Creato da regina_crimilde il 25/10/2005

C'era una volta...

le fiabe sono solo dei ricordi d'infanzia o non sono piuttosto un codice da interpretare? Andiamo alla ricerca dei valori, dei miti, della storia profonda dell'umanità e dell'io che trasmettono.

 

 

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La capanna nel bosco - La porta dell'Ade

Post n°30 pubblicato il 22 Dicembre 2005 da regina_crimilde
 
Foto di regina_crimilde

Nella raccolta di Afanasjev, "Antiche fiabe russe", una delle più vicine al modello originario dell'antichissima fiaba popolare di tipo orale, spesso ci imbattiamo nell' "isba dalle zampe di gallina", dimora della baba-jaga, la strega della tradizione popolare russa.

Questa capanna non solo presenta la stranezza di poggiare su "zampe di gallina", ma anche quella di ruotare intorno al suo asse, operazione che compie ogni qualvolta il protagonista della storia formula una richiesta in tal senso. Perché questa capanna, o "isba" presenta queste stranezze di costituzione e di comportamento? Perché ha le zampe di gallina? E perché deve ruotare su se stessa per fare entrare l'eroe? Perché in queste fiabe in cui l'eroe chiede di entrare, e l'ingresso è dalla parte opposta, egli non può aggirare la capanna ed entrare da quell'altra parte?

Evidentemente perché questo non si può fare, perché la capanna, che si trova in mezzo alla foresta, è situata su una frontiera, che egli non può assolutamente varcare. La può solo attraversare mediante e attraverso la capanna, che per consentirgli il passo deve rigirarsi verso di lui. Ma se c'è una frontiera, di quale frontiera si tratta?

Leggiamo a questo proposito Vladimir Propp che in "Radici storiche dei racconti di fate", riferendo dei riti di iniziazione presso le antichissime società, così si esprime: "Si riteneva che durante il rito il fanciullo morisse e che quindi risuscitasse come un uomo nuovo. E' questa la cosiddetta morte temporanea. La morte e la risurrezione erano provocate da atti raffiguranti l'inghiottimento e il divoramento del fanciullo ad opera di animali favolosi. Si immaginava che egli venisse inghiottito da questo animale e, dopo aver trascorso qualch tempo nello stomaco del mostro, ritornasse alla luce, vale a dire fosse sputato fuori o vomitato. Per la celebrazione di tale rito si costruivano talvolta apposite case o capanne aventi la forma d'un animale, le cui fauci erano rappresentate dalla porta... Il rito si celebrava sempre nel folto della foresta o della boscaglia".

L'isba dalle zampe di gallina delle fiabe russe altro non sarebbe che la proiezione fantastica ed il residuo fiabistico del ricordo rimosso della capanna dei riti di iniziazione che rappresentava l'ingresso al mondo dei morti. La stessa foresta in cui essa sorge rifletterebbe, da un lato il topos fisico dove si celebrava il rito e, dall'altro, il topos metaforico dell'ingresso al regno dei morti.

D'altronde, non solo una gran mole di materiali etnografici e antropologici dimostra che nelle civiltà dei cacciatori la foresta circonda sempre l'altro mondo come una barriera protettiva, così come attesta che la strada per il mondo dei morti passa attraverso la foresta, ma anche i documenti letterari, epici mitologici e leggendari dell'antichità classica documentano le medesime cose.

Sempre in Propp leggiamo: "La maggior parte degli ingressi al mondo sotterraneo erano circondati da un'impenetrabile foresta vergine: nei poemi dell'antichità classica, per esempio, questa foresta era un elemento costante nella rappresentazione ideale dell'ingresso dell' Ade".

La porta rischiosa, poi, che introduce agli Inferi (quella porta che, per esempio, nell'antichissimo poema sumerico dedicato all'eroe Gilgamesh ferisce la mano di Enkidu, che vuole penetrarla) è la stessa che incontriamo tanto nella tradizione popolare quanto in quella classica. In una fiaba italiana, Prezzemolina, la porta che conduce alla dimora della Fata Morgana (fata cattiva che mangia le bambine) è rappresentata come una porta pericolosissima che, solo se opportunamente unta, si lascerà attraversare.

Propp, ancora, ricordando da un lato "le porte che sbattono e talora imprigionano il calcagno dell'eroe, le porte coi denti, le porte che mordono, e, dall'altro anche i monti semoventi che minacciano di schiacciare il nuovo venuto", non manca di rilevare l'analogia che, a questo proposito, si evidenzia tra le fiabe e le storie mitologiche ed epiche del tipo degli Argonauti.

(Alfonso Cardamone, La connessione rito-mito-fiaba-epos)


Il concetto si trasmette anche nei tempi più moderni: Dante si perde in una selva oscura e spesso nei mosaici e negli affreschi medievali, l'inferno è rappresentato come una grande bocca che inghiotte i dannati.

 
 
 
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