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Torna Ortega (o ciò che ne resta)

Post n°150 pubblicato il 08 Novembre 2006 da circololenci

               immaginedi Gianni Beretta
Col 40% dei voti scrutinati il leader sandinista è in testa. Tornerà presidente dopo 16 anni. Ma non è più lo stessoIl gueguense, l'indio nicaraguense che con la maschera sul viso osava ogni sgarbo verso il conquistador, ha agito di nuovo nel segreto dell'urna. Ma a differenza del 25 febbraio 1990 quando la sua vittima designata fu l'allora presidente sandinista Daniel Ortega, questa volta lo scherzo lo ha tirato all'amministrazione di George Bush junior, che si è impegnata quanto allora perché l'ex comandante guerrigliero non tornasse sedici anni dopo a governare il Nicaragua. Non è bastato che l'ambasciatore Usa, Paul Trivelli, interferisse a ogni piè sospinto nella politica interna, sostenendo oltre ogni decenza uno dei due candidati della destra, il liberista banchiere Eduardo Montealegre. Non è stata sufficiente la processione di congressisti repubblicani a Managua che minacciavano la sospensione di ogni aiuto e finanche il blocco delle rimesse dei nicaraguensi emigrati negli states. Al contrario stavolta, l'isterica intromissione del «gigante del nord» gli si è ritorta contro.
Lo spoglio procede a rilento (col 40% delle schede scrutinate) e una certa cautela è d'obbligo, ma il comitato di Etica e Trasparenza (un gruppo indipendente locale che conta undicimila osservatori nazionali) ha comunicato una proiezione (con un margine di errore dell'1,7%) che conferma sostanzialmente i risultati ufficiali parziali: Daniel Ortega avrebbe vinto col 38,4% dei voti contro il 29,5% di Montealegre. Giusto un po' di più di quel 35% dei voti e di quei cinque punti di scarto sul secondo necessari, secondo la nuova legge elettorale, per affermarsi al primo turno. Ortega ha dunque beneficiato di una legge elettorale fatta su misura per lui dall'ex presidente neo-somozista Arnoldo Aleman (oggi agli arresti domiciliari per corruzione) col quale aveva stipulato nel 1999 un pacto bipartitista per spartirsi il controllo dei poteri dello stato. Gli osservatori internazionali del Centro Carter hanno provato a denunciare anomalie nelle operazioni di voto del Consiglio supremo elettorale (gestito dal Fronte sandinista e dal partito di Aleman). Ma l'Organizzazione degli stati americani ha già sancito la sostanziale regolarità dello scrutinio. Mentre Montealegre non ha accettato ancora la sconfitta e attende i risultati finali ufficiali.
La beffa per Washington è che il candidato di Aleman, Josè Rizo, si sarebbe attestato sul 22%. Il che significa che se la destra fosse andata alle urne unita si sarebbe imposta su Ortega come nel '90, nel '96 e nel 2001. E qui torna il paradosso: nonostante i risultati per il rinnovo del parlamento siano di là da venire, sulla carta il Fronte sandinista e il Partito liberal-costituzionalista di Aleman continuerebbero ad avere la maggioranza dei deputati. E il pacto potrebbe essere confermato. Quella stessa perversa alleanza per la quale deputati sandinisti e alemanisti avevano ratificato pochi mesi fa il Trattato di libero commercio fra il Centro America e gli Stati uniti (Cafta), e che appena la scorsa settimana, in una manifestazione di delirio machista, avevano cancellato l'aborto terapeutico con pene da uno a quattro anni per la donne che abortiranno. E con grande soddisfazione del cardinale Miguel Obando y Bravo, che del pacto Ortega-Aleman era stato il garante.
Ma non è Montealegre il solo perdente in questa tresca politica. Rispetto alle precedenti consultazioni, a Daniel Ortega è venuto meno quell'8-10% ottenuto dal rinnovatore sandinista Edmundo Jarquin (alla prima prova alle urne), un risultato che alla fine si è rivelato insufficiente per rimandare a un ballottaggio che avrebbe probabilmente visto tutti contro Ortega.
Il Nicaragua rischia così di restare ostaggio di tre caudillos: Daniel, Aleman e sua eminenza Miguel Obando. Certo, con un rovesciamento di fronte al vertice. E c'è da essere sicuri che Ortega «qualcosa di sinistra» la farà, rispondendo al proprio zoccolo duro, fatto soprattutto dai diseredati di questo paese, oltre che di parte della nuova classe sociale formatasi durante la passata rivoluzione. Lancerà una nuova campagna di alfabetizzazione, appronterà un programma contro la denutrizione, disporrà blandi crediti per i piccoli contadini. Ma con gli Stati uniti Ortega finirà col mantenere il piede in due scarpe, giocando sul ricatto di finire tout-court nelle mani del venezuelano Hugo Chavez. E sapendo a sua volta di essere egli stesso costantemente sotto ricatto in un parlamento dove la destra (ri)unita potrebbe in qualsiasi momento metterlo in minoranza. Gli toccherà dunque negoziare tutto, a partire dall'accordo con il Fondo monetario in imminente scadenza in Nicaragua, così come ogni aiuto e finanziamento internazionali. Ma come potrà ovviare alla ratifica del Cafta? E soprattutto, come rimedierà con le donne nicaraguensi alla penalizzazione dell'aborto terapeutico?
I fuochi d'artificio del Fronte sandinista sono brillati già nella notte fra domenica e lunedì. L'abilità politica di Daniel e la sua ostinazione lo porteranno con ogni probabilità a reindossare la fascia presidenziale che nell'aprile del 1990 dovette consegnare suo malgrado a donna Violeta Barrios de Chamorro. Ma non sarà il comandante rivoluzionario di allora. Oggi Daniel è solo un caudillo, uno dei tanti che l'America latina ha conosciuto, con alterne sorti.


da www.ilmanifesto.it

 
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