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un'immagine sbiadita da un finestrino

Post n°112 pubblicato il 23 Aprile 2008 da scilla5
 

questo racconto è stato premiato da ben tre premi letterari:leggetelo. Vi assicuro che non è tempo perso

Abito in una cittadina sul mare. Ho trent’anni e sono grassa.

Da sempre.

La classica donna additata e schernita dai sorrisetti cattivi e malvagi degli altri.

La mia casa è al centro del paese. Affaccia di fronte la stazione.

Negli ultimi tempi non mi faccio vedere neanche più al balconcino.

I fiori che curavo con tanta passione, oramai, sono rinsecchiti. Proprio come

me.

L’unico suono che aspetto ogni giorno è il fischio del treno.

Da adolescente correvo alla finestra a guardare i viaggiatori uscire dalla

stazione.

La ragazza con le cuffiette, il signore con il passo veloce, i gruppi di scolari con

il loro vocio allegro. Restavo delle ore ad immaginare dove andassero, e

fantasticavo sulle loro vite.

Non ho mai preso un treno. Ci pensate? Una mongolfiera in un vagone di un

treno?

Se lungo il tragitto avessi avuto bisogno del bagno?

Se non fossi riuscita a depositare la valigia nell’apposito vano?

Il mio corpo mi ha condizionato anche nelle scelte. Non ho mai avuto un amore.

Lavoro in casa, faccio traduzioni. Non ho grandi amici, solo conoscenti. Non ho

un trolley.

L’unico sogno che ho sempre avuto è quello di prendere un treno, che mi

allontanasse da quel posto e da tutte le mie paure. Un luogo dove nessuno mi

conoscesse e dove, confusa tra gli altri, nessuno mi notasse! Un’immagine

sbiadita in un finestrino.

La sera mi addormentavo con il buon proposito di partire. La mattina però il

rumore delle rotaie mi faceva desistere.

Un’altalena costante.

Un giorno per caso, intorno alle 15.00 quando la piazza della stazione è di solito

deserta ed il paese sembra fermarsi, davo da mangiare ad Oreste, il mio

canarino quando volsi lo sguardo verso un tale che sventolava un cappello per

attirare la mia attenzione.

Mentre lo guardavo avvicinasi, per la prima volta da quando esisto, non mi

preoccupai del mio aspetto fisico.

“Scusi Signorina, mi sa dire dove posso trovare un albergo?”

“Se svolta l’angolo trova la Casina della Stazione”.

“Grazie mille”, prese la valigia e sorprendentemente rialzò lo sguardo e sorrise.

Chissà da dove veniva e chissà cosa facesse in paese.

Il giorno dopo lo rincontrai. Sedeva al tavolino di un bar e vedendomi arrivare si

alzò.

Il cuore prese a battere convulsamente.

“Salve, la ringrazio ancora per ieri, posso presentarmi? Fabrizio Visconti”, disse

tendendomi la mano.

Guardai quel gesto ed istintivamente infilai le mani nelle tasche.

“Aurora Alisti”, risposi.

“Posso offrirle qualcosa?”

“No grazie. Arrivederci”, e mi voltai proseguendo.

“Un arrivederci non è mai un addio”, lo sentii rispondere.

Il mio arrivederci era un modo di dire, ma la sua risposta mi colpi

profondamente.

Come si può voler rivedere una grassa?

Mio malgrado da quel giorno presi a spiare l’ingresso della stazione ben

nascosta dietro le tende. Alle 14.50 lo vedevo uscire con la sua borsa logora.

Seppi di lui che era il maestro elementare della scuola del paese vicino.

Abitava in città ed aveva preso in affitto la casa della Signora Elvira!

In quell’anno lo incontrai spesso.

Ogni volta ci fermavamo a chiacchierare sempre più a lungo. Fabrizio non

aveva mai fatto cenno al mio aspetto fisico. Sembrava guardarmi dentro e non

fuori.

Un paio di sere eravamo andati al molo a passeggiare.

Non m’illudevo. Le ragazze grasse non hanno questo privilegio.

Prima o poi tutto finirà”.

Era questo il pensiero che mi accompagnava.

Alla fine di giugno mi annunciò che partiva. Ritornava per le vacanze nella sua

città.

Dai suoi amici. Dalla sua famiglia.

“Vieni con me, Aurora” mi disse il giorno prima.

Quella notte non dormii. Il treno partiva alle 11.00.

Cosa mi costava partire? Perché mi precludevo ogni cosa?

Volevo con tutta me stessa salire su quel treno.

Intorno alle 10.00 Fabrizio, si diresse alla stazione. Si voltò a salutarmi.

“Arrivederci Aurora” mi gridò dalla piazza.

Ripensai a quella frase; “un arrivederci non è un addio”.

Una donna grassa può fare una follia.

Presi quel treno.

by romidgl

 
 
 
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