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Messaggi del 15/03/2020

Altra geologia

Post n°2587 pubblicato il 15 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

HOMETERRAGEOLOGIA E STORIA DELLA TERRA

Impatto di asteroide 2,2 miliardi di anni fa può aver

contribuito al disgelo della Terra

27 Agosto 2019 Geologia e storia della TerraTop news

Un gruppo di ricercatori, guidato dal geocronologo Timmons

Erickson del Johnson Space Center, ha analizzato il cratere

Yarrabubba, un cratere da impatto che si trova nell'area occidentale

dell'Australia.

Analizzando le rocce, i ricercatori hanno dimostrato che si tratta di

un cratere provocato dall'impatto di un asteroide avvenuto 2,229

miliardi di anni fa.

Si tratta di un periodo che coincide con la fine di una profonda fase

di congelamento del pianeta nota come "Terra a palla di neve".

Erickson e colleghi del team non credono sia un collegamento casuale:

lo stesso impatto dell'asteroide avrebbe potuto aiutare la Terra a

scongelarsi.

L'impatto avrebbe vaporizzato le spesse lastre di ghiaccio presenti

sulla superficie terrestre e avrebbe contribuito a diffondere vapore

relativamente caldo nella stratosfera.

Ciò avrebbe causato, a sua volta, un potente effetto serra e quindi il

disgelo dell'intero globo.

"La coincidenza temporale è sorprendente", riferisce Eva Stüeken,

geobiologa dell'Università di St. Andrews, in un intervento sul sito

di Science riguardo a questa teoria.

La stessa ricercatrice però mostra qualche dubbio.

Il cratere da impatto di Yarrabubba è largo meno di 1/3 di quello

lasciato dall'asteroide che fece estinguere i dinosauri 66 milioni

di anni fa.

La ricercatrice, dunque, crede che l'impatto di Yarrabubba non

avrebbe potuto avere una conseguenza così profonda a livello globale

Erickson e colleghi credono comunque che l'impatto di Yarrabubba

abbia avuto un qualche ruolo nel disgelo globale. Magari è stato

d'aiuto agendo insieme alle supposte eruzioni vulcaniche che si crede

abbiano causato l'immissione dell'anidride carbonica nell'aria

procurando un riscaldamento globale del pianeta e quindi il suo

disgelo.

Proprio per questo hanno creato un modello al computer dell'impatto

di un asteroide largo 7 km che colpisce una calotta glaciale con

uno spessore tra 2 e 5 km.

La simulazione mostrava che l'impatto può provocare la diffusione

di polvere per migliaia di chilometri, rendendo più scuro il ghiaccio

e dunque migliorando la sua capacità di assorbire il calore.
Un impatto del genere, inoltre, può inviare centinaia di miliardi di

tonnellate di vapore nella stratosfera, cosa che avrebbe aiutato

l'atmosfera ad intrappolare il calore.

 
 
 

Notizie scientifiche.

Post n°2586 pubblicato il 15 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

ARTICOLO RIPORTATO DALL'INTERNET

NOTIZIE SCIENTIFICHE

HOMEBIOLOGIAGENETICA E BIOLOGIA

CELLULARE/MOLECOLARE

Nuovi modi con i quali il corpo si difende dall'alcol

scoperti da scienziati

6 Marzo 2020 Genetica e biologia cellulare/molecolare

Un nuovo modo tramite il quale il corpo umano riesce a

riparare i danni al DNA causati dall'alcol è stato scoperto

da un team di ricercatori dell'Istituto Hubrecht (KNAW) di

Utrecht, Paesi Bassi, e del Laboratorio di Biologia Molecolare

MRC di Cambridge, Regno Unito.

Nello studio, pubblicato su Nature, vengono descritte le tecniche

di difesa delle cellule nei confronti dell'alcol.

L'alcol, infatti, nel momento in cui viene metabolizzato dal corpo,

forma una sostanza denominata acetaldeide.

Quest'ultima è pericolosa per il DNA e ostacola la divisione cellulare

nonché la produzione delle proteine. Danni del genere portano alla

morte cellulare e, lungo termine, anche al cancro.

La prima difesa contro i danni causati dall'acetaldeide da parte delle

cellule risiede nell'enzima ALDH2 che scompone l'acetaldeide prima

che cominci a fare danni.

Tuttavia non tutte le persone dispongono della funzionalità di questo

enzima: all'incirca metà della popolazione asiatica, più di 2 miliardi

di persone nel mondo, è infatti caratterizzata da una mutazione genetica

in questo enzima e quindi non sono in grado di scomporre l'acetaldeide.

In questo studio gli scienziati si sono concentrati sulla seconda linea

di difesa contro i danni apportati dall'acetaldeide, dei meccanismi che

rimuovono il danno del DNA una volta che il danno stesso è stato apportato.

Le scoperte sono state effettuate da ricercatori analizzando gli estratti

proteici ricavati dalle uova della rana Xenopus laevis.

I ricercatori hanno scoperto due meccanismi che riparano il danno:

il percorso dell'anemia di Fanconi (FA), già noto, e un nuovo percorso

più veloce.
Questa scoperta potrebbe rivelarsi utile per trattare diversi tipi di cancro

correlati all'alcol, come lascia intendere Puck Knipscheer, uno degli

autori dello studio.

 
 
 

Notizie scientifiche.

Post n°2585 pubblicato il 15 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

fonte: articolo di info sceintifica riportato dall'Internet.

NOTIZIE SCIENTIFICHE

HOMEBIOLOGIAGENETICA E BIOLOGIA

CELLULARE/MOLECOLARE

Scienziati scoprono che proteina che difende da infezioni

regola anche funzione di mitocondri

3 Marzo 2020 Genetica e biologia cellulare/molecolareCellule normali con mitocondri tubulari (rosso) e DNA (verde)

nel nucleo e all'interno dei mitocondri (a sinistra). A destra MxB è

stata rimossa con metodi genetici e ciò lascia in mitocondri

frammentati (rosso) con il suo genoma spostato nel citoplasma

(credito: newsnetwork.mayoclinic.org)

Secondo un nuovo studio apparso su Nature Communications,

una proteina, già nota perché aiuta le cellule a difendersi dai

virus, facente parte di un gruppo di proteine resistenti al mixovirus

(myxovirus-resistance, Mx), può anche regolare la forma e la

funzione dei mitocondri, sezione delle cellule che contengono il

materiale genetico detto "DNA mitocondriale": è questa la scoperta

effettuata da un team di ricercatori della Mayo Clinic.

Questa proteina è di supporto alle cellule per contrastare le infezioni

senza l'utilizzo di anticorpi o globuli bianchi.

Secondo gli autori, una di queste proteine, MxB, associata alle risposte

immunitarie all'HIV e al virus dell'herpes, può essere considerata

come la chiave del supporto mitocondriale.

I ricercatori si sono accorti che le MxB si trovano nella maggior parte

dei tessuti immunitari, ad esempio le tonsille, prima di un "allarme rosso".

Senza questa proteina, i mitocondri non riescono più ad essere funzionali,

non producono più l'energia necessaria ed espellono il genoma del DNA

rigettandolo nel citoplasma.

Mark McNiven, biologo e autore segno dello studio, così spiega i

risultati: "Il nostro lavoro fornisce nuove intuizioni su come questa

dinamica proteina MxB aiuta a combattere le infezioni virali, che

potrebbero avere importanti implicazioni per la salute in futuro".

"Siamo rimasti sorpresi di vedere MxB presente e dentro i mitocondri",

dichiara Hong Cao, ricercatore della Mayo Clinic e primo autore.

"Che sia indotto in risposta all'infezione e vitale per l'integrità

mitocondriale è eccitante, considerando che l'HIV e l'herpes alterano

i mitocondri durante l'infezione."

 
 
 

Sulle cellule immunitarie.

Post n°2584 pubblicato il 15 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Notizie scientifiche.it


 E BIOLOGIA CELLULARE/MOLECOLARE
 

Cellule immunitarie si "consultano" tra loro prima di intervenire

13 Febbraio 2020 Genetica e biologia cellulare/molecolareLe cellule immunitarie si riuniscono e si coordinano tra loro

per decidere come intervenire (credito: Northwestern University)

Le cellule del sistema immunitario umano consultano le cellule

vicine prima di prendere una decisione in relazione alla reazione

più fruttuosa da mettere in atto: è questa la scoperta effettuata da

un gruppo di ricercatori della Northwestern University e della

University of Washington.

Quest'ultimi hanno scoperto che quando le stesse cellule immunitarie

arrivano sul punto dell'infezione cominciano a "contare" le cellule

vicine prima di innescare una reazione immunitaria.

Questa scoperta potrebbe essere di utilità per nuove terapie onde

curare tutte le malattie autoimmuni croniche o anche per disabilitare

o cambiare il tipo di reazione dello stesso sistema immunitario nel

caso del cancro.

Come spiega Joshua Leonard, ricercatore della Northwestern, si tratta

di un aspetto che non era stato mai riconosciuto prima per quanto

riguarda la funzione immunitaria: "Le cellule prendono una decisione

coordinata.

Non si attivano in modo uniforme, ma decidono collettivamente quante

cellule si attiveranno, in modo che insieme il sistema possa respingere

una minaccia senza reagire in modo pericoloso".

D'altronde le risposte immunitarie sono basilari e possono decretare

anche la vita e la morte di un individuo se la stessa risposta risulta

eccessiva oppure non sufficiente. In particolare se risulta eccessiva

si può morire per shock settico, Ad esempio nel corso di un'infezione

batterica, mentre se non è sufficiente si muore perché la stessa infezione

può diffondersi a campo libero sempre di più. Si tratta di un equilibrio

importantissimo che è alla base della vita stessa.

I ricercatori hanno analizzato soprattutto come i macrofagi, un tipo di

cellula immunitaria considerabile come "prima linea" di difesa contro

infezioni e malattie, rispondono alle sostanze chimiche prodotte dai

batteri.

Si sono poi rivolti ai computer per creare modelli computazionali onde

spiegare le stesse osservazioni.

"Nel corso del tempo, le cellule osservano l'ambiente circostante per

avere un'idea dei vicini", rivela Joseph Muldoon, altro ricercatore impegnato

nello studio.

"Ogni cellula diventa pronta a rispondere come alto attivatore o meno.

Ora che sappiamo che esiste questo livello aggiuntivo che controlla il

sistema immunitario, si apre un'intera strada per studiare se ci sono nuovi

obiettivi per l'immunomodulazione".

 
 
 

Dalla notte dei tempi.

Post n°2583 pubblicato il 15 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'internet.

Acqua comparsa sulla Terra più tardi di

quanto pensato: vita formatasi subito?

12 Marzo 2020 Geologia e storia della TerraTop news

 

La maggior dell'acqua che ha formato gli

oceani della Terra nonché degli elementi

essenziali per la vita, come carbonio e azoto,

sono comparsi quando la formazione del

pianeta era quasi completa, dunque molto

più tardi di quanto teorizzato in precedenza.

È quanto suggerisce un nuovo studio apparso

su Nature che dunque entra in contrasto con

passate indagini geologiche e studi secondo i

quali questi elementi, essenziali per l'acqua, e

dunque anche per la vita, si trovavano già sul

pianeta all'inizio della formazione.

Fischer-Gödde spiega il metodo di studio:

i ricercatori hanno analizzato alcune tra le rocce

più antiche del mantello tra quelle rimaste

conservate, analisi che permettono di scrutare

la storia più antica della Terra: "Abbiamo confrontato

la composizione del più antico, circa 3,8 miliardi

di anni fa, delle rocce del mantello dell'Egeo

Archeano con la composizione degli asteroidi

da cui si sono formati e con

la composizione del mantello terrestre oggi."

I ricercatori hanno analizzato in particolare

l'abbondanza degli isotopi di un metallo appartenente

al gruppo del platino denominato rutenio nel mantello

terrestre del periodo dell'archeano.

Questo raro metallo può essere considerato come

l'indicatore della fase di crescita tardiva della Terra

come spiega Mario Fischer-Gödde dell'Istituto di

geologia e mineralogia dell'Università di Colonia:

"I metalli del [gruppo del] platino come il rutenio

hanno una tendenza estremamente elevata a

combinarsi con il ferro.

Pertanto, quando si è formata la Terra, il rutenio

deve essere stato completamente scaricato nel

nucleo metallico della Terra".

Le conclusioni di questo studio dunque rafforzano

una teoria secondo la quale l'acqua sulla Terra è

arrivata tramite gli impatti, numerosi nei primi

periodi dopo la formazione della Terra, di asteroidi

e comete, come spiega Carsten Münker, ricercatore

dell'Università di Colonia partecipato allo studio:

"Il fatto che stiamo ancora trovando tracce di

metalli rari del platino nel mantello terrestre significa

che possiamo supporre che siano stati aggiunti solo

dopo che la formazione del nucleo è stata completata

e che furono certamente il risultato di successive

collisioni della Terra con asteroidi o planetesimi più

piccoli".

E dato che è stato dimostrato, da altri studi, che la

vita sulla Terra è antichissima e che le prime forme

di vita sono apparse non molto tempo dopo la forma-

zione del pianeta, ne conviene che la vita sulla Terra

è iniziata in maniera sorprendentemente rapida,

praticamente nel giro di poche centinaia di milioni di

anni a seguito della formazione dei primi oceani.

Si tratta di conclusioni che, tra le altre cose, infondono

una speranza ben maggiore di trovare la vita su altri

pianeti: se la vita è iniziata qui sulla Terra in maniera

così rapida, allora forse quelle reazioni casuali che

l'hanno originata potrebbero non essere così rare

come congetturato in precedenza.

Approfondimenti

 
 
 

Notizie dalla note dei tempi.

Post n°2582 pubblicato il 15 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Terra era completamente ricoperta dai mari

3,2 miliardi di anni fa secondo nuove analisi

HOMETERRAGEOLOGIA E STORIA DELLA TERRA

4 Marzo 2020 Geologia e storia della TerraTop newsNotizie scientifiche.it

La Terra era un mondo d'acqua, era ricoperta da un unico

oceano globale senza o con pochissima terraferma, circa

3,2 miliardi di anni fa: è questa l'interessante conclusione

a cui è giunto un team di ricercatori dell'Università Statale

dell'Iowa.
I geologi hanno infatti analizzato la crosta oceanica esposta,

risalente proprio a questo periodo della storia della Terra,

presente in Australia ed hanno realizzato un modello il quale

che indica che, in questo lontano periodo, la Terra primordiale

aveva tutti i suoi continenti sommersi.

Si tratta di un approccio che potrebbe avere conseguenze

importanti anche per quanto riguarda l'origine della vita sulla terra.

Se questa condizione era infatti presente anche quando è nata

la vita sulla terra, la stessa origine della vita dovrebbe essere

rivalutata e alcuni dei modelli oggi più accettati potrebbero

essere messi da parte.

"Senza continenti e terre al di sopra del livello del mare,

l'unico posto in cui i primi ecosistemi si sarebbero evoluti

sarebbe stato nell'oceano", riferiscono i ricercatori.

I pezzi di crosta oceanica analizzata dei ricercatori risalgono

all'eone Archeano, un periodo della Terra compreso tra 4 e

2,5 miliardi di anni fa.
Benjamin Johnson, insieme ai colleghi tra cui Boswell Wing,

ha analizzato gli isotopi di ossigeno di queste rocce e i valori

di temperatura che ha trovato suggeriscono che l'acqua del

mare in questo antico periodo era arricchita con circa 4 parti

per mille in più, rispetto all'acqua dei mari odierni, di un

pesante isotopo dell'ossigeno.

Scoprendo che il rapporto tra due diversi isotopi dell'ossigeno

intrappolati nelle rocce era molto diverso 3,24 miliardi di anni

fa, i ricercatori sono giunti alla fusione che mancavano

continenti emersi.
Oggi, infatti, la terraferma, attraverso gli agenti atmosferici,

assorbe gli isotopi di ossigeno più pesanti dall'acqua, cosa che

non sembra avvenisse in quel lontano periodo.

Secondo i geologi cioè può essere spiegato nel fatto che non c'era

abbastanza terraferma per risucchiare questi isotopi.

Ciò non significa che non ci fosse alcuna zona di terraferma in tutto

il mondo. Potrebbero esserci stati, in questo periodo, per esempio,

dei microcontinenti, la cui estensione però non era sufficiente per

l'assorbimento degli isotopi pesanti dell'ossigeno dai mari come

quello che avviene oggi.

La domanda allora sorge spontanea: quando l'azione della tettonica

terrestre ha fatto emergere i primi veri continenti?

Domanda interessante qui stessi ricercatori si ripromettono ditentare

di rispondere attraverso nuove analisi di vecchie croste oceaniche in

altre aree del mondo.

 
 
 

Amazing news

Post n°2581 pubblicato il 15 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Source: article from Science

Oxygen from ancient life may have led to

Snowball Earth (artist's concept).

Did an impact help it thaw?

 CHRIS BUTLER/SCIENCE SOURCE

Shock and thaw? Earth's oldest asteroid

impact may have helped lift the planet

out of a deep freeze

By Eric HandAug. 27, 2019 , 4:35 PM

BARCELONA, SPAIN-Barlangi Rock, an

ancient hill in the outback of Western Australia,

is dimpled by the quarries of Aboriginal people

who chiseled its fine-grained rocks into sharp

tools.

Now, geologists have added a much deeper layer

of history to those rocks by showing they were

forged 2.229 billion years ago, when an asteroid

crashed into our planet.

The finding makes Yarrabubba crater, the

70-kilometer-wide scar left by the collision,

Earth's oldest.

The geologists who reported the date last week,

here at the Goldschmidt geochemistry conference,

also point out a conspicuous coincidence:

The impact came at the tail end of a planetwide

deep freeze known as Snowball Earth.

They say the impact may have helped thaw Earth

by vaporizing thick ice sheets and lofting steam

into the stratosphere, creating a po

werful greenhouse effect.

"It's intriguing to think what a moderate to large

impact event could do in this time period," says

Timmons Erickson, a geochronologist at NASA's

Johnson Space Center in Houston, Texas, who led

the study. "The temporal coincidence is striking,"

agrees Eva Stüeken, a geobiologist at the University

of St. Andrews in the United Kingdom.

But she and other researchers are skeptical that 

Yarrabubba-which is just one-third the size of the

crater left by the dinosaur-killing impact 66 million

years ago-could have had such a profound effect

on the climate.

Still, Stüeken says, paleoclimate studies should

consider the possible role of such violent collisions.

"It forces us to think more about these impacts

and these potential feedbacks."

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Earth likes to cover its tracks. Erosion from wind

and water, as well as the churn of plate tectonics,

mean impact craters are scarcer the further one

goes back in time-even though the cratered

surfaces of the moon and Mars show impacts

were actually more common in the tumultuous

early solar system.

Prior to the dating of Yarrabubba crater, the

oldest known impact was the Vredefort Dome,

a 2.02-billion-year-old feature in South Africa

that, at 300 kilometers wide, is the world's

largest.

Western Australia is a good place to look for

old craters because it contains the Yilgarn

Craton, one of Earth's oldest surviving pieces

of crust.

In 2001, a magnetic survey near Yarrabubba

revealed circular features in the bedrock,

although no crater rim can be seen at the surface.

And when Francis Macdonald, a geologist at the

University of California (UC), Santa Barbara,

took a close look at rocks from the region, he

found the signatures of an impact's shock:

microscopic planar patterns in mineral crystals

and shatter cones, horsetail fracture patterns

up to 1 meter long. Some of the melted and

recrystallized rocks from beneath the crater-

including Barlangi Rock-had also survived.

"We're looking at the roots of it," Macdonald says.

In a 2003 discovery paper, he and his colleagues

named the crater after the local sheep shearing

station.

They knew the impact was ancient, but could not

give it a firm date.

Breaking the ice

Yarrabubba crater is in the Yilgarn Craton, an

ancient piece of crust.

Dust and steam from the impact may have helped

end a global ice age, researchers suggest.

 

A. CUADRA/SCIENCE

In 2014, Erickson saw an opportunity while on

his way to field work elsewhere in Western Australia.

He camped near Barlangi Rock and crisscrossed

the hill with a sledgehammer, filling a backpack

with a dozen chunks of rock. In a laboratory tub,

he zapped the rocks with 100,000 volts of

electricity, breaking them up into their component

minerals without damaging delicate textures.

Next, Erickson had to sift for crystals suitable for

dating.

Like a gold prospector, he used pans to float off

less dense quartz and feldspar, and he extracted

other unwanted minerals with a magnet.

Finally, with tweezers and a microscope, he picked

out several hundred grains of zircon and monazite

, each smaller than the width of a human hair.

"You need a good podcast or music when you're

doing that," he says.

He wanted crystals with rims that had melted and

recrystallized, an assurance that the impact had

eset a clock in which small amounts of radioactive

uranium, trapped within the crystal, decay into lead.

He mounted some of the best crystals in epoxy,

polished them down to a fresh face, and vaporized

spots on the rims with an ion beam.

A mass spectrometer measured the abundance of

uranium and lead in the vapor; from the proportions

and the known half-life of the uranium, he and his

colleagues could calculate an age.

They ended up with a date of 2.229 billion years old,

plus or minus 5 million years.

That puts the impact at a turbulent time in Earth's

history.

Life had existed for more than 1 billion years, but

photosynthetic life-cyanobacteria living in shallow

waters-was a recent evolutionary invention, one

that triggered a sharp rise in atmospheric oxygen

about 2.4 billion years ago.

Previously, high levels of methane in the atmosphere

had generated a greenhouse effect that warmed the

planet.

But many scientists think the methane was destroyed

by chemical reactions with Earth's first ozone, produced

when ultraviolet light from the sun struck the oxygen

molecules.

They suspect loss of methane sent Earth crashing into

a set of severe and long-lived ice ages, even at low

latitudes.

Three or maybe four of these icy episodes took

place between 2.45 billion and 2.22 billion years

ago, which means Australia might have been

covered in ice at the time of the Yarrab

ubba impact.

Scientists have assumed that volcanic eruptions

ended the ice ages, by belching carbon dioxide

and warming the planet. But Erickson and his

colleagues speculate that Yarrabubba could have

helped.

They modeled the effect of a 7-kilometer-wide

asteroid striking an ice sheet between 2 and

5 kilometers thick.

They found the impact could have spread dust

thousands of kilometers, darkening ice and

enhancing its ability to absorb heat.

It also would have sent half a trillion tons of

steam into the stratosphere-orders of magnitude

more water vapor than in today's stratosphere-

where it would have trapped heat.

Andrey Bekker, a geologist at UC Riverside,

doubts that the water vapor would have persisted

for the centuries needed to thaw Earth.

"I'm not convinced that by itself it could do this job

," he says.

Christian Koeberl, an impact expert and the director

general of the Natural History Museum in Vienna,

shares those doubts, but says paleoclimate

researchers need to model the efects explicitly.

If the Yarrabubba impact did thaw the planet,

allowing life to reclaim icy continents and oceans,

it wouldn't be the first example of life benefiting

from a cosmic blow, Koeberl says.

Although the public tends to associate impacts

with extinctions, he notes that impacts 4 billion

years ago could have jump-started life.

Asteroids delivered phosphorus, a key nutrient,

and the impacts also created the protected,

energy-rich hydrothermal systems where some

 biologists believe life began.

"Impacts can be bringers of life, impacts can be

destroyers of life," he says.

Posted in: 

doi:10.1126/science.aaz2892

 
 
 

Amazing news about the origin of life.

Post n°2580 pubblicato il 15 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

 

Minerals near deep-sea hydrothermal vents

promote the formation of energy-rich organic

molecules that life needed to get its start.

Was this life's first meal?

By Robert F. ServiceMar. 2, 2020 , 12:30 PM

Studies of the origin of life are replete with

paradoxes.

Take this doozy: Every known organism on

Earth uses a suite of proteins-and the DNA

that helps build it-to construct the building

blocks of our cells.

But those very building blocks are also needed

to make DNA and proteins.

The solution to this chicken-and-egg conundrum

may lie at the site of hydrothermal vents, fissures

in the sea floor that spew hot water and a wealth

of other chemicals, researchers report today.

Scientists say they have found that a trio of metal

compounds abundant around the vents can cause

hydrogen gas and carbon dioxide (CO2) to react

to form a collection of energy-rich organic

compounds critical to cell growth.

And the high temperatures and pressures around

the vents themselves may have jump-started life

on Earth, the team argues.

The new work is "thrilling," says Thomas Carell,

an origin of life chemist at Ludwig Maximilian

University of Munich who was not affiliated with

the new project.

The organic molecules the study generated

include formate, acetate, and pyruvate, which

Carell calls "the most fundamental molecules

of energy metabolism," the process of converting

nutrients into cell growth.

The new results support a long-held idea about

the origin of life known as "metabolism first

hypothesis.

" It posits that geochemical processes on early

 Earth created a stew of simple energy-rich

compounds that drove the synthesis of complex

molecules, which eventually provided the

materials for Darwinian evolution and life.

 

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A clue to this primordial metabolism came in 2016.

Researchers led by William Martin, an evolutionary

biologist at Heinrich Heine University of Dusseldorf,

scanned the genomes of thousands of bacteria and

archaea, identifying 355 proteins encoded by shared

genes that likely belonged to a microbial Eve, the

last universal common ancestor of all life.

Those proteins suggest this primordial microbe

thrived in scalding temperatures and ate hydrogen

gas, using its electrons to convert inorganic CO2

 dissolved in the ocean into energy-rich organic

compounds.

That supports the notion that the microbes lived

near hydrothermal vents, where those conditions

would have been present.

That idea is bolstered by the fact that modern

organisms still combine hydrogen and CO2 to

make organic molecules in a process known

as the acetyl-coenzyme A (acetyl-CoA) pathway.

This process feeds essential organic molecules

into biochemical processes that drive the

production of proteins, carbohydrates, and lipids,

which is at the heart of energy metabolism in cells.

The problem, however, is that modern organisms

run the acetyl-CoA pathway using 11 enzymes

made up of a combined 15,000 amino acids, all

finely positioned to carry out their work.

And without the right protein machinery or catalyst,

if you put hydrogen and CO2 together, Martin says,

"Nothing will happen."

So how could organisms have spontaneously

developed their prowess to run the acetyl-CoA

pathway? Two years ago, researchers led by Joseph

Moran, a chemist at the University of Strasbourg,

suggested at least a partial answer.

They reported that pure metals, including iron,

nickel, and cobalt, could catalyze the reaction of

water (water molecules contain hydrogen) and

CO2 to form acetate and pyruvate, key members

of the acetyl-CoA pathway.

That finding suggests the earliest life could have

simply fed on these organic compounds to get

a toehold, and over time evolved a suite of proteins

to make the reactions even more efficient.

Still, Martin notes, converting water and CO2 into

needed organics isn't how microbial Eve's most

closely related modern brethren do it.

Rather, these organisms start with hydrogen gas

and CO2. "We wanted to see if we could get this

pathway to work without enzymes," Martin says.

He and his colleagues knew hydrothermal vents

continually spew out hydrogen gas, driven by

reactions between water and metals deep below

Earth's crust.

And researchers previously determined that CO2

 in early Earth's oceans was about 1000 times

more abundant than it is today.

So, Martin wondered whether metal-rich minerals

common around hydrothermal vents could cause

hydrogen to react with CO2.

To find out, Martin's and Moran's teams joined

forces to investigate three iron-rich minerals found

near vents: greigite, magnetite, and awaruite.

They added these to a water solution and bubbled

in hydrogen and CO2 at 100°C and 25 bars of

pressure, conditions common around deep-sea

vents.

All three minerals catalyzed a reaction of hydrogen

and CO2 to form a mix of organics including formate,

acetate, and pyruvate, the group reports today

in Nature Ecology & Evolution.

"What we have here is a sustained source of

chemical energy, and it generates these energy-

rich molecules used in metabolism," Martin says.

So, was this mix of organics life's first meal? It's

a fair bet, says Steven Benner, a chemist at the

Foundation for Applied Molecular Evolution.

For evolution to begin, life would have needed both

a food source and some form of protogenetic

molecule to transmit information from one organism

to its progeny.

How they came together is still unclear.

However, any early Darwinian system would need

to feed.

And, Benner says: "The process described by

[Martin's and Moran's team] could certainly h

ave been the source of some of their food."

Posted in: 

doi:10.1126/science.abb5418

Robert F. Service

Bob is a news reporter for Science in Portland,

Oregon, covering chemistry, materials science,

and energy stories.

 
 
 

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