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A 50 anni da Cima Vallona: “che sappiano loro che sono partiti che noi tutti noi siam rimasti feriti”

Post n°133 pubblicato il 23 Giugno 2017 da mcalise
 

Francesco Gentile ha 37 anni, nasce “per caso”, come accade ai figli dei militari, a Udine da una famiglia napoletana di origine; Francesco, Franco per gli intimi, è stato allievo della Nunziatella.Anche il 25 giugno del 1967 è domenica e Franco, di primo mattino, nella sua casa di Belluno, si prepara per una gita con la famiglia. Trilla il telefono: c’è stato un attentato. Franco è Capitano dei Carabinieri, non esita, corre in caserma e al comando dei suoi uomini si reca, in elicottero, sul luogo dell’attentato. I terroristi sudtirolesi hanno fatto saltare un traliccio, c’è una vittima: l’alpino Armando Piva. Il capitano Gentile, con i suoi uomini, ispeziona la zona quando una mina antiuomo, subdolamente mimetizzata, esplode uccidendo lui, il sottotenente Mario Di Lecce, il sergente Olivo Dordi. Così sono quattro le eroiche vittime del vile attentato di Cima Vallona.Il capitano Francesco Gentile sarà insignito della medaglia d’oro al valor militare, alla memoria.Si unisce, con i suoi compagni di sventura, ai tanti, uomini e donne, che prima e dopo di loro, non in tempo di guerra ma in tempo di pace hanno rischiato e dato la loro vita per difendere, tutelare tutti noi, per garantirci una convivenza civile.Perché ricordare oggi, dopo cinquant’anni, quei tragici avvenimenti, quelle vittime?Certo ha un senso per i famigliari, per gli amici, per i colleghi dell’Arma; ma, io credo, lo debba avere per tutti noi cittadini italiani, essenzialmente per tre motivi.Il primo. Perché la memoria di quei fatti ci aiuta a comprendere meglio fenomeni attuali che, specialmente ai giovani, possono apparire senza precedenti. L’estremismo terroristico, nelle sue diversissime forme e motivazioni, ha avuto le sue manifestazioni in tutti i tempi, a tutte le latitudini ed ha visto come violenti protagonisti individui di tutte le fedi, di tutte le razze. La memoria ci aiuta ad evitare pericolose semplificazioni.Rievocando quegli eventi, è il secondo motivo, diamo una risposta, certo parziale, al senso di giustizia che dovrebbe accompagnarci come individui e come membri della medesima collettività: la Patria italiana. Rispetto e ricordo riconoscente per chi per essa ha lavorato, si è sacrificato e per i tanti che hanno dato la propria vita. Patria è una parola, un’idea da tempo accantonata per essere stata strumentalmente utilizzata da ciechi nazionalismi, da ideologie fasciste. Oggi, credo, dovremmo rimpossessarcene, senza retorica, per superare quella debolezza identitaria che è alla radice di tanti nostri mali. Infatti si ha l’impressione di vivere in una società spappolata dove prendono sempre più vigore gli individualismi e i localismi, certe ricorrenze, certe doverose rimembranza dovrebbero aiutarci ad osservare le cose nella loro giusta dimensione.Ultimo motivo, non meno importante. Quell’esempio dovrebbe essere, uno stimolo al civismo. Viviamo tempi difficili (pare che tempi facili non siano mai esistiti); ma se non partiamo da zero lo dobbiamo anche al lavoro, al sacrificio di tanti, lo dobbiamo anche a coloro che a Cima Vallona, hanno dato la vita per offrire a tutti noi un’esistenza migliore, più sicura da tanti punti di vista. Tanto ed estremo sacrificio dovrebbe farci arrossire rispetto alle nostre piccole titubanze e spingerci ad una maggiore attenzione, una maggiore responsabilità nell’impegno civico. E allora ripeto “Portategli il vostro sincero rimpianto, portategli il vostro ricordo soltanto, che sappiano loro che sono partiti che noi tutti noi siam rimasti feriti” (*).(*) Dalla canzone “Cima Vallona” scritta da Francesco Guccini e cantata da Caterina Caselli

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