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«Speriamo che dopo ’sti primi giorni Sua Santità se tranquillizzi un po’, sennò qua ce fa’ impazzì a tutti quanti»
Quegli abbracci tra la folla preoccupano la sicurezza. Gli agenti della gendarmeria: “Così è difficile proteggerlo”
«Speriamo che dopo ’sti primi giorni se normalizzi, sennò qua ce fa’ impazzì a tutti quanti».
Uno degli uomini addetti alla sicurezza del Papa ha uno sguardo a metà tra il divertito e lo sconcertato.
Papa Francesco ha appena terminato di salutare uno a uno tutti i parrocchiani di Sant’Anna, la piccola chiesa dentro le mura vaticane dove ha celebrato la messa domenicale.
E ora sguscia tra prelati e gendarmi per raggiungere la folla assiepata dietro le transenne.
Vuole essere libero di avvicinare la gente, non desidera essere ingabbiato né eccessivamente protetto. Cerca il contatto diretto. Fa il vescovo che sorride e benedice le persone, stringe mani, ascolta richieste di preghiere, benedice.
E intende fare tutto questo senza eccessi di protocollo, senza che si creino barriere e distanze.
E che succede se il Papa non si «tranquillizza»?
«Guardi, io ricordo il primo periodo di Giovanni Paolo II, che ruppe tutti gli schemi. Ma questo Papa è ancora più difficile da seguire».
Gli «angeli custodi» di Bergoglio, i gendarmi vaticani che insieme alle guardie svizzere devono vegliare sulla sicurezza del Pontefice, stanno cercando di adeguarsi al nuovo stile.
Certo, la sicurezza del Papa è importante, c’è da vegliare su di lui, c’è da evitare che qualche squilibrato compia gesti inconsulti, come accadde la notte di Natale del 2009, quando una giovane svizzera saltando la transenna trascinò a terra Papa Ratzinger mentre procedeva con la processione all’inizio della veglia.
Allora fu la prontezza del generale Domenico Giani, che l’agguantò, ad evitare il peggio.
Ma non c’è dubbio, d’altra parte, che in nome della sicurezza si è rischiato talvolta di creare una gabbia eccessiva attorno al Papa. Persino Oltretevere: quando doveva passare l’auto del Pontefice, all’interno della stessa città del Vaticano, si bloccava il passaggio, le persone venivano fermate, era tutto un dispiegarsi di forze non sempre giustificato.
Papa Francesco non sembra affatto disposto a vivere blindato in una gabbia protettiva che negli ultimi anni è andata aumentando. Sabato mattina, prima dell’udienza concessa agli oltre seimila giornalisti, davanti all’ingresso della Casa Santa Marta, dove il Pontefice ancora alloggia, è accaduto un episodio illuminante.
Papa Francesco è sceso e affacciandosi all’esterno ha trovato ad attenderlo la berlina e un’altra macchina di scorta.
Un gendarme teneva già aperta la portiera posteriore dell’auto con la quale avrebbero percorso poco qualche centinaio di metri per arrivare all’aula Paolo VI.
Il Papa ha guardato i gendarmi, ha sorriso, e ha fatto un eloquente gesto con la mano, come per dire: «Ma non crederete mica che io monti in macchina per fare cento metri».
Quindi con il suo passo spedito si è avviato da solo verso l’aula Paolo VI, seguito dal Prefetto e dal reggente della Casa Pontificia, nonché dal capo del gendarmi vaticani.
Mentre le macchine rimanevano ferme dov’erano e gli sportelli venivano richiusi.
(Niente auto, al Pontefice piace andare a piedi)
Nei primi quattro giorni del suo pontificato, Papa Francesco ha sottolineato in ogni modo il suo ruolo di vescovo di Roma: ha voluto accanto a sé il cardinale Vicario Agostino Vallini al momento del primo affaccio dalla Loggia di San Pietro; ha celebrato la sua prima messa pubblica fuori dalla Sistina nella parrocchia vaticana di Sant’Anna; nel suo primo Angelus si è espresso soltanto in italiano.
C’è da prevedere che il nuovo Papa intensifichi le uscite romane, le visite alle parrocchie, alle mense dei poveri. E a questa normalità di rapporto con la città dovrà adeguarsi il pur necessario apparato di sicurezza.
Il 17 ottobre 1978, il giorno dopo l’elezione, a sorpresa Giovanni Paolo II si recò al Policlinico Gemelli per visitare l’amico vescovo polacco Andrej Deskur. Francesco il giorno dopo l’elezione ha visitato Santa Maria Maggiore (chiedendo ai gendarmi di essere discreti) ed è passato alla casa del clero di via della Scrofa per pagare il conto e ritirare la valigia.
Il giorno successivo si è recato a far visita all’amico cardinale Jorge Mejia, colpito da infarto e ricoverato in una clinica sull’Aurelia.
Chi conosce il Papa, dice che siamo soltanto all’inizio. Sarà davvero difficile «ingabbiarlo» nel nome della sicurezza.
Cosa c’è dunque da aspettarsi da un Papa…ops vescovo di Roma, che continua a fare la fila al self service per la prima colazione nella Casa Santa Marta e si siede dove trova posto? Tutti lo osservano in Vaticano, si interrogano e vivono «sospesi…oltre che sospettosi».
Intanto, in attesa di possibili future riforme, nella Curia romana e in chi gravita in Vaticano si è innescata l’«autoriforma».
Il Papa non usa l’ammiraglia di un autoparco con berline di lusso? Diversi di coloro che erano abituati ad usarle cominciano a chiedersi come possono continuare a farlo. Alcuni uomini collegati alle istituzioni finanziarie vaticane vivono come sospesi: «Il nuovo Papa non è italiano, non è europeo, non conosce gli equilibri... L’Italia potrebbe diventare un Paese come un altro». Una preoccupazione particolare serpeggia nel Torrione di Nicolò V, la sede dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione. Si sono spesi centinaia di migliaia di euro soltanto per fare una ricerca di mercato e individuare il presidente della «banca vaticana».
E chi è abituato a usare grandi macchine di rappresentanza dell’autoparco vaticano per farsi venire a prendere o riaccompagnare comincia a pensare sia molto meglio prendere il taxi.
Meglio non rischiare. Il Papa abituato a usare il pullmino con i «fratelli cardinali» e a regolare di persona il conto in sospeso dell’albergo, potrebbe affacciarsi alla finestra e vedere che attorno a lui c’è chi non ha capito l’antifona e non ne segue l’esempio.
E l’«autoriforma» potrebbe non riguardare soltanto la Santa Sede, il Vaticano, lo stile della Curia, ma estendersi anche nelle diocesi.
Ed intanto si apprende che anche l’anello di Francesco sarà “argentino”.
Solitamente, l’anello del pescatore è in oro, ma questa volta il nuovo Pontefice ha deciso di averne uno fatto di argento.
Pare infatti che Papa Francesco non ha voluto che l'Anello del Pescatore che porterà nel suo Pontificato sia d'oro.
Sarà semplicemente d'argento dorato e riporterà l'immagine di San Pietro con le chiavi disegnata da Enrico Manfrini.
Questa mattina, Padre Lombardi ha spiegato che il modello dell'anello era stato dato da Manfrini al segretario di Paolo VI, mons. Macchi.
In questi giorni è stato proposto al papa dal maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, mons. Guido Marini, insieme con altri due modelli.
Il Papa ha scelto quello dell'artista scomparso a 87 anni nel 2004 a Milano, conosciuta anche come «lo scultore dei papi».
Nell'anello c'è l'immagine di San Pietro con le chiavi.
''Il modello - ha concluso Lombardi - e' stato presentato al papa dal maestro delle cerimonie e verrà consegnato dal cardinale Decano, Angelo Sodano''.
''Il Papa Francesco ha deciso di mantenere lo stemma e il motto di quando era arcivescovo di Buenos Aires''.
Lo ha detto il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi durante il briefing con la stampa.
Nei tratti, essenziali, Papa Francesco ha deciso di conservare lo stemma scelto fin dalla sua consacrazione a vescovo e caratterizzato da una lineare semplicità.
Lo scudo blu è sormontato dai simboli della dignità pontificia, uguali a quelli voluti dal predecessore Benedetto XVI (mitra collocata tra chiavi decussate d’oro e d’argento, rilegate da un cordone rosso).
In alto, campeggia l’emblema dell’ordine di provenienza del Papa, la Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, monogramma di Cristo.
La lettera H è sormontata da una croce; in punta, i tre chiodi in nero. In basso, si trovano la stella e il fiore di nardo.
La stella, secondo l’antica tradizione araldica, simboleggia la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa; mentre il fiore di nardo indica San Giuseppe, patrono della Chiesa universale.
Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. Ponendo nel suo scudo tali immagini, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe.
Quanto al motto, quello del Santo Padre è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote (Om. 21; CCL 122, 149-151), il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: «Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me» («Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: seguimi»).
(Andrea Tornielli)
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