C'era una volta...
le fiabe sono solo dei ricordi d'infanzia o non sono piuttosto un codice da interpretare? Andiamo alla ricerca dei valori, dei miti, della storia profonda dell'umanità e dell'io che trasmettono.
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Ancora una madre-matrigna.
Che però è matrigna alla sua stessa prole.
Medea rappresenta una figura titanica e universale, un esempio tenebroso della perversione a cui può condurre la sconfitta della ragione. Ferita dall'abbandono del marito, consuma la sua vendetta diventando l'assassina dei figli, incarnando la devastazione della passione che stravolge persino l'istinto materno.
Ma ancora una volta nel mito si rappresenta una realtà troppo terribile per essere detta.
E così Medea è raccontata come una maga portatrice di oscuri poteri e adoratrice di déi inferi. Solo un demone estraneo agli déi olimpici può essere all'origine di tanta efferatezza.
Medea è straniera. Estranea alla compagne sociale, non condivide gli stessi valori del civilissimo mondo greco che si fonda sull'ordine e la razionalità del pensiero.
Medea non accetta il potere costituito, è un pericolo per la sopravvivenza della monarchia di Corinto. E' già stata omicida dei suoi parenti, in patria, trasmette un'eredità di sangue.
Così Euripide, Seneca, anche la moderna versione data da Christa Wolff, cercano di narrare l'archetipo orribile, di spiegarlo come estraneo e aberrante; oppure di assolverlo, sotto il manto di un complotto politico.
Ma Medea è ancora qui. Medea ancora si erge, tragica e grondante tragedia: un'anima persa che muove a compassione, oltre che ad orrore.
Che chiede ella stessa il perché dei movimenti dell'animo che la squassano; che ama i figli teneramente e mentre li blandisce, li immola sull'altare delle proprie innominate e oscure pulsioni.
Personaggio orribile, ma anche fonte di pena ancestrale. Per cui non c'è punizione o catarsi.
Euripide deve risolvere la sua uscita di scena come un'ablazione, una sparizione sovrannuturale: rapita su un carro tirato da draghi mostruosi, portando con sé i corpi dei figli uccisi. Troppo amati per essere lasciati al padre indegno, alla città estranea.
Simbolo di pazzia, forse. Di un altro carcere eterno, a cui non può sfuggire perché i demoni sono dentro di lei.
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Il dossier di questo numero è dedicato a "Fiabe di ieri e di oggi".
C'è anche un articolo di Regina Crimilde sulla figura della madre: UNA MADRE DA FAVOLA
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