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Messaggi del 19/11/2019
Post n°2417 pubblicato il 19 Novembre 2019 da blogtecaolivelli
31 ottobre 2019 Alieni A richiesta con «Le Scienze» di novembre il libro di Jim Al-Khalili ospita centinaia di miliardi di stelle. Molte di queste stelle hanno propri sistemi planetari. che la vita sulla Terra sia qualcosa di unico. In altre parole, non ci sarebbe motivo di credere che siamo soli nell'universo. Eppure ancora non abbiamo ricevuto o rilevato alcun segno di vita intelligente da altri pianeti. E non certo per colpa nostra. e telecomunicazioni via satellite, inondiamo lo spazio con le nostre trasmissioni. Ma nessun extraterrestre sembra interessato. Inoltre, da anni ormai progetti portati avanti in tutto il mondo cercano di catturare segnali extraterrestri. Ma per ora questa ricerca è stata vana. Dove sono, dunque, tutti quanti? vita su altri mondi è dedicato Alieni, un libro a cura di Jim Al-Khalili, fisico teorico britannico e noto divulgatore, allegato a richiesta con «Le Scienze» di novembre. Per l'occasione, Al-Khalili ha messo in piedi un «Team Alieni», come lui stesso lo definisce, cioè un gruppo di scienziati e studiosi, leader mondiali nei rispettivi settori, che copriranno tutti gli aspetti dell'esistenza e della ricerca degli alieni. declinazioni diverse. Dal nostro posto nell'universo, con una breve panoramica delle idee formulate sul tema nel corso della storia, alle prospettive future di un'eventuale nostra colonizzazione della galassia, dalle motiva- zioni che potrebbero avere gli extra- terrestri a contattarci e visitarci (e lo farebbero in modo pacifico?) alla nostra ossessione per gli alieni e gli avvistamenti di UFO, il libro curato da Al-Khalili dà un quadro unico del nostro rapporto con ET. l'intelligenza aliena potrebbe essere differente dalla nostra, e sulle teorie della cospirazione secondo cui gli alieni sono già entrati in contatto con noi. Senza tralasciare però questioni di base come la nascita della vita sulla Terra e una sua possibile replica su altri pianeti, e le tecniche con cui gli astronomi identificano e studiano mondi in orbita attorno a stelle lontane. La caccia continua. Il premio è la fine della nostra solitudine cosmica. |
Post n°2416 pubblicato il 19 Novembre 2019 da blogtecaolivelli
12 agosto 2019 I primi insediamenti in quota della preistoria africana Panorama delle Montagne di Bale, in Etiopia (agefotostock/AGF) I nostri antenati si adattarono a vivere a 4000 metri di altitudine già 45.000 anni fa, nel pieno dell'ultima glaciazione. Lo rivela l'analisi dei sedimenti del sito di Fincha Abera, in Etiopia, indicando notevoli capacità di adattamento all'ambiente I nostri antenati africani si erano stabiliti sulle montagne già nel periodo Paleolitico, circa 45.000 anni fa, nel pieno dell'ultima glaciazione. Lo hanno scoperto Bruno Glaser, della Martin Luther University Halle-Wittenberg di Halle, in Germania, e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale, studiando i resti preistorici delle Montagne di Bale, in Etiopia. nuove informazioni sull'inizio degli insedia- menti preistorici in quota, in contrasto con le valutazioni fatte finora, che ritenevano più probabile che gli insediamenti paleolitici fossero concentrati a basse quote. I dati indicano perciò una notevole capacità di adattamento fisico e culturale alle condizioni ambientali avverse. Quella studiata è infatti una regione nel sud dell'Etiopia piuttosto inospitale. Posta a circa 4000 metri di quota, oggi è caratterizzata da un'aria molto rarefatta, quindi povera di ossigeno, da precipitazioni frequenti e da un'elevata escursione termica tra giorno e notte. E 45.000 anni fa erano lande fredde e con molti ghiacciai. finora si ipotizzava che gli esseri umani si fossero stabiliti in questa regione afro-alpina solo in un'epoca molto posteriore e per un periodo di tempo limitato", ha spiegato Glaser. diverso. Da anni Glaser e colleghi studiano alcuni affioramenti rocciosi nel sito di Fincha Habera, sulle Montagne di Bale, da cui hanno estratto diversi reperti archeologici, come manufatti in pietra, frammenti di argilla, e perline di vetro. Analisi più approfondite dei sedimenti con metodi geochimici e glaciologici hanno fornito ora una caratterizzazione completa di resti di materiale biologico e di nutrienti presenti nei suoli, nonché delle possibili condizioni di temperatura, umidità e livello di precipitazioni della zona durante il Paleolitico. Insieme alla datazione al radiocarbonio i dati così raccolti hanno permesso di stimare da quante persone era occupato il sito e per quanto tempo. l sito di FIncha Habera (Credit: Götz Ossendorf) della vita di questi nostri antichi antenati. Il sito di Fincha Habera è stato occupato in un'epoca non ben definita tra 47.000 e 31.000 anni fa. Si trovava al limite di un ghiacciaio: ciò garantiva agli abitanti abbondanza d'acqua, mentre probabilmente le condizioni a basse quote erano troppo secche per la sopravvivenza. Per quanto riguarda il cibo, sembra invece che il nutrimento principale fosse il ratto- talpa gigante, un roditore di grandi dimensioni molto diffuso nella zona. Semplice da catturare, grazie anche alla facilità di reperire ossidiana per fabbricare utensili e armi in pietra, l'animale forniva il nutrimento necessario in una regione così difficile. rivelato infine un secondo insediamento umano iniziato 10.000 anni a.C.: i campioni di suolo contengono per la prima volta escrementi di animali da pascolo, il che indica probabilmente l'avvento di nuovi metodi di sostentamento e sfruttamento del territorio. (red) |
Post n°2415 pubblicato il 19 Novembre 2019 da blogtecaolivelli
11 novembre 2019 Comunicato stampa I diamanti rivelano nuovi indizi sull'origine della vita Fonte: Università Milano Bicocca © iStock-iSergey I minerali rinvenuti nelle rocce delle Alpi custodiscono informazioni sul legame tra il mondo inorganico e organico. Lo studio dell'Università di Milano-Bicocca è stato recentemente pubblicato su "Nature Communications" Oltre 100 chilometri di profondità e una temperatura di 600 gradi centigradi. In queste condizioni estreme, nei fluidi all'interno della Terra, esistono specie di carbonio organico, scoperte sulla superficie di diamanti contenuti nelle rocce delle Alpi. organic compounds in hydrous fluids deep within the Earth", pubblicato sulla rivista Nature Communications e condotto da Maria Luce Frezzotti, geologa del dipartimento di Scienze dell'ambiente e della Terra dell'Università di Milano-Bicocca, recentemente premiata con la Medaglia per le Scienze Fisiche e Naturali, assegnata dall'Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL. carbonio organico nei fluidi rilasciati in profondità all'interno della Terra che possono innescare la formazione di diamanti e forse diventare elementi costitutivi per la vita. attribuita a reazioni chimiche a partire da composti inorganici, come l'anidride carbonica o il metano. Analizzando i diamanti, invece, i ricercatori si sono accorti che questi preservavano delle specie organiche, in particolare gli acidi carbossilici. per lo studio dei cambiamenti climatici. Questi minerali, infatti, sono testimoni dei processi che regolano il trasporto di carbonio in profondità e il suo successivo rilascio in atmosfera, caratteristica che li rende in grado di fornire importanti indicazioni sulle quantità di CO2 che sono riciclate dalla Terra. Luce Frezzotti, geologa dell'Università di Milano -Bicocca - che specie di carbonio organico siano presenti all'interno della Terra, dove per definizione, a causa delle condizioni estreme di temperatura e pressione, non sono previste. È uno studio, dunque, che apre nuove prospettive anche per le ricerche sull'origine della vita sulla Terra: l'aver rivelato questa sintesi di molecole organiche in condizioni molto profonde è una novità assoluta, in quanto, generalmente, si tratta di un processo studiato e valutato a livello di superficie del Pianeta o di impatto da parte di corpi extraterrestri». MIUR Dipartimenti di Eccellenza 2018-2022 del dipartimento di Scienze dell'ambiente e della Terra. |
Post n°2414 pubblicato il 19 Novembre 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus 08 novembre 2019 Una mescolanza di popolazioni nel DNA dell'antica Roma Dettaglio dell'Arco di Costantino (©Lanzellotto Antonello/AGF) Geni originari dell'Europa centrale e oc- cidentale, del Medio Oriente e del Nord Africa si sono mescolati più volte nell'Italia centrale fin dalla preistoria, ma soprattutto dalla fondazione di Roma fino alla caduta dell'Impero romano Un crogiolo di popolazioni provenienti dall'Europa, dall'Africa e dal Medio Oriente che riflette, di epoca in epoca, la fitta rete di scambi commerciali e culturali con altre regioni del continente e soprattutto del Mediterraneo. È questo il modello genetico delle popolazioni della Roma preistorica, antica e medievale che emerge da un nuovo studio pubblicato sulla rivista "Science" da un gruppo internazionale di ricerca con una nutrita rappresentanza di università italiane, tra cui la Sapienza, Tor Vergata e Roma Tre, l'Università della Tuscia a Viterbo, le Università di Torino, Pisa e Foggia. dai resti di 127 antichi individui provenienti da 29 siti archeologici di Roma e dintorni, che coprono un arco temporale di circa 12.000 anni di preistoria e storia romane. trasformazioni del corredo genomico delle popolazioni dell'Italia centrale, interpretate come l'esito di ampie migrazioni. La prima si è verificata tra il 7000 e il 6000 a.C., quando popolazioni di agricoltori-allevatori del Neolitico, provenienti dall'Iran e dall'Anatolia, nell'attuale Turchia, hanno soppiantato i cacciatori-raccoglitori del Mesolitico, genetica- mente simili ai cacciatori-raccoglitori dell'Europa occidentale. avvenuta durante l'età del Bronzo, tra il 2900 e il 900 a.C. (non è stato possibile dare una stima più precisa per mancanza di campioni): è questo un periodo in cui ci sono stati importanti progressi tecnologici, che hanno permesso più rapidi spostamenti sia via terra - da e verso l'Europa - sia via mare, incrementando i contatti con tutto il Mediter- raneo. Ciò ha un preciso riflesso nel corredo genetico degli individui dell'epoca successiva, testimoniato dai resti degli individui datati tra il 900 e il 200 a.C. che mostrano ascendenze di popolazioni delle steppe euroasiatiche, dell'Iran e, per la prima volta, del Nord Africa. Questi risultati suggeriscono che all'epoca della fondazione di Roma, datata tradizional- mente al 753 a.C., la genetica dell'antica Italia centrale fosse molto simile a quella osservata nelle popolazioni moderne. registrano nel periodo imperiale (dal 27 a.C. al 300 d.C.) durante il quale si manifesta uno spostamento marcato verso geni originari del Mediterraneo orientale a scapito di quelli dell'Europa occidentale e centrale, e nella Tarda Antichità (III e IV secolo d.C.), in cui la tendenza si inverte, per poi consolidarsi nel Medioevo. genomico delle popolazioni dell'Italia centrale un'elevata mescolanza di geni di origine geografica molto diversa, iniziata prima della fondazione di Roma e continuata con l'ascesa e il crollo dell'Impero romano. (red) |
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