Creato da Il_casellante il 24/01/2008
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FONDI DI CAFFE'

Post n°42 pubblicato il 24 Aprile 2008 da Il_casellante
 
Foto di Il_casellante

L’ingegnere Fausto Gresini non dorme tranquillo. Dietro le lenti massicce, le sue pupille  sprofondano nelle  occhiaie. Rimesta un residuo di zucchero in fondo alla tazzina del caffè, roteando il cucchiaino come la pala paziente di un’impastatrice meccanica, che gira dentro la sua testa. Soprattutto di notte. L’ingegnere si arrotola nelle lenzuola senza trovare la posizione di quiete, ragionando pensieri ininterrotti. La faccia smunta con cui giunge la mattina in azienda tradisce il suo travaglio notturno. Presto l’ingegner Gresini compirà cinquant’anni. In ufficio abbiamo già raccolto le quote per il regalo: cinquanta euro pro capite bastano a comprargli, in dodici, una penna Montblanc. Cosa si regala ad un  dirigente aziendale che varca la soglia del mezzo secolo?  La Montblanc è perfetta. Tutti gli regalerebbero una Montblanc; tutti, probabilmente, gliela regaleranno: anche i nostri colleghi della Logistica. I regali scontati sono un segno inequivocabile del ruolo che ciascuno riveste nel complicato groviglio delle relazioni umane. Aiutano molto a semplificare. Un peluche, per esempio, esprime una richiesta di affetto in forma infantile, attraverso il gioco e  le coccole. Ad un dirigente non si regalano orsacchiotti di pezza. Una relazione professionale si esprime ad un livello più distaccato. La scatola di cioccolatini, però, è troppo misera. Nella boutique del cacao, in via San Romano, se ne vendono  di costosissime. Comunque l’idea resta povera in sé. I cioccolatini si regalano a chi poco ci interessa. Ad un dirigente, invece, bisogna far percepire che, nel suo ruolo, lui è una persona importante. Non serve lambiccarsi alla ricerca di  idee originali. Una classica Montblanc, con la stellina bianca sul tappo. Sobria, costosa, e stereotipata. Altamente rassicurante. Se i dipendenti  vi regalano la Montblanc, sedete certamente su una poltrona comoda, probabilmente fumate il sigaro, qualche volta giocate a golf. L’ingegnere Fausto Gresini. Che problemi ha? Dorme pochissimo. Lo incrocio stamattina all’ingresso. Mentre saliamo in ascensore, muti come due uomini soli, io mi osservo i piedi e l’ingegnere si manipola il viso, voltato verso lo specchio. Sulle guance e sotto il mento, massaggia tra le dita lembi flosci di pelle. Quindi sgrana le palpebre  e si avvicina al vetro, premendoci contro il naso. Osserva da vicino le venuzze  viola che serpeggiano dentro i suoi occhi. Sbadiglia molte volte. Poi una piccola scossa ci fa sussultare.  L’ascensore si ferma al terzo  piano. Le porte si aprono con simmetria elegante. Alle otto e quaranta del ventitrè aprile, davanti a noi si spalanca il corridoio grigio. Aspetto che l’ingegnere esca dall’ascensore per primo. E’ buona maniera concedere la precedenza agli anziani. Aspetta anche l’ingegnere. Forse non si è accorto che siamo al capolinea. Per avvertirlo dico: “Eccoci qua”,  sorrido, mi gratto un orecchio, fingo di tossire. Infine decido di uscire io per primo. Proprio allora l’ingegnere schiaccia il pulsante del piano terra, le porte si richiudono, e noi torniamo giù.

-         Stiamo scendendo?

-         Andiamo al bar.

-         Io avrei già timbrato.

-         Io  ho assolutamente bisogno di un caffè.

-         Problemi?

-         No.

Un’estemporanea pausa al bar, durante l’orario di servizio. Bene per l’ingegnere, bene per me che l’accompagno. Siamo entrambi stipendiati dall’azienda. Guadagniamo il necessario per sentirci al riparo. Soprattutto l’ingegnere non deve  contare gli spiccioli. Arriva tranquillamente a fine mese. Con una moglie più giovane di dieci anni, e due bambini capricciosi, ne ha a sufficienza per pagare a lei una domestica filippina, e ai figli  un weekend all’anno a Euro Disney. Non abbiamo molto da dirci, io e l’ingegnere. Sappiamo di appartenere alla stessa razza, su gradini diversi. Siamo persone che osservano molto e parlano malvolentieri. Non c’è diffidenza tra noi, ma l’inspiegabile consapevolezza di essere estranei al sistema nella stessa misura in cui siamo disinteressati l’uno all’altro. L’assenza di affetto tra noi è il valore più prezioso della nostra relazione: il solo spazio in cui, forse, entrambi ci sentiamo autenticamente liberi di non amare il prossimo nostro per partito preso. Sarebbero discorsi formali e superflui. Di cosa potremmo parlare, io e l’ingegnere, appoggiando il gomito al bancone del bar?  Potremmo discutere di affari, politica, donne e fantacalcio. Potremmo persino  trovare, nella forma del discorso, una modalità specifica di relazione: un dirigente che socializza con un subalterno, due colleghi che analizzano casi, amici, magari, che imparano a conoscersi meglio. Ma l’assenza di comunicazione tra noi è, appunto, il segno che tutto questo non ci interessa. Sappiamo di essere membri dello stesso organismo come due alberi coesistono nella foresta, collegati dal medesimo equilibrio ecologico, eppure chiaramente separati, ciascuno con le proprie radici, il proprio tronco, e i rami che non si intrecciano. Tifare per squadre o partiti opposti, nutrire del mondo opinioni divergenti, oppure condividere la medesima forma di attrazione sessuale per le donne esotiche, il grado di opposizione o complementarietà tra me e l’ingegnere non basterebbe a fare, di noi,  due compari, se anche avessimo il tempo di restare fermi, qui al bar, a raccontarci storie per il resto della vita.  Il presupposto implicito del nostro dialogo muto è che noi non dobbiamo per forza volerci bene.

Cosa angustia le notti dell’ingegnere posso intuirlo da ciò che in azienda si dice d’una sua relazione troppo intima con la cameriera. Federico Valente, dacché gli hanno negato la promozione, diffonde voci maliziose sui dirigenti: chi sarebbe corrotto, chi deviato, chi un sadico pericoloso. Per esempio Federico è certo  che l’ingegnere sia un pervertito perchè ha preso in casa una sguattera filippina, tenera tenera, e adesso, con sua moglie, giocano in tre, alla paziente l’infermiera e il dottore. Ovviamente ginecologo. Rimuovendo dalla notizia l’eccesso di perversione che la fantasia indispettita di Federico vi riversa, resta il fatto che l’ingegnere arriva in azienda ogni giorno più pallido e fiacco, smarrito nell’abisso oscuro delle sue occhiaie. Non dorme. Problemi concreti, se anche ne avesse, non gli ruberebbero il sonno. L’ingegnere sa come gestire le situazioni concrete.   E’ persona assai ponderata, quando i pesi sono esprimibili attraversò unità di misura alfanumeriche. Per esempio i prospetti aziendali che l’ingegnere redice periodicamente sono documenti programmatici sempre chiari e stringati. Anche quando tutte le congiunture economiche e gli indici di borsa lasciano presagire nubi sparse e piovazzi, l’ingegnere sa come muoversi. Obiettivo A1: ridurre il numero dei concessionari. Obiettivo A2: istituire, in ogni area di mercato, uno o, al massimo, due distributori autorizzati, ai quali delegare il controllo locale della rete di vendita. B1: corso psico-motivazionale obbligatorio per tutti i dipendenti; B2: qualche licenziamento. Sono sicuro che l’ingegnere saprebbe gestire altrettanto bene un’amante. Le relazioni extraconiugali richiedono ottime capacità organizzative, che all’ingegnere non mancano. Se poi la moglie fosse addirittura partecipe e consenziente, ancor più ragioni ci sarebbero, per l’ingegnere, di dormir tranquillo. Ciò che davvero gli strappa il sonno di dosso deve essere un incidente non catalogabile secondo l’analisi logica del project cycle management: un fattore di rischio non indicizzabile. Annalisa pensa che l’ingegnere sia malato. E’ stato da un medico. Sembra. Pare. Si dice. Forse. Una malattia grave. Invece Arnaldo crede alla storia di Federico: l’ingegnere dorme poco perché ama molto. Beato lui. Io l’ho incrociato stamattina in ascensore. Aveva una faccia sfinita. Non da uomo maschio che si diverte. Però egualmente m’è parso di riconoscere, nel suo stanco sembiante, un sottofondo di buona salute: quel grado di complessiva tonicità dell’organismo che distingue una persona insonne  da un moribondo. Del resto la malattia è, a suo modo, un evento prevedibile e governabile. Anche la più grave. Io e l’ingegnere siamo creature mortali e, all’evenienza, sapremo vivere fino in fondo, senza concedere alla vita speranze illusorie, né alla morte il tributo anticipato della rassegnazione. Appaiati davanti al bancone di un bar, mentre beviamo in silenzio un caffè, ciò che solo può avere adesso la forza di sorprenderci, fino a minacciare la nostra tranquillità, dev’essere un segreto inconfessabile, che l’ingegnere non vuol raccontarmi e io non voglio sapere. Un segreto che non esiste. In fondo a una tazzina di ceramica, dentro un residuo di zucchero che l’ingegnere rimesta col cucchiaino, il difetto di una vita regolare e tranquilla, ben pianificata, è che, dopo cinquant’anni, gira e rigira, diventa irreale. Nessun dirigente d’azienda, quotato e garantito, con una moglie ancora soda, due figli paffuti, e forse un’amante esotica tenera tenera, seduto nella sua comoda poltrona, fumando il sigaro mentre lucida le mazze da golf, prevede mai il rischio impazzire.        

 
 
 
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