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Messaggi del 21/10/2021

Notizie dalle supernove.

Post n°3467 pubblicato il 21 Ottobre 2021 da blogtecaolivelli

Il telescopio Kepler della NASA conferma le teorie degli astronomiFonte foto: getty imagesSCIENZA

Fonte: Internet

Alcune stelle finora sconosciute stanno esplodendo

Il telescopio Kepler ha catturato il momento appena

precedente l'esplosione di una supernova: è la prima

osservazione diretta della fase finale della vita di una

stella, confermata dalla NASA.

6 Agosto 2021 

Sappiamo praticamente da sempre che l'universo è

popolato di supernove: si tratta di stelle che -

più grandi del Sole - finiscono la propria vita con

una massiccia esplosione che poi le trasforma in

stelle di neutroni, o pulsar.

La prima testimonianza scritta di una supernova

risale addirittura al 185 d.C., quando un gruppo

di astronomi cinesi lasciò traccia dell'osservazione

della stella SN185; si pensa però che le prime

osservazioni di supernove risalgano a Ipparco di Nicea,

quindi al II sec.a.C, almeno secondo quanto riportato

dallo scrittore romano Plinio il Vecchio.  

Sappiamo che ci sono, dunque, ma fino ad oggi nessun

telescopio ottico era riuscito a catturare l'immagine

di una supernova.

La prima foto di una supernova

È stato pubblicato lo scorso 3 Agosto sulla rivista

scientifica della Royal Astronomical Society lo studio

che per la prima volta riporta l'osservazione di una

supernova - cento volte più grande del Sole. 

Condotto dalla Australian National University (ANU)

in collaborazione con la NASA, il gruppo di ricercatori è

così riuscito nell'impresa di osservare l'esplosione di

una supernova.

"È la prima volta che qualcuno riesce ad avere uno sguardo

così preciso sull'intera curva di raffreddamento di una

supernova", afferma Patrick Armstrong, a capo dell'equipe. 

L'immagine mostra un potente lampo di luce provenire

dalla stella, nel momento appena precedente l'esplosione

vera e propria: l'emissione segue il passaggio della prima

onda d'urto, in una successione di shock che condurranno

la supernova alla detonazione finale.

Si tratta di un'osservazione di importanza storica: come

spiega Armstrong "essendo lo stadio iniziale di una

supernova così veloce, è molto difficile che i telescopi

riescano a catturare questo fenomeno".

Ci è riuscito il telescopio della NASA Kepler: progettato

per indagare una specifica regione della Via Lattea alla

scoperta di pianeti simili alla Terra, Kepler non è più

operativo dal 2018, ma i dati raccolti in quasi dieci anni

di attività sono ancora in fase di studio.

Tra questi, un evidente fenomeno della durata di tre

giorni che mostra "con una cadenza senza precedenti,

lo shock da raffreddamento" che segue il cosiddetto

lampo da urto, quello che non consente ai telescopi ottici

di osservare direttamente la fase finale dell'esplosione.

Non solo Kepler: il telescopio Spitzer conferma le

ipotesi degli scienziati

Secondo la NASA, quelle delle supernove sono le

più grandi esplosioni mai osservate dagli umani, e si

crede che proprio tali fenomeni siano alla base della

creazione di molti elementi fisici del nostro universo.

Un'ulteriore indagine sul ciclo vitale delle supernove -

pubblicata circa un mese prima della scoperta

dell'Università australiana - ha usato le immagini

ad infrarossi del telescopio Spitzer per individuare,

oltre la polvere che ne impedisce l'osservazione

diretta, quelle stelle di cui gli scienziati hanno fino

a oggi soltanto potuto ipotizzare l'esistenza. 

La NASA così ha potuto descrivere per la prima

volta la fine di una supernova come una "esplosione

che riduce le stelle in frantumi".

Spitzer ha così confermato l'esistenza di stelle ipotetiche,

ma ne ha anche scoperte cinque del tutto nuove, che gli

scienziati non avevano mai considerato. 

Ori Fox, scienziato dello Space Telescope Science

Institute di Baltimora e promotore dello studio, i dati

acquisiti da Spitzer sono fondamentali: "sapere quante

stelle stanno esplodendo ci può aiutare a predire

 quante stelle si stanno formando", il che è fondamentale

per diverse aree della ricerca astrofisica. 

Il prossimo a tentare di studiare le supernove sarà il

telescopio ad infrarossi James Webb, il cui lancio è

previsto per il prossimo Ottobre e che sarà il più grande

telescopio mai inviato nello spazio dalla NASA. 

 
 
 

Una vecchia galassia.

Post n°3466 pubblicato il 21 Ottobre 2021 da blogtecaolivelli

più vecchia galassia a spiraleFonte foto: iStockSCIENZA

Fonte: Internet

Abbiamo appena trovato la galassia a spirale più vecchia

dell'universo

È stata scoperta e poi fotografata la galassia a spirale più

antica dell'universo conosciuto, che si è formata già 1,4

miliardi di anni dopo il Big Bang.

Lo studio del nostro universo continua incessantemente.

Se è vero che di recente gli scienziati planetari ci hanno

mostrato incredibili immagini da Marte e fatto ascoltare

inquietanti melodie provenienti dalla superficie di Venere,

ora è una stupefacente foto ad ammaliare quanti si lasciano

rapire dalle stelle.

Ci troviamo di fronte nientemeno che ad un'immagine

della più antica galassia a spirale mai conosciuta, che

si è formata 12,4 miliardi di anni fa.

 Ufficialmente chiamata BRI 1335-0417, è stata fotografata

per la prima volta dal telescopio Atacama Large Millimeter/

submillimeter Array (ALMA), in Cile.

Di fatto, si tratta di un documento eccezionale, che dimostra

come questo tipo di galassie iniziarono a formarsi già 1,4 miliardi

di anni dopo il Big Bang.

Certamente molto prima di quanto precedentemente ipotizzato.

Fonte foto: ALMA

La foto è stata pubblicata come parte di uno studio sulla rivista 

Science, e ci porta indietro al tempo in cui le galassie hanno iniziato

ad assomigliare a quelle moderne.

 BRI 1335-0417 è quindi la più antica galassia a spirale scovata

fino ad ora.

Ad individuarla sono stati due scienziati giapponesi, Takafumi

Tsukui e Satoru Iguchi dell'Osservatorio Astronomico

Nazionale del Giappone (Naoj).

E se la scoperta potrebbe sembrarvi letteralmente anni luci

distante da voi, sappiate che è in realtà molto importante, come

spiegato dalla viva voce di Kai Noeske, ufficiale delle comunicazioni

per l'Agenzia spaziale europea:

La cosa interessante di tutto questo è che in questi bracci a

spirale il gas viene compresso.

Quindi sono in realtà un catalizzatore per innescare la

formazione di nuove stelle.

Di conseguenza, questa affascinante creatura generata nell'universo

primordiale potrebbe spiegarci in qualche modo come si sono

formate ed evolute le galassie simili alla nostra Via Lattea.

In passato non era mai stata individuata per via dell'alta concentrazione

di polvere che oscurava la luce delle sue stelle.

Grazie alle nuove tecnologie possiamo sia ammirarla che comprenderne

la rilevanza scientifica attraverso la simulazione della nascita in video.

Stando agli studi condotti, la formazione delle galassie raggiunse

il suo picco circa 3,3 miliardi di anni dopo il Big Bang, quando

iniziarono a formarsi la maggior parte delle stelle nell'universo.

Attualmente, si stima che le galassie a spirale rappresentino

circa il 70% di quelle presenti nell'universo osservato.

Andrea Guerriero

 
 
 

Un interessante paragone.

Post n°3465 pubblicato il 21 Ottobre 2021 da blogtecaolivelli

L'universo potrebbe essere una grande IAFonte foto: iStockSCIENZA

Fonte: Internet

L'intero universo potrebbe essere una grande intelligenza

artificialeL'universo potrebbe essere una grande rete neurale,

la particolare intelligenza artificiale che "imita" il cervello

umano.

20 Agosto 2021458 

È uscito l'11 Agosto nei cinema italiani "Free Guy -

Eroe per gioco", film commedia diretto da Shawn Levy

in cui il protagonista diventa cosciente di essere parte

di un enorme videogioco, che deve salvare prima che i

programmatori riescano a spegnerlo per sempre. 

Nel frattempo il pubblico di tutto il mondo sta aspettando

l'attesissimo quarto capitolo della serie Matrix, la cui

uscita nei cinema italiani è prevista per l'inverno. 

Il cinema si fa così specchio di una teoria scientifica, al

limite della suggestione, che non accenna a scomparire

dalle più recondite fantasie della comunità scientifica

internazionale: la teoria che il mondo in cui viviamo

sia una simulazione.

La strana storia della Teoria della Simulazione

La teoria della simulazione ha origini piuttosto lontane:

ben nota alla tradizione cinese più antica, si affaccia al

mondo occidentale nel 2003 grazie a Nick Bostrom,

filosofo e direttore del Future of Humanity Institute

presso l'Università di Oxford.

Incredibilmente riconosciuta dalla maggior parte della

comunità internazionale dei fisici teorici come la

spiegazione più probabile dell'esistente, la teoria

della simulazione parte dal presupposto che debba

esserci uno schema unico alla base di tutte le leggi

della fisica.

La vicenda storica della Teoria della Simulazione è

piuttosto complessa: le voci in campo sono quelle

di filosofi, fisici, scienziati, hacker di fama mondiale,

ingegneri informatici.

Nel 2018, per esempio, il fisico teorico James Gates

 dell'Università del Maryland ha affermato di aver

scoperto che nella fisica delle particelle c'è del codice

identico ad una particolare struttura che utilizziamo

per navigare in internet.  

Nel 2020 l'hacker di fama mondiale George Holtz,

famoso per il jailbreaking di iPhone e Playstation 3 in

diretta Youtube, ha fondato un culto votato a rompere

la simulazione e liberarci del nostro "grande programmatore". 

Come si possono hackerare gli iPhone, secondo Holtz,

è possibile farlo con il più grande software mai immaginato:

la simulazione-mondo, che attira l'attenzione di illustri

epigoni come Neil de Grasse Tyson ed Elon Musk. 

Molto più recentemente si è fatta strada l'ipotesi che

la materia oscura, il grande cruccio della fisica teorica

mondiale, possa essere in realtà "il peso delle informazioni" -

a suggerire ancora una volta che deve esistere una struttura

unica alla base dell'esistente, e che questa struttura possa

avere nulla a che fare con la materialità che sperimentiamo

nel mondo.

L'ultima affascinante teoria è quella pubblicata dal professor 

Vitaly Vanchurin dell'Università del Minnesota: l'universo

potrebbe essere una immensa rete neurale, una particolare

forma di Intelligenza Artificiale. 

L'universo è un'immensa rete neurale

Per anni gli scienziati hanno cercato di conciliare la meccanica

quantistica e la teoria della relatività: se per la prima il

tempo è assoluto ed universale, infatti, la relatività generale

indicherebbe il tempo come relativo - secondo l'immagine

che vede lo spazio-tempo come un tessuto capace di

tendersi e distendersi.

Nel suo paper, Vanchurin afferma che la struttura delle

reti neurali artificiali "presenta comportamenti approssimativi"

coerenti con entrambe le visioni dell'universo fisico oggi accettate.

Spiega nella ricerca "il 99% dei fisici sostiene che alla base

dell'universo vi è la meccanica quantistica, perciò tutto il resto

dovrebbe emergere da essa, ma nessuno sa bene come questo

dovrebbe accadere".

Il senso della ricerca parte quindi dall'intenzione di "considerare

un'altra possibilità, cioè che una microscopica rete neurale

sia la struttura fondamentale di tutto, incluse la meccanica

quantistica e la relatività generale".

Ma cos'è una rete neurale? Le reti neurali sono, nel campo del

machine learning o apprendimento automatico, delle particolari

intelligenze artificiali ispirate al funzionamento del cervello umano.

Si tratta di sistemi computazionali in grado appunto di imparare,

quindi di adattarsi e modificarsi in base alle informazioni,

esterne o interne, che vengono proposte in fase di

apprendimento.

L'universo, quindi, potrebbe essere un grande organismo artificiale

 che funziona pressappoco come un cervello umano.

Alla base dell'esistente, secondo il nuovo suggestivo studio,

potrebbe dunque esserci la stessa struttura computazionale

che guida il funzionamento dell'intelligenza umana. 

Alessandra Caraffa

 
 
 

E' in arrivo Rochette.

Post n°3464 pubblicato il 21 Ottobre 2021 da blogtecaolivelli

Rochette, la prima pietra marziana che arriverà sulla TerraFonte foto: AnsaSCIENZA

Fonte: Internet

Rochette, la prima pietra marziana che arriverà

sulla Terra nel 2030La missione è sviluppata

congiuntamente dalla Nasa e dall'Agenzia Spaziale Europea.

Il campione è stato raccolto e sigillato e sarà spedito sul

nostro pianeta con il programma Mars Sample Return.

8 Settembre 202117 

Nel 2030 sarà spedito sulla Terra il primo campione di

roccia proveniente da Marte.

Si tratta di un frammento di "Rochette", una delle rocce nel

cratere Jezero dove il rover americano Perseverance è arrivato

a febbraio 2021.

La preziosa pietra verrà inviata sul nostro pianeta grazie

al complesso programma che stanno sviluppando

congiuntamente la Nasa e l'Esa, l'Agenzia Spaziale Europea,

il Mars Sample Return, la cui partenza è appunto prevista

tra 9 anni.

Per la prima volta sarà possibile studiare da vicino

componenti della superficie marziana.

Il recupero di Rochette, la prima pietra marziana

"I've got it!" (L'ho preso), è il tweet scritto sull'account

del rover Perseverance dopo aver avuto la conferma che

il campione di roccia prelevato il primo settembre era

stato messo al sicuro.

I frammenti sono stati inseriti e sigillati in uno dei 43 

tubi in titanio.

Il risultato segna un primo passo avanti nell'ambiziosa

missione internazionale che si concluderà con il trasferimento

sulla Terra delle pietre provenienti da un altro pianeta.

Il responsabile delle missioni scientifiche Thomas Zurbuchen

ha definito l'evento "un vero momento storico".

Il recupero del campione di roccia sul Pianeta Rosso non

è stato semplice.

Già ad agosto Perseverance aveva tentato di prelevare un

frammento, ma la missione era fallita dopo che la pietra

recuperata era misteriosamente scomparsa.

In realtà il trapano usato in quell'occasione aveva di fatto

polverizzato il campione.

Un secondo tentativo è stato fatto il primo settembre

scegliendo accuratamente il tipo di roccia da recuperare.

Le condizioni d'illuminazione non ottimali non hanno

però permesso di capire subito se il frammento era stato

realmente catturato dal rover o meno.

I tecnici della Nasa hanno perciò deciso di attendere

qualche giorno prima di dare la notizia del prelevamento.

Solo dopo aver ricevuto il riscontro fotografico nitido,

l'agenzia spaziale americana ha annunciato che un campione,

sottile come la mina di una matita, era stato recuperato

dalla superficie di Marte.

Con più di 3.000 componenti, il Sampling and Caching

System, il dispositivo usato per raccogliere e sigillare il

campione, è il più complesso strumento meccanico mai i

nviato nello spazio "e siamo orgogliosi - ha commentato

Larry James, direttore ad interim del Jet Propulsion

Laboratory (Jpl) - di vedere che il sistema funziona bene e

abbia compiuto il primo passo per portare i campioni

a Terra". Perseverance, nelle prossime settimane,

continuerà a perlustrare l'area intorno al cratere Jezero e

tenterà di raccogliere altri frammenti marziani.

Stefania Bernardini

 
 
 

Cittadinanza marziana prossima ventura.

Post n°3463 pubblicato il 21 Ottobre 2021 da blogtecaolivelli

Lo strano caso del campione di roccia di Marte scomparsoFonte foto: NASA/JPL-CaltechSCIENZA

Fonte: Internet

Lo strano caso del campione di roccia di Marte

scomparsoTutto sembrava funzionare perfettamente,

ma quando è stato aperto il tubo che doveva

contenere il materiale, era vuoto.

Gli ingegneri stanno cercando di capire cosa sia

andato storto quando il rover Perseverance ha

cercato di raccogliere il primo frammento di roccia.

10 Agosto 2021265 

Sembrava essere andato tutto bene, il rover

Perseverance dell'agenzia spaziale statunitense

aveva catturato il primo frammento di roccia del

pianeta Marte, ma quando il tubo di metallo che

doveva contenere il materiale è stato aperto,

al suo interno non c'era nulla.

Gli ingegneri stanno ora cercando di capire cosa

possa essere andato storto riguardo alla missione

del robot.

Fino all'apertura del macchinario, tutto pareva

aver funzionato perfettamente.

Ora il team di specialisti ritiene che la colpa del

fallimento possa essere rintracciata nelle particolari

 proprietà della roccia che si è tentato di prendere.

Perché Perseverance non è riuscito a catturare

il frammento

Secondo gli scienziati, alcune immagini e la telemetria

potrebbero aiutare a risolvere il mistero sulla

mancata cattura della roccia.

L'ipotesi iniziale è che "il tubo vuoto sia stato il risultato

del fatto che il materiale roccioso non ha reagito nel

modo previsto durante il carotaggio", ha affermato

Jennifer Trosper, project manager di Perseverance presso

il laboratorio di propulsione a getto della NASA in California

che ritiene invece meno probabilmente possa essersi

trattato di un problema hardware con il sistema di

campionamento e memorizzazione nella cache.

"Nei prossimi giorni, il team dedicherà più tempo all'analisi

dei dati in nostro possesso e all'acquisizione di alcuni dati

diagnostici aggiuntivi - ha aggiunto - per supportare la

comprensione della causa principale del tubo vuoto".

Perseverance ha un sistema di perforazione e carotaggio

all'estremità del suo braccio robotico lungo 2 metri.

Questo è in grado di tagliare e recuperare campioni

di roccia delle dimensioni di un dito che poi vengono

passati a un'unità di elaborazione all'interno della

pancia del rover che li confeziona e sigilla in cilindri

di titanio.

Prima della sigillatura, però, vengono utilizzate una

telecamera e una sonda per valutare la quantità di 

materiale recuperato, e quando questo è stato

fatto, durante il carotaggio dei giorni scorsi, è diventato

evidente che il campione non c'era.

Non è la prima volta che componenti della superficie

del Pianeta Rosso risultano difficile da ottenere con

gli strumenti analitici dei robot.

Già il lander Phoenix del 2007 della NASA aveva

rilevato che i terreni locali nella regione "Artico"

di Marte avevano una consistenza appiccicosa che

rendeva complicato catturare un campione e portarlo

nel laboratorio di bordo del robot.

Il lander InSight 2018 dell'agenzia, invece, ha

faticato parecchio senza, alla fine, riuscire a guidare

uno strumento per verificare la temperatura

del terreno.

Il sottosuolo era inaspettatamente resistente.

Perseverance è atterrato su Marte a febbraio,

in un cratere largo 45 km chiamato Jezero.

La sua missione è cercare di determinare se la

vita sul pianeta Rosso esiste, o sia mai esistita.

Uno dei modi in cui si spera di farlo è raccogliendo

una serie di campioni di roccia da spedire sulla

Terra.

Il tentativo iniziale aveva come obiettivo un nucleo

di roccia che si pensa possa rappresentare il

​​materiale di base di Jezero.

Gli scienziati sperano di poter datare con precisione

l'eventuale campione catturato per poter individuare

una cronologia di ciò che è accaduto successivamente

nel cratere.

Dalle immagini satellitari sembra che Jezero possa

aver ospitato un lago molti miliardi di anni fa, un tipo

di ambiente che avrebbe potuto essere favorevole

alla proliferazione di microrganismi.

Mentre si cerca di trovare una soluzione a cosa

possa aver causato il fallimento della missione del

rover Perseverance, la Nasa ha già dato il via alla

selezione per candidarsi a diventare cittadini

di Marte.

 
 
 

Ultime notizie da Marte.

Post n°3462 pubblicato il 21 Ottobre 2021 da blogtecaolivelli

Acqua su Marte: lo studio che ribalta completamente le teorieFonte foto: ESA/DLR/FU Berlin/Bill DunfordSCIENZA

Fonte: Internet

Acqua su Marte: lo studio che ribalta

completamente le teorie passate

Sotto la superficie del Pianeta rosso

potrebbe esserci un composto di argille,

minerali contenenti metalli o ghiaccio salino

e non di ghiaccio d'acqua, come avevano

precedentemente ipotizzato gli scienziati.

Forse non c'è acqua su Marte.

L'ipotesi che era stata formulata già nel

1971 e poi confermata nel corso degli anni,

potrebbe essere completamente ribaltata.

Se con la sonda Mariner 9, negli anni '70,

gli scienziati avevano ipotizzato potesse

esserci ghiaccio sotto la calotta polare

meridionale del Pianeta Rosso, ipotesi ulterior-

mente confermata nel 2004 dall'orbita Mars

Express dell'Esa, ora nuove analisi dei dati

di Marsis sembrano proporre una spiegazione

alternativa.

Non si tratterebbe di giaccio d'acqua ma del

risultato di argille, minerali contenenti metallo

o ghiaccio salino.

Il nuovo studio che ribalta la teoria dell'acqua

su Marte

Nel 2004 l'orbita Marsis Express, con il suo

 Mars Advanced Radar for Subsurface and

lonosphere sounding, aveva rilevato quello

che sembrava essere del ghiaccio d'acqua a

una profondità di 3,7 km sotto la superficie

di Marte.

I risultati erano stati salutati favorevolmente

come possibili indicatori di fonti di H2O liquida

dove la vita sarebbe potuta sopravvivere.

Un team di ricercatori dell'Arizona State University,

riesaminando i dati di Marsis, ha però indicato

un'altra soluzione.

I riflessi radar potrebbero essere appunto il risultato

di argille, minerali contenenti metalli o

ghiaccio salino.

Lo studio è stato pubblicato nelle Geophysical

Research Letters ed è stato condotto da Carver J.

Bierson, ricercatore post-dottorato presso la

School of Earth and Space Exploration (SESE)

dell'ASU, in collaborazione con il ​​professor Slawek

Tulaczyk di Scienze della Terra e dei pianeti

dell'UC Santa Cruz, il ricercatore associato

dell'ASU Samuel Courville e Nathaniel Putzig,

uno scienziato senior del Planetary Science

Institute.

Lo strumento Marsis dirige un raggio radar che

penetra sotto la superficie del terreno misurando

l'eco riflesso.

Questa tecnica ha permesso al Mars Express di

creare una mappa del sottosuolo di Marte fino

a una profondità di 5 km.

Nel 2018, un'analisi dei riflessi radar da parte di

un team di ricercatori italiani si è concentrata

principalmente sulla permittività elettrica, che

controlla la velocità delle onde radio all'interno

di un materiale.

Più denso è il materiale in questione (acqua,

ghiaccio, roccia, ecc.), più lentamente viaggeran-

no le onde.

A causa della sua luminosità, questo riflesso

radar luminoso è stato interpretato come una

grande macchia di acqua liquida e salmastra.

Tuttavia, la riflessione radar potrebbe essere

sembrata più brillante a causa di un ampio contrasto

nella permittività dielettrica o nella conduttività

elettrica.

La nuova ricerca si è invece concentrata sulla

 conduttività elettrica, dove i contrasti nella

conduttività tra i materiali potrebbero anche spiegare

il riflesso luminoso del radar.

"Il nostro team voleva fare un passo indietro,

chiedendosi se c'erano altri materiali oltre

all'acqua liquida che potevano causare questi

riflessi luminosi", ha detto Bierson.

"Il ghiaccio salato o i minerali conduttivi alla base

della calotta glaciale sono meno appariscenti,

ma sono più in linea con le temperature estrema-

mente fredde ai poli di Marte".

Anche se i nuovi risultati potrebbero scoraggiare

l'ipotesi della vita su Marte, in realtà aprono

semplicemente a nuove, e forse più corrette,

possibilità di esplorare il Pianeta Rosso.

Intanto il rover Curiosity ha fotografato delle

particolari nuvole iridescenti e luminose su Marte

 che potrebbero essere fatte di anidride carbonica

congelata o ghiaccio secco, mentre alcuni

astronauti si stanno preparando a passare del

tempo sul Pianeta Rosso sperimentando,

in tubi di lava alla Hawaii, come potrebbe essere

la vita sul quarto corpo celeste del sistema solare.

Stefania Bernardini

 
 
 

Notizie dalle nane bianche

Post n°3461 pubblicato il 21 Ottobre 2021 da blogtecaolivelli

Alcune stelle nascondono un segreto anti invecchiamentoFonte foto: 123rfSCIENZA

Fonte: Internet

Alcune stelle nascondono un segreto anti invecchiamento

Questi astri possono avere una seconda vita.

Le nane bianche, le meteore più comuni nell'universo, sono in

grado di rallentare il loro processo d'invecchiamento.

9 Settembre 2021 

Le stelle più comuni nell'universo sono in grado di rallentare

il loro processo d'invecchiamento.

Si tratta delle nane bianche che riescono a ringiovanire e avere

una vera e propria seconda vita.

La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricerca internazionale

coordinato dall'italiano Francesco Ferraro, dell'università di

Bologna e associato all'Istituto nazionale di astrofisica

(Inaf), ed è stata pubblicata sulla rivista Nature Astronomy.

Il risultato dello studio cambia completamente le conoscenze

finora ritenute valide sul ciclo di vita delle piccole stelle.

Il segreto anti invecchiamento delle stelle

Le stelle piccole e medie, come il nostro Sole, diventano nane

bianche nell'ultima fase del ciclo di sviluppo e si ritiene

rappresentino la stragrande maggioranza di tutti i corpi celesti,

fino al 98%.

Secondo quanto si è ritenuto finora, questo tipo di meteore,

quando esauriscono il loro combustibile, si "gonfiano" fino a

espellere gli strati più esterni, mentre al centro rimane un 

nucleo nudo, molto caldo, in cui non avvengono più reazioni

nucleari.

Da questo momento vanno gradualmente a raffreddarsi fino

a spegnersi del tutto.

Analizzando le immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble

di due distinti ammassi stellari, Messier 3 e Messier 13,

considerati praticamente identici tra loro, i ricercatori hanno

scoperto per la prima volta delle piccole anomalie che però

dimostrano che non tutte le nane bianche invecchiano allo

stesso modo.

"La nostra scoperta - ha detto all'Ansa Ferraro - dimostra che

alcune nane bianche sono in grado di trattenere un sottilissimo

 strato di idrogeno, dell'ordine di un decimillesimo della massa

del Sole ma sufficiente per permettere una minima attività

termonucleare che consente di produrre ancora un po' di energia,

rallentando così il processo di spegnimento e di raffreddamento,

in pratica rallentando il loro invecchiamento".

Il segreto di questo "elisir di giovinezza" sarebbe scritto nel loro

passato.

Il differente invecchiamento sarebbe infatti guidato da un processo

di rimescolamento dei gas della stella che avviene nella transizione

che porta alla nascita della nana bianca.

In stelle con massa iniziale più piccole della media l'idrogeno riesce

in parte a conservarsi e consentire così un ringiovanimento.

La scoperta cambierebbe quindi i meccanismi usati finora per

stimare l'età delle nane bianche in funzione della sola luminosità

con una differenza, rispetto ai calcoli precedenti, anche di 1

miliardo di anni.

Lo studio delle meteore continua a rivelare informazioni sorprendenti

su questi astri, per esempio una ricerca di scienziati del Regno

Unito è riuscita a individuare l'origine delle prime stelle, mentre il

telescopio Kepler ha catturato il momento appena precedente

l'esplosione di una supernova.

Stefania Bernardini

 
 
 

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