Creato da cinciarella10 il 13/10/2014

L'ODORE DELLA NOTTE

… la notte, secondo l’ora, cambia odore …

 

 

Poesia del Burundi

Post n°638 pubblicato il 29 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 

 

 
La ruota della morte 
Melchior Ntahonkiriye 
Poeta del Burundi

La ruota della morte gira 
Al di là di Limpopo 
Sono neri come la notte 
I bambini torturati 
Nelle prigioni di Durban 
Ma i loro canti innocenti 
I loro giochi e le loro risa, 
Sono uguali a quelli degli altri, 
Giocano sotto la pioggia, 
Sorridono nel vento, 
Rincorrono farfalle, 
Si addormentano nei campi...... 
Poi una mattina arriva 
La Tigre di Pretoria. 
Piangete madri del mondo 
Quei figli uccisi 
Dietro i chiavistelli di Johannesburg.

Il vento della morte soffia 
nelle miniere di Kimberley 
Godete nazisti del mondo; 
La macchina della morte cigola 
Nei luoghi del Transvaal; 
Tengono la testa bassa 
Quei neri sfruttati 
nella catena del Drakensberg;

E muoiono come cani, 
nel paese dei diamanti, 
Gridate popoli del mondo, 
Assetati di libertà, 
Di giustizia, 
E di pace. 

   

 
 
 

Venerdì. Buon pomeriggio!

Post n°637 pubblicato il 29 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 



 

 
 
 

Buonanotte!

Post n°636 pubblicato il 27 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 



 
 
 

Mettere in atto strategie per la creazione di un nuovo pubblico

Post n°635 pubblicato il 27 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 

 


Le donne, il dolore e il teatro che sorprende. Conversazione con Antonio Latella su «Ti regalo la mia morte, Veronika»

..."Le donne non solo sanno accettare il dolore oltre che sopportarlo, ma sanno dare alla sofferenza un senso"...

«In ultima analisi quello che conta è l'intero corpo dell'opera che ci si lascia dietro quando si scompare. È la totalità dell'oeuvre che deve dire qualcosa di speciale riguardo al tempo in cui è stata realizzata. Altrimenti è inutile». Così scrive Rainer Werner Fassbinder parlando della sua produzione di artista poliedrico e prolifico... Parole quelle di Fassbinder che inquadrano come non mai l'approccio all'autore tedesco di Antonio Latella, se non lo stesso modus operandi e creativo del regista napoletano che mette in scena, Ti regalo la mia morte, Veronika, produzione importante e coraggiosa di Ert, teatro nazionale diretto da Pietro Valenti. «Siamo in apnea - dice Antonio Latella qualche giorno prima del debutto del 7 maggio allo Storchi -. Ma so di avere una squadra da wonder women; penso a Monica Piseddu, Nicole Kehrberger, Candida Nieri, Caterina Carpio, Valentina Acca, a cui si affiancano - e non sono da meno - Annibale Pavone, Fabio Pasquini, Maurizio Rippa, Massimo Arbarello, Sebastiano Di Bella e Fabio Bellitti».

Una produzione importante e corposa...
«Se poi si pensa che si tratta di un lavoro su Fassbinder non posso che esprimere la mia gratitudine a Ert e al suo direttore Pietro Valenti che in questi anni ha saputo fare di Modena una capitale del teatro contemporaneo. Credo che una dimostrazione ulteriore sia anche questo mio Ti regalo la mia morte, Veronika».

Torna ad affrontare Fassbinder dopo l'applaudito Le lacrime amare di Petra von Kant del 2006....
«E' così, ma più ci penso più credo che quello spettacolo ebbe troppo successo per essere uno spettacolo fassbinderiano».

Cosa intende dire?
«Mi chiedo se in quell'occasione non tradii la natura provocatoria che è propria di Fassbinder in ogni sua creazione. Le lacrime amare di Petra von Kant è uno spettacolo che ha avuto un grande successo, che è piaciuto tanto per una sua estetica raffinata, magari anche colta ma che non provocava, non dava possibilità di spiazzamenti. Fassbinder dovrebbe essere affrontato come un classico».

Ovvero?
«Fassbinder è un classico del XX secolo, lo si dovrebbe mettere in scena con lo stesso spirito con cui si affrontano i grandi classici della drammaturgia e del teatro, andando in cerca di ciò che scotta, di ciò che sa spiazzarci, del non detto...».

Ed è questo che intende fare con Ti regalo la mia morte, Veronika?
«Ci tentiamo, tanto che il sottotitolo credo sia esplicativo: 'liberamente ispirato alla poetica del cinema fassbinderiano'».

Non c'è dunque solo il penultimo film di Fassbinder nella sua Veronika?
«L'ultimo film, perché Querelle è altra cosa. Per Veronika sono tornato a pensare alla forza visionaria, magari giovanilistica e provocatrice del mio Querelle, ma Veronika è il film ultimo di Fassbinder. In un certo qual modo lo denuncia lo stesso titolo: Ti regalo la mia morte, Veronika».

In che senso?
«Il titolo può riferirsi a Veronika, una sorta di denuncia di suicidio, ma può anche raccontare di un regalo a Veronika. Il soggetto di quel 'Ti regalo la mia morte' è Fassbinder stesso. Non è un caso che questo film sia considerato il suo testamento, in una scena del film, quando lei è al cinema dietro di Veronika Voss s'intravvede Fassbinder... Più chiaro di così. ».

Ma cosa le interessava di Veronika Voss e degli altri personaggi femminili fassbinderiani?
«Con Veronika Fassbinder alza l'asticella del dolore e della sofferenza ad un punto di non ritorno. Veronika Voss è una attrice sul viale del tramonto, vittima di una dottoressa e infermiera senza scrupoli. Veronika è lo specchio in cui si riflette il regista, l'assunzione di sei grammi di cocaina al giorno è di Veronika e di Fassbinder al tempo stesso, è un viaggio nell'abisso di sé che fa emergere altre figure femminili, altre donne fassbinderiane da Maria de Il matrimonio di Maria Braun, a Margot de Paura senza Paura, da Emma Kuster de Il viaggio in cielo di Emma Kuster a Elvira di Un anno con tredici lune».

Nel cast, a parte Monica Piseddu, ci sono attrici che hanno lavorato con lei da Nicole Kehrberger di Medea alle attrici diFrancamente me ne infischio. La sua attenzione al mondo femminile è costante, basta pensare fra l'altro a Blanche di Un Tram che si chiama desiderio, ma per certi versi anche all'Isabella Rasponi del suo discusso Arlecchino...
«Fassbinder girando Veronika Voss ha ben presente il Tram di Tennessee Williams. Potremmo dire che se Williams ci dice di Blanche prima del suo ricovero in clinica, Veronika è forse quello che potrebbe essere stata Blanche da ricoverata, la sua discesa in quell'abisso dell'anima in cui immaginazione e realtà si confondono o forse si equivalgono. In Svizzera sto realizzando un Edipo raccontato dal punto di vista di Giocasta e poi c'è il lavoro sulla mamma di Pier Paolo Pasolini... il femminile e la riflessione sul femminino stanno diventando una costante nel mio lavoro, ma c'è un motivo».

Quale?
«Proprio lavorando su Fassbinder e i suoi personaggi al femminile sto riflettendo sulla sopportazione del dolore, in generale e nelle donne in particolare. Le donne non solo sanno accettare il dolore oltre che sopportarlo, ma sanno dare alla sofferenza un senso. L'uomo invece colpito dal dolore si sente sconfitto, debole».

Guardando al cast di Ti regalo la mia morte, Veronika ha da tenere a bada un gruppo di donne dal carattere forte e spiccata personalità
«E' vero, ma anche con un'alta consapevolezza della professionalità d'attrice. Tutta la compagnia si sta mettendo al servizio dello spettacolo, oserei dire di Fassbinder, io compreso. C'è una generale presa in carico dei singoli e del gruppo di questa operazione fassbinderiana che gratifica, che entusiasma. E questo al di là dell'esito e del debutto davanti al pubblico».

Cosa vuole da Ti regalo la mia morte, Veronika?
«Mi piacerebbe facesse discutere, insomma vorrei che la voce provocante e spiazzante di Fassbinder avesse il suo effetto sul pubblico, che ponga interrogativi, che attivi la reazione e il dialogo che sono naturali nel teatro, quando questo dice del nostro essere nel mondo, della nostra condizione presente».

Un po' come è accaduto in Natale in casa Cupiello....
«No perché quelle sono state polemiche legate al rapporto col testo che io ribadisco con forza di aver trattato con tutto l'amore possibile, Eduardo De Filippo fa parte del mio dna. Con ciò mettere in scena Eduardo de Filippo non vuol dire rifare Eduardo, scimmiottarlo.... ConNatale in casa Cupiello le polemiche dei puristi (mah!) hanno avuto la meglio... Quando dico che vorrei che il mio Fassbinder facesse discutere mi riferisco alla necessità che venendo a teatro, avviando il dialogo con ciò che accade in scena qualcosa deve accadere anche nello spettatore. Non mi piace il teatro che non influisce su chi vi assiste, che non chiama in causa uno spiazzamento che dovrebbe portare a riconsiderare parte delle nostre conoscenze o semplicemente mostrarci una prospettiva diversa da cui guardare il mondo o il nostro quotidiano».

Insomma Fassbinder allo Storchi, prodotto da uno stabile nazionale come l'Ert: c'è più di un motivo per una riflessione sulla politica del teatro e della contemporaneità in scena...
«Beh Ert e Modena sono un esempio importante, che credo faccia scuola rispetto a quanto accade altrove. Credo che la scelta di Pietro Valenti di produrre registi che hanno una forte cifra contemporanea e di proporli nei cartelloni tradizionale vada in una direzione della formazione del pubblico, di un pubblico contemporaneo. E' logico che se in un cartellone di prosa metto un Romeo Castellucci questo sembra un ufo e la protesta del pubblico più tradizionale è quasi scontata, ma se pian piano a fianco di scelte diciamo della 'tradizione' si pongono spettacoli legati al contemporaneo la sensazione di extraterrestri che atterrano sul palco del teatro della città va via via sfumando. Questo credo sia il compito dei direttori artistici, mettere in atto strategie per la creazione di un nuovo pubblico, o meglio di un pubblico che sappia e abbia l'opportunità di confrontarsi con i diversi linguaggi della scena. Questo credo accada da anni a Modena, divenuta - come dicevo all'inizio - una capitale per il teatro contemporaneo in cui il dialogo fra ciò che è in scena e i territori è costante, costruito passo passo, in un'ottica di formazione di uno spettatore curioso e disponibile alle prospettive che può offrire il teatro, quel teatro che spiazza, fa discutere, pone nuovi punti di vista possibili sulla realtà».

di Nicola Arrigoni
dalla Rivista "Sipario"
Giovedì 07 Maggio 2015

       

 
 
 

Poveri, ma belli

 

 


Raccoglieva rifiuti nei cassonetti, ora è una modella richiestissima: la bella storia di Ana dos Santos Cruz

Rovistando tra i rifiuti per sfamare il figlio, Ana ha trovato assegni per 52 mila dollari destinati a un ospedale. E li ha subito restituiti. Da allora, la sua vita è cambiata radicalmente

Si chiama Ana dos Santos Cruz e ha 23 anni. La sua storia ha conquistato il Brasile e tutto il web. Perché fino a pochi mesi fa riusciva a vivere solo raccogliendo i rifiuti nei cassonetti. Mentre ora è diventata una top model richiestissima. Una vera Cenerentola moderna.

La vita da "barbona" - Giovane, bellissima, Ana era fino a qualche settimana fa una ragazza piuttosto sfortunata: disoccupata, l'ex fidanzato in carcere, per sfamare il figlio di tre anni rovistava nei cassonetti alla ricerca di oggetti da rivendere.

Gli assegni - Scava scava, come in una favola, la ragazza ha trovato un blocco di assegni destinati al Barretos Cancer Hospital, nello Stato di San Paolo. Assegni validi, del valore di 250mila reias, l'equivalente di 52mila dollari.

La riconsegna - Un conto è essere poveri in canna, un conto è la dignità. Le due cose coesistono molto più spesso di quanto si racconti. E infatti Ana, non appena vede a chi sono indirizzati gli assegni, li riporta immediatamente al direttore dell'ospedale.

E divenne modella ... - Quando la storia viene pubblicata sui giornali, c'è grande commozione e solidarietà nei confronti della ragazza. Qualcuno si accorge però che in effetti, Ana, è pure bellissima: un'agenzia di modelle la contatta per farne la testimonial pubblicitaria di un centro commerciale.

San Valentino - Viene realizzato un book che sarà diffuso il 12 giugno, data in cui il Brasile festeggia la festa degli innamorati. Ma Ana tiene i piedi ben saldi a terra: dice che coi soldi guadaganti vuole iscriversi alla scuola per infermieri professionali.

Edoardo Montolli
frontedelblog.it

               

 
 
 

Una forza viva, maggiore di ogni contagio o emulazione

Post n°633 pubblicato il 27 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 

 
Alexis Tsipras (Syriza) - Pablo Iglesias (Podemos)


I falchi Ue ora temono il contagio 

Già alla vigi­lia della vit­to­ria di Syriza in Gre­cia, la que­stione di come que­sta avrebbe influito sugli equi­li­bri poli­tici negli altri paesi alta­mente inde­bi­tati e afflitti da ele­vata disoc­cu­pa­zione dell'Europa meri­dio­nale era stata messa all'ordine del giorno. Vi sarebbe stato con­ta­gio? E, a loro volta, gli even­tuali suc­cessi delle forze poli­ti­che ostili all'austerità in altri paesi euro­pei in che misura avreb­bero raf­for­zato la posi­zione di Atene nel suo scon­tro con la Troika? Dai governi dei paesi dell'Unione sot­to­po­sti al rigore delle poli­ti­che di bilan­cio e alla tiran­nia del debito, Tsi­pras non avrebbe rac­colto, fatta ecce­zione per qual­che ral­le­gra­mento di cir­co­stanza, altro che osti­lità e male­voli distin­guo tra discoli e zelanti.
In fondo il suc­cesso di Syriza minac­ciava pro­prio il cre­dito poli­tico delle forze al governo in Spa­gna, Ita­lia, Por­to­gallo, Fran­cia, met­tendo in luce, attra­verso la pro­pria espe­rienza estrema, l'assoluta inef­fi­ca­cia delle ricette appli­cate in quei paesi nel con­tra­stare gli squi­li­bri euro­pei e rilan­ciare la cre­scita. Tutti si affret­ta­vano a pro­cla­mare «noi non siamo la Grecia!»
Ora, in Spa­gna, que­sto suc­cesso di una gio­vane for­ma­zione poli­tica in rotta di col­li­sione con gli inte­ressi finan­ziari euro­pei e con le cor­rotte oli­gar­chie nazio­nali arroc­cate intorno alle ragioni della ren­dita, è infine arri­vato. Con la forza sim­bo­lica che deriva a Pode­mos e alla sua capa­cità di coa­li­zione dall'aver con­qui­stato le muni­ci­pa­lità di Madrid e Barcellona.
A que­sto punto nel brac­cio di ferro ingag­giato dai fal­chi dell'eurogruppo con­tro Tsi­pras e Varou­fa­kis si pone un dilemma. Insi­stere nello stran­go­la­mento della Gre­cia, fino alla sua fuo­riu­scita dall'euro, potrebbe ali­men­tare una forte ondata di indi­gna­zione con­tro gli euro­dogmi dell'austerità, a comin­ciare dalla Spa­gna che andrà al voto alla fine dell'anno.
Una volta aperta l' «uscita di sicu­rezza», nulla garan­ti­sce che altri, di fronte a cir­co­stanze troppo avverse e impo­po­lari, deci­dano di var­carla. Il che sug­ge­ri­rebbe di ammor­bi­dire il con­tra­sto con il governo greco. Al con­tra­rio, con­durre Atene alla rot­tura defi­ni­tiva, potrebbe ser­vire da deter­rente per chiun­que inten­desse met­tere in que­stione le ricette eco­no­mi­che e sociali impo­ste dalla gover­nance europea.
La cata­strofe greca costi­tui­rebbe, insomma, una for­mi­da­bile arma nelle mani del ter­ro­ri­smo finan­zia­rio e un con­so­li­da­mento della con­ser­va­zione neo­li­be­ri­sta in tutti i paesi del Vec­chio Con­ti­nente. È soprat­tutto intorno a que­sto potere sim­bo­lico e alla sua effi­ca­cia poli­tica che si sta gio­cando la par­tita. Nes­suno ignora infatti che esi­stono nume­rose pos­si­bi­lità, tec­ni­che e poli­ti­che, di venire a capo della crisi greca senza imporre a nes­suno una deva­stante capi­to­la­zione. E senza met­tere a repen­ta­glio, più di quanto già non lo sia, il pro­getto europeo.
Non­di­meno c'è poco da dubi­tare che i fal­chi nor­dici pro­pen­de­ranno per la seconda opzione: quella della puni­zione esem­plare di Atene, prima delle ele­zioni poli­ti­che nella peni­sola iberica.
E qui suben­tra l'interpretazione che i sacer­doti dell'euro danno tanto di Syriza quanto di Pode­mos: si trat­te­rebbe in sostanza di forze euro­scet­ti­che. Cir­co­stanza deci­sa­mente negata dagli inte­res­sati che indi­cano pro­prio il ter­reno euro­peo come deci­sivo nel con­durre la lotta per la demo­cra­zia e i diritti sociali.
Da qui la ten­denza, alquanto infame, di met­tere in un unico cal­de­rone «anti­eur­peo» Syriza, il suc­cesso di Pode­mos e la vit­to­ria dell'ultrareazionario Duda alle ele­zioni pre­si­den­ziali in Polonia.
Chi, sul ver­sante delle destre xeno­fobe, per annet­tersi per­fino la pro­pria anti­tesi, chi per sna­tu­rare e demo­niz­zare le forze demo­cra­ti­che che rifiu­tano la dot­trina della gover­nance europea.
Ma c'è un ele­mento che pur nell'estrema diver­sità delle espe­rienze, sot­tende Syriza e Pode­mos: sono i grandi movi­menti sociali e di lotta che hanno attra­ver­sato Gre­cia e Spa­gna (vedi appunto Bar­cel­lona e Madrid) in rispo­sta alla crisi e al suo governo. Una forza viva, mag­giore di ogni con­ta­gio o emu­la­zione. E una risorsa per il futuro.
Con que­sto Ber­lino e Bru­xel­les dovranno fare i conti, e, pro­ba­bil­mente, non solo ad Atene e Madrid.

Marco Bascetta - Il Manifesto
Martedì 26 Maggio 2015

                       

 
 
 

Mercoledì. Poesia della Namibia

Post n°632 pubblicato il 27 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 

 


Risveglio

Alla donna africana

Perpetue Kassy

Soweto!
i nostri figli innocenti sono caduti.
Sharpeville
guai a voi!
I nostri mariti emettono grida di dolore.
I messaggeri di pace piangono amaramente.
Le case sono abbandonate.
Mandela, dove sei?

Donne d'Africa!
Quando finiremo di tollerare
la furia delle Nazioni Armate?
I nostri cadaveri esalano fetore
le nostre strade grondano del loro sangue.
Benjamin Moloise, Steve Biko
sono morti.
Sono morti per te, Africa
allora donne d'Africa!
Svegliatevi!
Ecco qui coloro che dettano le loro leggi immonde
coloro che trascrivono ingiusti arresti
per tenere i poveri lontano dai giudizi
e derubarli dei loro diritti, per fare delle vedove la loro preda
e degli orfani il loro bottino.

Donne d'Africa!
Asciugate le lacrime
alzate la voce
l'aurora si risveglia
al di sopra dei grattacieli di Johannesburg
ascoltate il canto del gallo
il tamtam piange
il tamtam risuona, ascoltatelo!
Le lacrime sono là.

 
 
 

Buonanotte!

Post n°631 pubblicato il 26 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 



 
 
 

Cronache dall’inferno

Post n°630 pubblicato il 26 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 

 


Storie di ordinaria follia

Per la rubrica "Cronache dall'inferno" vogliamo raccontarvi la storia di Francesca, addetta alla pulizie in una sede ministeriale di Roma, che rischia il licenziamento perché deve curarsi dal cancro. Una storia che ha dell'incredibile e che rivela tutta la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo.

Francesca, nome di fantasia, (per ragioni legate a possibili ripercussioni padronali, la protagonista di questa triste storia ci ha chiesto di usare un nome di fantasia, Francesca, e per le stesse ragioni non sono riportati maggiori dettagli sul nome della ditta) è un'addetta alle pulizie presso una sede ministeriale a Roma e svolge questo lavoro da oltre quindici anni alle dipendenze di un'impresa privata. Nell' aprile dello scorso anno, Francesca ha scoperto di avere un carcinoma invasivo e si è sottoposta a due interventi. Ha iniziato, così, una lunga battaglia contro una malattia terribile, una battaglia che ha significato un cambio radicale di vita: sette mesi di chemioterapia, controlli continui, cure collaterali. Una battaglia che Francesca, con l'aiuto dei medici, dei suoi cari, degli psicologi, sta conducendo in prima linea con tutta la grinta e la forza che la contraddistinguono, riuscendo a sconfiggere anche la depressione che, spesso, in queste situazioni può diventare un ulteriore ed insidioso peso, un elemento destabilizzante non da poco. 
In questa lunga battaglia Francesca ha scoperto, però, che esiste un altro ostacolo che non aveva considerato, forse perchè inaspettato e subdolo, un ostacolo che distrugge moralmente più della stessa malattia: l'assenza di un adeguato aiuto da parte dello Stato, la mancanza di garanzie e il rischio reale di perdere il posto di lavoro.
Da quando è in cura, tra interventi e chemioterapia, Francesca si è trovata costretta ad usufruire di 9 mesi di malattia, di cui 6 pagati al 100 % e 3 pagati al 50%. Le norme che regolano i rapporti di lavoro nel settore privato prevedono, però, un tetto massimo di giorni di malattia, pari a 365 giorni in tre anni, calcolati sugli ultimi tre anni di lavoro. Svolgendo un rapido e semplice calcolo, ci rendiamo conto che avendo già usufruito, nel corso del 2014, di 9 mesi di malattia, Francesca corre il rischio reale di essere licenziata qualora dovesse richiedere altri due mesi per svolgere cure e controlli ospedalieri nei prossimi due anni. Ma, come è d'altronde facile immaginare, la situazione risulta davvero terribile poichè due mesi appaiono, verosimilmente, del tutto insufficienti, considerato il decorso ancora lungo che una malattia del genere richiede. E sempre a patto che, in tutto questo, non intervengano ulteriori complicazioni che purtroppo sono molto frequenti in questo genere di situazioni. 
L'unica soluzione che rimane a Francesca, quindi, sarebbe quella dell'aspettativa non retribuita per grave infermità. Ma questa è una non-soluzione perché, ovviamente, senza stipendio diventerebbe impossibile sostenere le spese necessarie per poter condurre una vita dignitosa. Dunque è così che Francesca, stanca e malata, è costretta a rientrare in servizio, tenendosi stretti i soli due mesi che le rimangono a disposizione per i prossimi due anni nella speranza di poter resistere il più possibile.
L'aspetto paradossale di tutta questa vicenda è che lei, per poter tornare al lavoro, ha dovuto fingere di stare bene alla visita del medico legale e, ciononostante, il medico del lavoro le ha proibito di svolgere mansioni pesanti. Ma Francesca deve inoltre fare i conti con il suo caporale che, da servo marcio del padrone quale è, nella paura di perdere il suo orticello, le ordina costantemente e senza sentire ragioni di svolgere mansioni pesanti nonostante la situazione grave in cui la dipendente versa.
L'altra assurdità che si palesa agli occhi di Francesca è l' evidente disparità di trattamento che sussiste tra un lavoratore agli ordini del privato ed un lavoratore alle dipendenze pubbliche. I lavoratori pubblici, in situazioni simili, godono di un regime di "favore" poichè è loro concesso, infatti, di usufruire di 18 mesi di malattia anziché dieci.
L'ulteriore conseguenza è che, facilmente, tali differenze finiscono per alimentare una guerra tra poveri dove, nella logica del mal comune mezzo gaudio, invece di lottare assieme per ottenere maggiori diritti e tutele, si finisce per lottare nella direzione di un egualitarismo al ribasso di cui Renzi si è fatto promotore. "Mai più differenze tra pubblico e privato" significa, per i borghesi, minore tutele per tutti.
Questa triste vicenda riesce a condensare in sè tutti gli elementi negativi di questo sistema basato sullo sfruttamento incondizionato dei lavoratori. Uno Stato che non è più in grado di tutelare i propri cittadini, uno Stato che, anzi, considera le tutele un costo invece di considerarle unaconquista di civiltà, che Stato è? Non c'è alcun dubbio: questo è lo Stato dei padroni. Lor signori che scrivono queste norme e delineano le sempre carenti legislazioni in materia di lavoro, lo fanno non perché non abbiano un «cuore», ma perché devono rispondere agli interessi dei propri datori di lavoro: i padroni. I partiti politici della borghesia che oggi si spartiscono le poltrone nelle istituzioni, al fine di preservare in ogni modo questi interessi, non possono che proseguire nelle loro politiche di macelleria sociale, nella promulgazione di leggi sempre più regressive, nell'erosione inesorabile di tutte quelle tutele, anche minime, necessarie alla classe lavoratrice, rivelando in tutta la sua violenza sino a che punto può spingersi, e si spingerà, la turpe logica del profitto e dello sfruttamento incondizionati. E, purtroppo, simili vicende che sono già fin troppe, si moltiplicheranno finché la corsa all'accumulazione dei profitti non sarà bloccata da un grande sollevazione popolare. Solo un popolo cosciente delle proprie condizioni storiche potrà cambiare il verso del movimento, invertendo l'attuale marcia e puntando dritto al progresso.
A Francesca un abbraccio da tutta la redazione di LCF.

di Pasquale Vecchierelli
da La Città Futura
Sabato 23 Maggio 2015


 ... siamo in tante, Francesca ... un abbraccio fortissimo ... 

         

 
 
 

“E’ direttamente fascismo”

Post n°629 pubblicato il 26 Maggio 2015 da cinciarella10
 

 

 
Lidia Menapace

L'unico

Naturalmente l'unico al comando, l'unico in segreteria, l'unico partito, e - si spera - ben presto un unico sindacato (giallo?) e a scuola per utilità e velocità un unico "pensiero", naturalmente tutto democratico, abolendo prima qualche doppione e finalmente arrivando al trionfo dell'Unico Matteo (L'altro verrà messo presto fuori legge dall'unico parlamento nominato dall'unico Renzi giusto).

Non é né prepotenza né arroganza, nè autoritarismo, è direttamente fascismo, ma sostenuto dalle ragioni analitiche di  un grande politologo germanico, Niklas Luhmann, che forse Renzi non ha nemmeno letto, ma che certo ha in corpo.

Conclusione: la società complessa pone problemi di governabilità.

Ma per governare una società complessa ci vuole un governo "decisionista". Eccolo lì, si chiama Renzi, poco importa a favore di chi decide, basta che decida, o deleghi a qualche potere che gli piace, di decidere. Ad esempio, il sindacato dei datori di lavoro gli piace di più dei sindacati e sindacatini del movimento operaio, che non gli garbano affatto. Perciò decide di fare la legge sul lavoro come gli dice la Confindustria: vedi i padroni quanto sono moderni? dove c'è da prendere, semplificano, e danno buonissimi consigli per fare le leggi, a che serve un parlamento costosissimo? non è meglio l'Ufficio studi e consulenze della Confindustria?

La parola d'ordine è "semplifichiamo e avanti tutta".

di Lidia Menapace
Pubblicato il 24 Maggio 2015
da Rifondazione Comunista

                       

 
 
 

CINCIARELLE



 

I POETI LAVORANO DI NOTTE



I poeti lavorano di notte
quando il tempo
non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

Alda Merini, da "Destinati a morire"

 

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DANZA DELLE STREGHE


Le streghe non si vedono,
ma le streghe ci sono
Nel buio si radunano,
in riva a fiumi e laghi
Corrono senza un frullo,
volano senza un suono
Non le sentono gli uomini,
non le vedono i maghi.

Le streghe sono magiche,
le streghe sono donne
Incendiano le tenebre
con le risa e la danza
Fanno ruotar mantelli,
le favolose gonne
Finché dura la notte,
finché ne hanno abbastanza.

E gli umani le cercano,
le vogliono vedere
Curiosi delle favole,
stupiti delle grida.
E furtivi si accostano,
chini nelle ombre nere
Tremanti di paura,
ubriachi di sfida.

Ma le streghe li sentono,
corrono sulle sponde
Sopra le acque fuggono,
gioiose equilibriste
E per gli umani restano
i cerchi delle onde
Come gonne che ridono:
"Le hai viste? Non le hai viste?"

Bruno Tognolini
da Melevisione
Il libro nero di Strega Salamandra
Giunti Junior Editore

 

BIANCA TRA LE FOGLIE

 

RIMA DELLA RABBIA GIUSTA



Tu dici che la rabbia
che ha ragione
È rabbia giusta
e si chiama indignazione
Guardi il telegiornale
Ti arrabbi contro
tutta quella gente
Ma poi cambi canale
e non fai niente
Io la mia rabbia giusta
Voglio tenerla in cuore
Io voglio coltivarla
come un fiore
Vedere come cresce
Cosa ne esce
Cosa fiorisce
quando arriva la stagione
Vedere se diventa
indignazione
E se diventa,
voglio tenerla tesa
Come un'offesa
Come una brace
che resta accesa in fondo
E non cambia canale
Cambia il mondo

Bruno Tognolini
da "Rime di Rabbia", Salani Editore

 

FILASTROCCA LIBERA




Libero, libera, liberi tutti
Libero l'albero e libero il seme
Liberi i belli di essere brutti
Le volpi furbe di essere sceme
Il fiume libero d'essere mare
Il mare libero dall'orizzonte
Libero il vento se vuole soffiare
Liberi noi di sentircelo in fronte
Libero tu di essere te
Libero io di essere me
Liberi i piccoli di essere grandi
Liberi i fiori di essere frutti
Libero, libera, liberi tutti

Bruno Tognolini,
da Rima rimani, Salani 2002

 

SCONGIURO CONTRO IL NAZISMO FUTURO




Gli abbiamo detto
che la rabbia non è bene
Bisogna vincerla,
bisogna fare pace
Ma che essere cattivi
poi conviene
Più si grida, più si offende
e più si piace
Gli abbiamo detto
che bisogna andare a scuola
E che la scuola com'è
non serve a niente
Gli abbiamo detto
che la legge è una sola
Ma che le scappatoie sono tante
Gli abbiamo detto
che tutto è intorno a loro
La vita è adesso,
basta allungar la mano
Gli abbiamo detto
che non c'è più lavoro
E quella mano
la allungheranno invano
Gli abbiamo detto
che se hai un capo griffato
Puoi baciare 
maschi e femmine a piacere
Gli abbiamo detto
che se non sei sposato
Ci son diritti
di cui non puoi godere
Gli abbiamo detto
che l'aria è avvelenata
Perché tutti
vanno in macchina al lavoro
Ma che la società sarà salvata
Se compreranno
macchine anche loro
Gli abbiamo detto tutto,
hanno capito tutto
Che il nostro mondo è splendido
Che il loro mondo è brutto
Bene: non c'è bisogno di indovini
Per sapere che arriverà il futuro
Speriamo 
che la rabbia dei bambini
Non ci presenti
un conto troppo duro

Bruno Tognolini
da "Rime di Rabbia", Salani Editore
 

I PIEDI
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Salgono i piedi per la salita, 
passo per passo finché è finita.
Scendono i piedi per la discesa,
giù verso il basso
che il passo non pesa. 
Piedi leggeri, passi pesanti, 
lungo i sentieri
che portano avanti. 
Passi di marcia rivoluzionaria: 
testa per terra, piedi per aria. 

Bruno Tognolini
da "Rimelandia" 
Il giardino delle filastrocche
Mondadori Newmedia

 

DANZA ARABA

 

JAZZ

 

TEATRO



"Il mio scopo non è insegnarvi a recitare, il mio scopo è aiutarvi a creare un uomo vivo da voi stessi. Il materiale per crearlo dovete prenderlo da voi stessi, dalle vostre memorie emotive, dalle esperienze da voi vissute nella realtà, dai vostri desideri e impulsi, da elementi interni analoghi alle emozioni, ai desideri e ai vari elementi del personaggio che impersonate ... Imparate ad amare l'arte in voi stessi e non voi stesse nell'arte."

Konstantin Sergeyevich
Stanislavskij

 

CINEMA

"Il cinema è composto da due cose: uno schermo e delle sedie. Il segreto sta nel riempirle entrambe." Roberto Benigni

 

GENERALE



Generale,
il tuo carro armato
è una macchina potente.
Spiana un bosco
e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
Ha bisogno di un carrista.

Generale,
il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d'una tempesta
e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
Ha bisogno di un meccanico.

Generale,
l'uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

Bertolt Brecht

 

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