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Messaggi del 23/05/2020
Post n°2966 pubblicato il 23 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Movida Brescia, stop piazza a mezzanotte Sindaco Del Bono, contingentarepresenze o la faccio chiudere- RIPRODUZIONE RISERVATA+CLICCA PER INGRANDIRE Redazione ANSABRESCIA23 maggio 202009:51NEWS (ANSA) - BRESCIA, 23 MAG - Gente in piazza, distanze non rispettate e mascherine tenute sotto il mento. Allarme movida a Brescia nel primo venerdì dopo la riapertura. Nella città tra le più colpite dal coronavirus, la gente ha riempito piazzale Arnaldo, cuore della movida bresciana. Poco prima di mezzanotte la polizia locale ha ricevuto l'ordine di impedire nuovi ingressi. Il sindaco di Brescia Emilio Del Bono annuncia provvedimenti: "O riusciamo a contingentare gli accessi o firmo un'ordinanza di chiusura della piazza". |
Post n°2964 pubblicato il 23 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet ABBRACCIO MORTALE. Immobilizzati per sempre in un combattimento mortale: sono stati ritrovati così, tra le sabbie del Deserto dei Gobi, in Mongolia, questi due dinosauri morti e vissuti 74 milioni di anni fa. Un Velociraptor (in basso a destra) ha affondato l'artiglio a falcetto della zampa posteriore nel collo di un Protoceratops, un erbivoro grande quanto un vitello. La vittima non ha mancato di difendersi, atterrando il predatore e mordendone l'arto superiore destro, prima - forse - di morire dissanguato per un'emorragia dell'arteria carotide. mortale. È probabile che una duna di sabbia sia collassata sui due combattenti mentre ancora stavano lottando, o che l'erbivoro sia morto dissanguato intrappolando sotto al proprio peso l'avversario ferito.| DAVID CLARK/DINOSAURS ALIVE/IMAX FILM/GIANT SCREEN FILMS) |
Post n°2963 pubblicato il 23 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Il più antico attacco di un calamaro Un fossile di 200 milioni di anni è la più antica prova di attività predatoria in una creatura simile a un calamaro: una caccia sfortunata. Immagine ravvicinata della testa danneggiata e del corpo di un pesce, forse un arringa, finito tra le grinfie di un calamaro, 199 milioni di anni fa. I tentacoli del cefalopode sono visibili in nero attorno alla preda. | MALCOLM HART, PROCEEDINGS OF THE Una battuta di caccia finita tragicamente è rimasta impressa a perenne memoria in un fossile: il reperto, che risale a un periodo compreso tra 190 e 199 milioni di anni fa, mostra il più antico attacco di una creatura simile a un calamaro mai documentato. La roccia era stata recuperata nel corso del 19esimo secolo dalla Costa Giurassica dell'Inghilterra meridionale, un tratto di litorale che conserva strati geologici e fossili di Triassico, Giurassico e Cretaceo (250-65 milioni di anni fa). Ora, un gruppo guidato paleontologi dell'Università di Plymouth l'ha rianalizzata , in un articolo da poco accettato per la pubblicazione su Proceedings of the L'intero fossile mostra il corpo del calamaro sulla sinistra e i suoi tentacoli che circondano la preda, sulla destra. Clicca sull'immagine per ingrandire MALCOLM HART/PROCEEDINGS OF THE GEOLOGISTS' ASSOCIATION TROPPA FOGA. Il fossile testimonia il brutale attacco da parte di una creatura identificata come un Clarkeiteuthis montefiorei (una specie di calamaro) a un animale simile a un'aringa (Dorsetichthys bechei): un approccio così violento da lasciare il piccolo pesce con la testa fracassata e uccidere allo stesso tempo anche il predatore - morto mentre aveva ancora i tentacoli avvolti attorno alla preda. La costa vicino a Charmouth nel Dorset, Regno Unito, dove sono stati ritrovati un gran numero di importanti fossili, compreso quello del primo attacco di un "calamaro". | LLOYD RUSSELL/UNIVERSITY OF PLYMOUTH LA STESSA FINE. Secondo i ricercatori, il calamaro avrebbe calcolato male la capienza della sua bocca e finendo così ucciso dalla sua stessa preda, rimastra incastrata tra le fauci: incapace di reagire si sarebbe depositato sul fondale, rimanendo invischiato tra i sedimenti. Un'altra ipotesi è che il calamaro abbia trascinato sul fondale il suo bottino per evitare di cadere tra le grinfie di un animale più grande: finì tuttavia per arenarsi in uno strato povero di ossigeno, dove morì insieme alla preda |
Post n°2962 pubblicato il 23 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Fibre di plastica nell'acqua del rubinetto di tutto il mondo Le particelle trovate nella maggior parte dei campioni di acqua potabile, indipendentemente dalle fonti. Possono penetrare nelle cellule o attrarre patogeni, e mancano studi sulla loro pericolosità. Potabile, ma non al riparo dalla plastica. | Con la quantità di plastica prodotta negli ultimi 60 anni - 8,3 miliardi di tonnellate: il peso di un miliardo di elefanti - e quella che abbiamo liberato in mare, era forse un po' da ingenui pensare che fosse finita soltanto nella catena alimentare. Puntuale, è arrivata la doccia fredda: invisibili fibre di plastica si trovano nell'acqua del rubinetto di tutto il mondo, dall'Europa all'India, dagli Stati Uniti al Libano. L'83% dei campioni di quella che è considerata acqua potabile risulta contaminato, come denuncia uno studio globale condotto da Orb Media, un'organizzazione no-profit specializzata in giornalismo d'inchiesta, che ha condiviso i risultati dell'analisi in esclusiva con il Guardian. NEL PIATTO E NEL BICCHIERE. Se le microplastiche inquinano già la totalità di fiumi, laghi e oceani globali - si sono chiesti i ricercatori - come facciamo a pensare che non si trovino anche nell'acqua in cui beviamo? Si trattava, ora sappiamo, di una semplice illusione, e l'entità del danno è democratica, indipendentemente da latitudini e salute economica degli Stati coinvolti.
Microframmenti di plastica raccolti in mare. Guarda l'istante in cui la plastica entra nella | ALGALITA MARINE RESEARCH FOUNDATION MALE DAPPERTUTTO. In totale sono stati analizzati 159 campioni. Il più alto tasso di contaminazione (94%) si registra negli Stati Uniti, con fibre di plastica trovate nell'acqua del rubinetto degli edifici del Congresso, della Trump Tower e del quartier generale dell'Agenzia USA per la protezione ambientale. Libano e India seguono a ruota (con percentuali di 93,8 e 82,4). In Europa va meglio, ma neanche poi tanto: è contaminato il 72% dell'acqua che beviamo, e per ogni 500 ml, una bottiglietta da mezzo litro, ingeriamo in media 1,9 fibre di plastica (negli USA sono 4,8). I RISCHI. «Non sappiamo quale sia l'impatto sulla salute, per questa ragione dovremmo occuparcene immediatamente e capire quali siano i rischi reali, mentre seguiamo un principio cautelativo» spiega Anne Marie Mahon del Galway-Mayo Institute of Technology, tra gli autori dell'indagine. Due sono i motivi di preoccupazione. Il primo riguarda le dimensioni delle particelle: le analisi di Orb hanno individuato solo quelle più grandi di 2,5 micron, 2500 volte più grandi di un nanometro (per fare un confronto, il diametro di un capello umano oscilla tra i 50 e gli 80 micron). Ma quelle di dimensioni nanometriche sono sufficientemente piccole da penetrare in cellule e tessuti, dove potrebbero causare danni ancora non stimabili. Inoltre, studi passati hanno stabilito che queste scorie possono catalizzare la presenza di patogeni già presenti negli scarichi, e accelerare il loro assorbimento nell'organismo.
Le buste di plastica ci mettono da 100 a 400 anni a degradarsi... a meno di non darle in pasto alle tarme della cera (per approfondire). | CSIC COMMUNICATIONS DEPARTMENT DA DOVE ARRIVANO? Come le microplastiche siano finite nell'acqua potabile non è ancora chiaro. Una fonte è sicuramente l'atmosfera, con le fibre sintetiche di abiti, tappeti e scarpe che vengono liberate nell'aria che respiriamo (l'80% delle asciugatrici negli USA "sfiata" direttamente sul balcone). Ci sono poi gli scarichi delle lavatrici - ogni ciclo di lavaggio rilascia nell'ambiente 700 mila fibre - l'erosione della pioggia, e potremmo continuare: in Libano, l'acqua potabile proviene da sorgenti naturali, ed è contaminata per oltre il 93%. TAMPONARE I DANNI. L'invasione di plastica riguarda ormai dunque tutto il ciclo dell'acqua, e la produzione di cibo: microfibre sono state rinvenute nella birra in Germania, nel miele, nello zucchero e nell'acqua imbottigliata (che dunque non è un'alternativa più sicura). Insomma il problema è ormai, strutturale. E i filtri comunemente usati per l'acqua domestica non riescono ad escludere particelle così piccole. |
Post n°2961 pubblicato il 23 Maggio 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Lockdown e inquinamento: che cosa è cambiato (e cosa no) Le chiusure imposte dalla covid hanno fatto calare alcuni tipi di emissioni, ma non l'inquinamento globale da CO2, sempre a livelli record. Il lockdown ci ha regalato aria pulita da respirare? Non a lungo termine. | SHUTTERSTOCK Il prolungato e quasi contemporaneo lockdown in molti Paesi del mondo ha causato una diminuzione importante di due tra i maggiori inquinanti atmosferici e l'incremento di un gas dannoso da respirare, mentre ha avuto un effetto pressoché nullo sull'aumento delle concentrazioni globali di CO2. È il bilancio tratteggiato da tre diversi studi che hanno esaminato la qualità dell'aria che respiriamo: di fatto lo stop di trasporti e attività economiche ha avuto conseguenze limitate e di breve durata sull'inquinamento atmosferico, nulla di cui potremo beneficiare in futuro. CHI SCENDE... Le ricerche sono state condotte dagli scienziati dell'American Geophysical Union e pubblicate sulla rivista Geophysical Research Letters. Il primo lavoro ha sfruttato rilevazioni satellitari per stimare le variazioni di diossido di azoto (NO2, un gas altamente reattivo e irritante per i polmoni, prodotto durante i processi di combustione) in alcune delle aree più colpite dalla COVID-19: Cina, Corea del Sud, Italia, Spagna, Germania, Iran e Stati Uniti. Nei mesi del lockdown, i livelli di NO2 sono calati in media del 40% sulle città cinesi e dal 20 al 38% in Europa Occidentale e USA, rispetto allo stesso periodo nel 2019. La diminuzione è stata confermata anche dal secondo studio, basato sulle misurazioni di 800 stazioni di monitoraggio della qualità dell'aria della Cina settentrionale; l'analisi ha anche trovato che nell'aria, l'inquinamento da particolato atmosferico 2.5 (PM2.5) era sceso del 35%. ... E CHI SALE. Simili riduzioni non si vedevano dall'inizio delle rilevazioni satellitari dei gas inquinanti, nei primi anni '90 (se si esclude una breve parentesi a cavallo delle Olimpiadi di Pechino del 2008, durante la quale l'aria fu drasticamente ripulita per evitare brutte figure internazionali). Per quanto incoraggianti, tuttavia, questi cambiamenti sono provvisori e controbilanciati da alcune cattive notizie. La prima è che, con meno diossido d'azoto nell'aria è tornato a crescere l'ozono superficiale, un inquinante secondario che si forma vicino alla superficie come prodotto di reazioni chimiche in atmosfera, che si svolgono in presenza di luce solare (smog fotochimico). CRESCITA IMPERTURBABILE. La seconda nota stonata arriva dagli ultimi dati dell'Osservatorio di Mauna Loa (Hawaii) e riguarda le concentrazioni globali di CO2: nel mese di aprile 2020 sono state di 416,21 parti per milione (ppm), il valore più alto dall'inizio delle misurazioni nel 1958. Nel 2019 erano 415,26 ppm: nonostante i lockdown, abbiamo incamerato un nuovo record negativo, con quantità globali di anidride carbonica mai registrate negli ultimi 800.000 anni, come confermano i livelli di CO2 nelle carote di ghiaccio. L'anidride carbonica ha una vita media di un secolo: una volta immessa nell'aria, se non viene assorbita rimane a lungo in atmosfera prima di dissiparsi. Anche se in queste settimane a livello locale si registrano piccoli cali di emissioni di CO2, questi non hanno effetti significativi su scala globale e non riescono a contrastare decenni di accumulo di gas serra. Per invertire la rotta occorrerà ripensare il modo in cui produciamo energia: secondo l'UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente) i due terzi di quella globale provengono ancora da combustibili fossili. 17 MAGGIO 2020 | ELISABETTA INTINI |
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