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un saluto a Miriam Makeba

Post n°203 pubblicato il 11 Novembre 2008 da circololenci

Jean- René Bilongo
Castel Volturno
«Se ne sono andati tutti. Anche noi ce ne andiamo…». Erano come un presentimento, le ultime pronunciate da Miriam Makeba dal palco della piazzetta di Baia Verde a Castel Volturno, incastrata tra esercizi commerciali e abitazioni. Mamma Africa era stata invitata per il concerto conclusivo degli Stati generali della scuola del Mezzogiorno. Un appuntamento finale che gli organizzatori sognavano come rampa di lancio di un messaggio di speranza, con un no secco al razzismo. E chi poteva farlo, se non la pacifica e intrepida amazzone sud africana, una vita spesa contro il regime dell'apartheid?
Non appena aveva avuto uno spaccato dettagliato della realtà migratoria di Castel Volturno, Miriam Makeba aveva avanzato una richiesta: voleva incontrare la comunità africana del Litorale. Voleva farlo prima del concerto previsto in serata. Era stato scelto un avamposto dell'accoglienza sul Litorale domizio: il centro immigrati Fernandes, di proprietà dell'arcidiocesi di Capua. Ad attendere l'icona della musica, una nutrita rappresentanza degli immigrati e numerosi cittadini di associazioni ed enti impegnati sulle tematiche dell'immigrazione e dell'intercultura. Ma anche molte persone semplici, accorse lì per dare la benvenuta a un mito della lotta per la libertà e contro ogni forma di oppressione fondata su presupposti razziali. Visibilmente commossa ma anche provata forse da quella brutta febbre-preludio alla sua uscita di scena, Miriam Makeba incontra quelli che chiama "miei fratelli e sorelle" nel salone Giovanni Paolo II della casa di accoglienza litoranea, accedendovi dal varco riservato alle persone diversamente abili. Perché domenica scorsa Miriam Makeba provava difficoltà a camminare con le proprie gambe. Doveva muoversi su una sedia a rotelle. La necessità di "imparare a convivere" sarà la sua esortazione. Prima di ritornare a prepararsi, nell'attesa di quella che è stata la sua ultima esibizione. A Castel Volturno, geograficamente lontana dalla sua natia Sud Africa, ma vicina per la sua composizione etnica. In un perenne clima di convivenza difficoltosa. Con i suoi morti crivellati di pallottole. Come nella Sud Africa dell'Apartheid, dove di vessazioni a sfondo razzista ne aveva viste di tutti i colori.
Miriam Makeba non ci pensava mai due volte quando c'era bisogno di affermare l'uguaglianza tra gli esseri umani. Aveva una sola alleata: la sua musica. In trincea andava imbracciando una sola arma: la sua voce. Una voce pregnante e coccolante la sua, bella e penetrante, sempre uguale a sé stessa, nonostante gli anni. Miriam Makeba aveva consolato e fatto sognare su tutto il pianeta generazioni intere con la sua musica. Era abituata a esibirsi davanti a folle oceaniche in giro per il mondo. Si capiva domenica scorsa che era un po' delusa dal pubblico. Troppo risicato per un monumento della musica mondiale come lei. Ma non si era tirata indietro dinanzi alle supplichevoli ed insistenti richieste dei pochi presenti, per un ulteriore brano. Un esiguo pubblico appassionato, goloso della sua voce. Ne chiedeva ancora. Chiedeva coralmente "Pata Pata", una delle ultime creazioni della regina della musica africana. Mamma Africa voleva accontentare chi sostava sotto al palco a guardarla. Un'eccellente prestazione, come ne sanno fare solo i grandi professionisti. Una voce particolarmente calda, nonostante tirasse un vento gelido. Passi di danza e colpi di reno che solo lei era in grado di eseguire. Anche simbolicamente provocatoria, fedele al suo mito. Miriam Makeba aveva appena finito di cantare.
Un'indimenticabile prestazione scenica durata circa mezz'ora. Voleva ritirarsi nella tendina- camerino allestita dietro il palco per riposare un po'. Per riprendere fiato. E mentre il duetto-conduttore della serata Idris Saneth e Valeria Coiante annuncia la fine dello show, Miriam Makeba si accascia pesantemente sul palco. Sui volti dei suoi musicisti si legge un'inconfondibile espressione di panico. Passano pochi istanti e dal palco si sente una voce che chiede se «c'è un medico in giro». Si capisce che la situazione è grave, ma si spera che si tratti solo di un malore momentaneo. Già. Perché Miriam Makeba era arrivata a Castel Volturno con la febbre. Una febbre molto alta. Sul palco ormai a luci soffuse, la concitazione è palpabile. Uno dei due medici accorsi le pratica ripetutamente il massaggio cardiaco, mentre l'altro cerca di rianimarla con la respirazione bocca a bocca. Qualcuna chiede che venga chiamata un'ambulanza. Si capisce pienamente la gravità della situazione. Mentre l'angoscia s'impossessa di tutti i presenti, un'altra voce anonima chiede dal palco che si scandisca «Miriam! Miriam!» con la speranza che l'affetto del pubblico giunga nel più profondo dell'animo di Mamma Africa e l'aiuti a riprendersi. Ma è tutto vano. Quando arriva l'ambulanza, Miriam viene caricata sul mezzo. Direzione: la vicina clinica Pineta Grande. Le prime indiscrezioni parlano di condizioni stazionarie. Poco più di un'ora dopo, si vede allontanare frettolosamente l'assessore regionale Corrado Gabriele con i suoi collaboratori al seguito. Si dirigono verso le loro auto. «Se ne è andata» grida qualcuno, con la voce rotta dalla commozione.
www.liberazione.it

11/11/2008

 
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