelerato dalle conseguenze dell'ultima

grande acqua alta del 2019, che ha provocato danni ingenti in oltre 80 chiese di Venezia.

Lo scorso venerdì 10 luglio, a Venezia è stato completato il primo storico test del

Mose, l'impianto per la difesa della città di Venezia dal fenomeno dell'acqua alta.

Ecco le immagini del ritrovamento degli affreschi nella Basilica di Santa Maria

Assunta nell'isola di Torcello a Venezia.

 
 
 

Le ultime notizie su Leonardo da Vinci

Post n°3228 pubblicato il 17 Agosto 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet
Svelato il mistero della balena
di Leonardo da Vinci

Il mistero della balena descritta da Leonardo da Vinci nel Codex

Arundel è stato svelato da una ricerca condotta dalle università 

Pisa e San DiegoSvelato il mistero della balena di Leonardo da Vinci

Un altro mistero legato alle

opere di Leonardo da Vinci

 è stato svelato.

L'ultima scoperta, in particolare,

è legata alla balena descritta da

Leonardo nel Codex Arundel

, l'imponente raccolta di manoscritti autografi conservata presso la British Library di Londra.

Secondo un nuovo studio internazionale, appena pubblicato nella

rivista internazionale "Historical Biology", a firma di Alberto

Collareta, Marco Collareta e Giovanni Bianucci dell'Università di Pisa e

di Annalisa Berta dell'Università di San Diego, la balena in questione

non era un mostro marino, ma un fossile di cetaceo e quella di Leonardo

da Vinci è stata, quindi, la più antica descrizione ad oggi nota di un

reperto paleontologico.

Secondo i ricercatori, l'autore della Gioconda non fu solo pittore, scultore,

disegnatore, architetto, anatomista, ingegnere e filosofo ma anche uno dei

precursori della moderna geologia.

Nello studio si legge: "L'analisi suggerisce che le riflessioni di Leonardo

sulla geologia e, in particolare, sui fossili potrebbero essere state ancora più

ampie, includendo anche i vertebrati marini.

Leonardo si dimostra anche precursore della paleontologia dei vertebrati, oltre

300 anni prima di George Cuvier, il grande naturalista francese padre di

questa disciplina".

Secondo la nuova ricerca condotta tra Pisa e San Diego, piuttosto che una

divagazione fantastica su temi della letteratura antica, il testo di Leonardo

sul mostro marino appare più come la più antica descrizione a oggi nota

di un cetaceo fossile.

Il testo, infatti, partirebbe da un'osservazione di una balena fossile.

Un censimento dei rinvenimenti di cetacei fossili toscani ha dimostrato che,

negli ultimi due secoli, almeno 8 località toscane nelle vicinanze di Vinci

hanno restituito resti fossili significativi di grandi balene.

Stando agli studiosi, esistono molte indicazioni che il giovane Leonardo abbia

 osservato una balena fossile e che questo avvenimento abbia significativamente

indirizzato la sua riflessione paleontologica e geoscientifica.

Anche la collocazione del mostro marino, che Leonardo da Vinci descrive

come facente da "armadura e sostegno" ai rilievi circostanti, suggerisce un

posizionamento lungo il fianco di una collina e tale scenario appare perfettamente

compatibile con le condizioni più tipiche del rinvenimento delle balene fossili

toscane.

Nel gennaio 2019 era stato svelato un altro mistero sulle opere di Leonardo da

Vinci, quello della sfera presente nel Salvator Mundi, che non riflette la luce

perché, in realtà, cava.

 
 
 

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