Can. Giovanni Spano

Post n°29 pubblicato il 03 Giugno 2007 da mossiaddu
 
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Il canonico Giovanni Spano (Ploaghe, 1803 - Cagliari, 1878) è considerato uno dei personaggi più rilevanti della cultura sarda dell’Ottocento.
Nel libro Proverbi sardi ha raccolto le innumerevoli colorite espressioni della vita quotidiana dell’Isola, in molte delle quali si trova riflesso l’intero sistema di riferimenti morali, religiosi e simbolici che stanno a fondamento della cultura sarda.
Ecco alcuni di questi detti che citano specificatamente luoghi, paesi e popolazioni:

A sa moda de Gavoi, moi, po moi.
Alla foggia di Gavoi, moggio per moggio.
Così dicesi nel campidano quando il terreno non dà che la semente
(Il moggio è un recipiente cilindrico, solitamente di sughero, usato come unità di misura)

Su Pianu de Sant’Anna
La pianura di Sant’Anna.
Dicesi d’una cosa lunga, presa la similitudine dalla sterminata pianura di Sant’Anna nel campidano di Oristano. Ora colla ferrovia cesserà il proverbio.

Pisili che is de Isili.
Essere stizzoso, pronto allo sdegno come quelli di Isili. Proverbio che ho inteso da uno dello stesso villaggio d’Isili

Bentu bosanu battid abba.
Il vento bosano porta l’acqua, cioè il ponente libeccio, così detto perché Bosa sta a quel punto col Logudoro.

Quando movit Pittinuri totu bi suni.
Quando muove Pittinuri tutti vi sono. Proverbio meteorologico, cioè quando spira vento, o è brutto il cielo nella regione di Pittinuri, accade tempesta.

Fager comente faghent in Bosa: quando pioet, laxant pioere.
In Italia si ha lo stesso proverbio per Pisa. Fare come fanno a Pisa, lasciar piovere quando piove. Accettare il fato, rassegnarsi.

Destruidu que i sa bidda de Bedas .
Distrutto come il villaggio di Bedas.
Proverbio imprecatorio che trae origine da un villaggio della Diocesi di Ploaghe, distrutto dalle inimicizie degli stessi abitanti

Su gantzu de Ploaghe.
Il gancio di Ploaghe.
Questo proverbio l’ho inteso in Laconi e altrove. Dicesi ad uno quando dimanda una cosa importuna, ed ignorasi l’origine. Forse sarà nome proprio.

Sos consizeris de Bosa.
I consiglieri di Bosa.
D
icesi quando tanti sono di diversa opinione, né deliberano.

Totu padronos, sa barca bosinca.
Tutti padroni, la barca di Bosa.
Quando in una casa non comanda uno è come la barca senza pilota.

 
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Capo di sopra Vs Capo di sotto

Post n°28 pubblicato il 30 Maggio 2007 da mossiaddu
 
Foto di mossiaddu

In Sardegna nessuna rivalità è così accentuata quanto quella esistente tra le 2 maggiori città dell’isola: Cagliari e Sassari. Il confronto coinvolge un po’ tutti i campi. In primo luogo quello politico, causato dal fatto che Cagliari approfitterebbe della sua posizione di capoluogo sardo per  convogliare a  sé tutte le risorse possibili a discapito delle altre città e, in particolare, di Sassari. 

Dal divertente blog www.sassareserie.blogspot.com segnalatomi dall’amica CapJaneway:

[…] Quante volte vi è capitato di sentire da qualsiasi parte “Per questo bisogna rivolgersi a Cagliari", quante volte siete andati alla fiera di Cagliari e sulla 131 di colpo non ci sono più buche e avvallamenti e ci sono i ponti appositi per l'inversione del senso di marcia per andare da CFadda?? Hai appena letto "Cagliari" su un cartello. […]  

Altri argomenti  di disputa riguardano la cultura, le Università (per la quale SS rivendica il primato, sia di longevità che di qualità), lo sport per cui una semplice gara amichevole tra il Cagliari e la Torres può diventare terreno di battaglia e così via.

Sassari ironizza principalmente sulla vicinanza in linea d’aria di Cagliari (o in genere tutto il capo di sotto) con l’Africa, e sul fatto che il capoluogo abbia subìto in passato le inevitabili scorrerie delle invasioni moresche, ereditandone anche i tratti somatici (lineamenti, carnagione più scura) e usanze. 

Casteddaius Maurreddinus o Maùrrus
(Cagliaritani mauritani) 

Son diffuse anche una serie di battute del genere:

“I cagliaritani son difficili da offendere perché bisogna saper parlare l’arabo”
"Vieni da Cagliari e dici che sei sardo? O vieni dalla Sardegna o vieni da Cagliari!!!"

E’ da notare che, a parte i sassaresi, gli altri sardi definiscono “Maurreddini” i sulcitani (peraltro in modo non dispregiativo), che sono quelli che storicamente hanno subìto maggiormente le influenze degli invasori arabi nei secoli passati, e la riprova è l’esistenza della tradizione del “Matrimonio Mauritano” di Santadi.

In compenso i sassaresi subiscono diversi epiteti, i più famosi dei quali sono:
magna-cauri” (mangia cavoli) e “impiccababbus” (impicca-padri).

Il primo ha forse qualche riferimento in qualche pietanza tipica a base di cavolo o cavolfiore, anche se non risulta chiaro. Sul secondo detto, invece, esistono diverse versioni.

La più antica racconta che, ai tempi, sull’Isola nessun uomo volesse lavorare come boia. Due contadini sassaresi, padre e figlio, vennero arrestati e imprigionati in base a un’accusa pretestuosa, ed entrambi condannati a morire di fame e di sete. Furono gettati in due pozzi all’interno del carcere vecchio, antecedente a quello attuale di S. Sebastiano, e venne offerta loro la possibilità di avere salva  la vita, a patto che uno di loro fosse disposto a giustiziare l’altro. Così il figlio, vinto dalla disperazione e dalle insistenze del padre, accettò l’incarico e impiccò quest’ultimo, il quale si sacrificò affinchè il primo vivesse.
E fu così che la Sardegna ebbe il suo primo boia e i sassaresi il loro soprannome.

Altra versione (alquanto sospetta!) racconta di alcuni abitanti di Sorso (altro nemico storico) che furono sorpresi nell’atto di rubare il simbolo della città di Sassari, ovvero la fontana di Rosello. Catturati dai sassaresi, furono condannati a morte e tenuti nascosti ed incappucciati, in attesa dell’impiccagione.
Altri abitanti di Sorso vennero loro in soccorso la notte prima dell’esecuzione, liberandoli e sostituendoli con i genitori di coloro i quali avrebbero proceduto all'impiccagione, contando sul fatto che il cappuccio non avrebbe reso possibile l'identificazione. Al momento dell'esecuzione quindi i sassaresi impiccarono i loro stessi padri.

Una terza versione piuttosto laconica racconta che, secoli fa, un sassarese a cui dissero che lo stato assegnava sovvenzioni e terreni a chi avesse dimostrato la morte del proprio padre, cosa che di fatto non era vera, avrebbe impiccato il proprio genitore.

Un altro detto particolare è quello di “tataresu tira-Roseddu”, una frase che serve ad indicare chi commette un gesto insulso. La fontana di Monte Rosello (Monte Roseddu o semplicemente Roseddu) e una fontana  monumentale a cui anticamente i sassaresi attingevano l'acqua ed è posta fuori dalle mura storiche della città. Si racconta che un gruppo di Sassaresi, ubriachi fradici, una sera l’avessero cinta di corde per tentare di spostarla all'interno delle mura per paura che i rivali di Sorso la potessero rubare. Dato che la fontana è  interamente in pietra, non si mosse malgrado gli sforzi, tuttavia l'episodio divenne proverbiale.

Un ultimo epiteto dice “tataresu barrimannu” (sassarese musogrosso), che vuole sottolineare la loro presunta testardaggine.

La lontananza di Sassari con Cagliari ha, probabilmente, indotto i sassaresi a cercarsi dei rivali più a portata di mano (forse per tenersi allenati). A farne le spese è il vicino paese di Sorso, ai cui abitanti viene affibbiata una certa dose di pazzia.

"E gosa v'hai chi sei maccu? Ni sei faraddu a Sossu a bi l'eba di la Billellera?"
(E cos’hai per essere ammattito? Sei sceso a Sorso a vedere l’acqua della Billellera?)

La billellera è una fontana del paese dove sgorga dell’acqua che avrebbe la proprietà di rendere pazzo colui che se ne disseta (ovvero il sorsese stesso).

D
al sito www.labillellera.it:
“Il nome della fontana, assurta a simbolo del cosiddetto macchini dei sorsensi, deriva dall’elleboro, pianta velenosa un tempo utilizzata nella cura dell’epilessia e della pazzia; nella tradizione locale le proprietà terapeutiche della pianta passarono all’acqua, ma rovesciate, cosi che bevendola i sussinchi  ammattivano anziché rinsavire. “

[…] I sussinchi quando perdevano contro la Torres rompevano tutte le macchine targate Sassari, anche le loro… […] 

Altra usanza dei sassaresi è quella di raccontare le barzellette in cui il protagonista in negativo è un sorsese (come le barzellette dei carabinieri da altre parti).

A sua volta, Sorso annovera tra i  rivali anche il paese vicino di Sénnori. A tal riguardo circolano diverse storielle ironiche.

A Sénnori son noti per le attività dei numerosi commercianti, per cui un  detto racconta che il primo uomo che ha messo piede sulla luna, vi ha trovato dei sennoresi che  vendevano scope (come già descritto per Milis e i venditori di arance)

In occasione della festa paesana, a Sorso si farebbero i fuochi artificiali… di giorno, per impedire che i vicini sénnoresi li vedano a sbafo.

Nella rivalità generale dei paesi della zona viene coinvolta anche Porto Torres i cui abitanti vengono definiti "Sorsesi di Scoglio".

 
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Update

Post n°27 pubblicato il 28 Maggio 2007 da mossiaddu
 
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Capita spesso che uno stesso detto possa essere ricordato in maniera diversa, da persona a persona, o da paese a paese.
Ecco un aggiornamento su modi di dire già visti precedentemente:


Zeddiani, Zeddiani,
sa 'idda 'e pagu pani
sa 'idda 'e pagu binu
Zeddiani famìu

Zeddiani, Zeddiani,
il paese con poco pane
il paese con poco vino
Zeddiani affamato

Masuddasa, sa idda de is cabonisi cu is puddasa
(Masullas
, il paese dei galli con le galline)

Una curiosità: a Masullas lo stemma della società sportiva ha come simbolo galli e galline.

Seddoresu papat fa’
Ogh’ ‘e pibara
Facc’ ‘e arra'

Sanlurese mangia fave
Occhio di vipera
Faccia di rana

E per completare:

Si racconta che, una volta, a Sanluri, marito e moglie assieme al proprio figlioletto si dedicarono al loro passatempo preferito: sbucciare le fave. Sbucciarono, sbucciarono e quando ebbero finito videro che il bambino era sparito.
Lo chiamarono ma egli non rispose.
Lo cercarono dappertutto: in strada, nel pollaio, dai vicini. Ma del bambino nessuna traccia. Solo dopo una mezz'ora ebbero l'intuizione e lo trovarono addormentato, sepolto dalla buccia delle fave.

 
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Ruba Santi II

Post n°26 pubblicato il 27 Maggio 2007 da mossiaddu
 
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A Scano Montiferro, sorge una chiesa campestre dedicata a Sant'Antioco, che dà il nome alla località. Gli scanesi sono piuttosto devoti al Santo, tanto da dedicargli due feste all’anno in compagnia di altri fedeli dei paesi vicini quali Sàgama e Sindìa. Si racconta che questi ultimi, una volta, tentarono di portar via il simulacro del santo, ma il carro a buoi che lo trasportava finì impantanato. Perciò gli scanesi li canzonarono in questo modo:

 Avvelenados sezis chei s’alza, 
 brusiaos cherizis in su fogu:
furadu boche aizis a Sant’Antiogu
e lassadu l’azis in Giuncalza

"Siete velenosi come la tarantola,
dovreste essere bruciati nel fuoco:
avevate rubato Sant’Antioco
ma avete dovuto lasciarlo nella Giuncaia"

 
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Lavoratori o bevitori ?

Post n°25 pubblicato il 25 Maggio 2007 da mossiaddu
 
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Gli abitanti di Silì, una frazione oristanese, venivano definiti

“sibiesu pabas’a soi”
(siliese spalle al sole).

Nel recarsi al lavoro ad Oristano, infatti, la mattina percorrevano la strada in direzione est-ovest, mentre la sera in direzione opposta,  avendo comunque il sole sempre alle proprie spalle.
Secondo un’altra intepretazione più maligna, il siliese non si recava in città per lavoro, ma per frequentare i bar della città.

 
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