Creato da regina_crimilde il 25/10/2005

C'era una volta...

le fiabe sono solo dei ricordi d'infanzia o non sono piuttosto un codice da interpretare? Andiamo alla ricerca dei valori, dei miti, della storia profonda dell'umanità e dell'io che trasmettono.

 

 

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La fiaba come ambivalenza

Post n°45 pubblicato il 09 Febbraio 2006 da regina_crimilde
 

La natura fantastica della fiaba aveva fatto pensare che dovesse sfuggire ad ogni possibilità di inquadramento in un campo, con una propria strutturazione. Una sorta di pianeta pre-logico e quindi non organizzato, primitivo e per questo anche inferiore.

Insieme al mito e alla magia, le fiabe erano state confinate, dall'Ottocento positivista, nel regno dell'irrazionale. Il regno dei primitivi, dei selvaggi e dei bambini, irriducibile ai paradigmi della conoscenza razionale e, per questo, privo di significato per la storia dell'uomo.

Dobbiamo allo strutturalismo, in particolare a Vladimir Jaklolevic Propp, autore di Morfologia della fiaba, se abbiamo potuto ritrovare nella fiaba quei significati che l'hanno tolta dal limbo dell'insignificante per la storia della coscienza, aprendoci una finestra sull'immaginario e le sue leggi.

Propp ha descritto la fiaba come una particolare espressione del fantastico che, al pari del linguaggio, si caratterizza per un sistema normativo che impone precise regole.

La fiaba è un Giano bifronte. E, come per il dio romano, deve la sua capacità di fascino ad un elemento fondamentale: l'ambiguità.

È il mondo delle fate, ma anche del lupo mannaro, di Pollicino ma anche dell'orco, di Biancaneve ma anche della strega. Nella dimensione del fantastico, il cattivo, il demone è una presenza reale, un protagonista che attira e spaventa.

La fiaba deve il suo successo al coinvolgimento emotivo suscitato dalla corda del primordiale dipolo «buono-cattivo», «bene-male».

Obbedendo alla «legge della partecipazione», poi, il racconto fantastico tende a stabilire delle connessioni emozionali tra l'ascoltatore e i protagonisti, o meglio con le funzioni che essi rappresentano. Questa connessione scatta, nello stesso tempo, tanto con il buono quanto con il malvagio. E il bambino che ascolta Cappuccetto Rosso vive la fiaba nella contemporanea partecipazione emotiva tanto con l'ingenua protagonista quanto con il lupo.

Nell'ambiguità e nell'elemento magico dell'istantaneo cambiamento dei ruoli, della metamorfosi, sta la grande capacità di fascinazione della fiaba.

Mano a mano che la narrazione si svolge il bambino è Cappuccetto Rosso, è il lupo, è Pollicino ma anche l'orco che lo tiene prigioniero.

Nella fiaba, dunque, è importante la funzione dei personaggi, il loro ruolo nel racconto, cioè «che cosa fanno», al punto che è possibile trasferire i personaggi di un racconto in un altro senza necessità di mutamenti. Il numero delle funzioni nella fiaba è limitato: Propp ne individua trentuno. E su questa intelaiatura si può dare vita ad un numero illimitato di fiabe.


(Vittorino Andreoli)

 
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