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Lettere

Post n°279 pubblicato il 27 Agosto 2009 da Capodiponte
 

GIORNALE DI BRESCIA - LETTERE AL DIRETTORE
giovedì, 27 agosto 2009


Identità, salvaguardare gli idiomi locali


L'identità è una cosa essenziale, soprattutto oggi in pieno periodo di fondamentalismo laicistico, di perdita dei valori che ha prodotto una massificazione e una spersonalizzazione globale che minacciano di estinzione le culture etniche, le nazioni, i popoli; un cancro basato sull'economia, la tecnocrazia e il mondialismo che svuota i popoli di ogni sostanza, un sistema che annienta ogni passato culturale, rendendo tutto indifferenziato, un sistema che cancella il principio storico nazionale e quello politico territoriale dei popoli, fidando in criteri di appartenenza differenti da quelli della lingua, dell'origine
comune o dello spazio dove si abita e puntando su criteri di appartenenza artificiosi.

Ai giorni nostri molte cosiddette "identità", se ancora si possono definire tali, non derivano dal background storico-politico-culturale originato dall'esperienza di un popolo, non sono viste come il risultato di un processo evolutivo strettamente legato al territorio in cui esso vive e in cui sono vissuti i suoi antenati, bensì si costruiscono in base a ciò che si consuma e a ciò che la moda e la società ci impongono, troppo spesso in nome di
una pseudo-integrazione e di un distorto concetto di tolleranza e accoglienza che porta solo all'annientamento delle nostre radici.

Questa "Identità fabbricata" rispecchia l'atteggiamento proprio di coloro che hanno dimenticato ogni appartenenza ad un'Identità Collettiva per timore di non essere accettati o apprezzati dalla massa ma che da questa massa vengono inghiottiti e annullati, mentre chi si oppone a questa "assimilazione" viene etichettato come eretico, elemento da isolare, oscurantista e arretrato, individuo che rifiuta la modernità e il progresso.

Percorso obbligato per chi cerca di mettere in atto questa "omogeneizzazione" è l'annientamento sistematico delle lingue locali da sempre parlate dai nostri padri, che oggi vengono dileggiate e considerate come una manifestazione meramente folkloristica, spesso relegate a margine di qualche sagra paesana o associate alla sguaiatezza dell'ebbro. Le lingue locali sono invece l'espressione di quella ricchezza dello spirito che può impedirci di essere
totalmente spersonalizzati dalla globalizzazione, non sono (come vogliono farci credere) un retaggio ingombrante del passato ma bensì sono il vero linguaggio della nostra anima e della nostra identità.

Per questo motivo gli idiomi locali vanno salvaguardati attuando una corretta pianificazione linguistica, intervenendo, se serve, anche in senso normativo per far sì che vengano insegnati fin dalla scuola, quando il bambino è in grado di recepire e trattenere innumerevoli quantità di informazioni.

Prendiamo esempio dal Lussemburgo dove i bambini studiano, fin dalle scuole elementari, il lussemburghese, poi il tedesco e, dai tredici anni, anche il francese e l'inglese o dalla vicina Svizzera dove le amministrazioni locali del Canton Ticino, da tempo, attuano una politica di valorizzazione dell'idioma che in quelle terre viene parlato da oltre 300.000 persone: il Lombardo (e non l'italiano-toscano come furbescamente spesso ci vogliono far credere).

Lombardo al quale è stato riconosciuto lo status di "Lingua" sia dal Consiglio d'Europa (Rapporto 4745 del 1981), sia dall'Unesco che l'ha inserita tra lingue meritevoli di tutela ("Red Book of Endangered Languages"), che dal Summer Institute of Linguistics di Dallas ("Ethnologue, Languages of the World", 13ª edizione) che afferma come in generale, tutte le parlate lombarde "sono molto differenti dall'italiano standard" e come "i parlanti possono essere senza problemi bilingui".

È quindi compito delle istituzioni fare in modo che i cittadini possano riscoprire la propria identità riallacciando i legami con le proprie lingue madri, il bene più prezioso lasciatoci in eredità da una memoria mai sopita nella nostra tradizione. Perché la cultura che noi portiamo nasce dal basso, così come la lingua dei nostri nonni è figlia della terra a cui ci sentiamo di appartenere ed è questa in fondo la vera cultura, non quella che vorrebbero imporci patriottardi e parrucconi.

Severino Damiolini
Sellero


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Disinformazione alla base del polverone


Da molti giorni ormai, non si fa che criticare l'onorevole Umberto Bossi perché, si scrive e si dice in televisione, vuole sostituire l'inno di Mameli con il Va pensiero. Altre critiche le ho lette sul Giornale di Brescia, dove "fratel don Chiappa", nonostante i molti problemi come la ormai continua disaffezione dei fedeli alla vita delle parrocchie, si preoccupa di ciò che Bossi avrebbe detto alla festa della Lega Nord di Ponte di Legno.

Io credo che ogni persona in buona fede, non dovrebbe cadere nella trappola della critica ad ogni costo senza prima essersi informata della veridicità di quanto va a criticare, altrimenti rischia di essere considerata in malafede.

Io ero presente quella sera al palasport di Ponte di Legno, stracolmo di gente e l'unica cosa che Bossi ha detto è che "in Padania il Va pensiero lo conoscono tutti, l'inno di Mameli no".

Da qui, a creare il polverone mediatico che tutti abbiamo visto, ce ne corre. Forse molti temono talmente la Lega Nord per la vicinanza dei suoi massimi rappresentanti alla gente o per le verità che dice, differenziandosi in questo dai vecchi politicanti, al punto che, ogni starnuto di Bossi diventa una bomba atomica.

Anche lei "fratel don Chiappa", si accoda ai politicanti? Anche lei "fratel don Chiappa" si unisce al codazzo di chi non avendo nulla di meglio da dire offende i Padani indicandoli come gente che pensa solo a tener "la mano ben custodita all'interno del doppiopetto della giacca"? Anche lei "fratel don Chiappa" parla di un'inesistente Padania ma, dei "padani" e fra questi inevitabilmente molti "odiati" leghisti che contribuiscono, con il loro duro lavoro, al benessere di tutti, anche con il loro reale volontariato indirizzato all'aiuto dei bisognosi nel mondo, vedi la Copam, non potete e volete farne a meno.

In quanto a quello che Bossi ha detto, la conferma gliela dà lei con le strofe scritte nella sua lettera, si informi e veda quanti le conoscono e si chieda pure se quel parlamentare, di cui ha taciuto il nome, che vuole rendere la conoscenza dell'inno obbligatoria ai "Bossi e Bossini" (che democrazia!!) se lui l'inno lo conosce in tutte le sue molte strofe e non solo le solite due che tutti cantano.

Concludo, dedicando un pensiero a tutti quei cittadini senza lavoro o sottopagati ed ai cristiani sparsi in quelle zone del mondo dove ancora oggi vengono massacrati per la loro fede e nel silenzio quasi totale che, a differenza di chi problemi e preoccupazioni non ha, vorrebbero che le loro preoccupazioni si limitassero all'inno ed a cose del genere.

Meditate gente, meditate.
Rachele Penna

Brescia

 
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