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Post N° 92

Post n°92 pubblicato il 02 Settembre 2007 da jinny1978
 



Il pensiero di Raffaele Morelli

 
L’anima ha risorse immense, a nostra disposizione. Come insegnavano i filosofi antichi: già Plutarco, duemila anni fa, spiegava come distogliere l’attenzione da noi stessi
e vedere il mondo dal lato giusto. Una strada che toglie nutrimento alla depressione e ci indirizza dritti verso la felicità...

Editoriale di Riza Psicosomatica n. 319, Settembre 2007, in edicola il 1° del mese

Tra le tecniche che uso per spiegare che cos’è la percezione ce n’è una che viene da lontano, che è antica come il mondo, quando impara a vedersi, a guardarsi. Consiste nel portare l’attenzione su una parte del corpo, mentre si prova un sentimento di disagio, un dolore psichico. Concentrarsi sul proprio piede sinistro o su una mano, proprio mentre si soffre, può sembrare un modo superficiale per distrarsi dal dolore, ma in realtà rivela il potere che ha il nostro sguardo, la sua capacità di curarci, di guarirci.

L’occhio dell’anima
L’anima vede? E soprattutto ci vede, ci riconosce? Sa che le apparteniamo? E allora perché ci manda dolori così grandi? Perché questa “sostanza” che ci crea non ha a cuore la nostra felicità? Oppure siamo noi che sbagliamo, che ci ostiniamo? In un caso o nell’altro tra noi e la nostra anima c’è una relazione di scarsa conoscenza: entrambi, io e lei, viviamo come due stranieri, come due estranei, come due che non si conoscono, si ignorano e che spesso nella vita prendono sentieri, vie differenti.

E allora a cosa può servire mai - quando veniamo abbandonati e proviamo un dolore che ci fa soccombere oppure quando veniamo feriti, o quando proviamo un sentimento di estraneità e di esclusione - sentirci sbalzati dalla vita, buttati nell’abisso come fossimo granelli di polvere in balìa del vento?
L’anima ci è nemica? Perché ci punisce così violentemente? Che cosa abbiamo mai fatto per meritarci tristezza, depressione, ansia, insonnia, attacchi di panico?
Durante un gruppo di terapia a Francesca è arrivata la pace, quando la sua attenzione sulla mano destra è diventata così intensa, così diffusa, così persa, così larga, come quando si guarda un panorama, da sentirsi estranea a tutto, anche al dolore della morte del suo compagno. Se cambiamo la percezione l’anima scende in campo e ci aiuta. Se diventiamo estranei a noi stessi, se smettiamo di pensare e di ragionare, se siamo solo occhio che guarda il nostro corpo, arriva puntuale il balsamo che cura, che guarisce… L’anima ha bisogno dei nostri occhi per regalarci la beatitudine, l’estasi, il piacere, il senso della vita. Così ogni volta che qualcuno mi racconta di un dolore che lo devasta, io lo invito a chiudere gli occhi, a sentire il profumo che c’è nella stanza, a percepire l’odore del suo corpo, ad accarezzare la sua mano destra, il suo piede, la sua pancia.

È incredibile osservare che la percezione può spaziare contemporaneamente su più fronti e questo “distrarsi” è la tecnica che l’anima adora più di tutto per disintegrare i dolori che la vita ci porta. Mai, assolutamente mai pensare e ripensare a cosa ci ha fatto star male, mai lamentarsi; invece percepire il dolore e portare l’attenzione su altre parti del corpo. In queste condizioni è facile che chi sperimenta tutto questo scopra nel corpo un punto, una zona, una regione che è esente dal disagio. Portandovi sopra lo sguardo fino a perdersi, arriva la gioia, la felicità del senza tempo. L’anima ci cura, ci dà il suo elisir, quando impariamo a guardare altrove, a dimenticarci di noi.

I filosofi ci salvano
Ho parlato di questi semplici esercizi che chiunque può praticare perché vengono da lontano. Un tempo la filosofia non era come oggi il luogo di dibattiti cerebrali, ma la porta dell’anima, per entrare praticamente nella sua casa.
Sentite cosa scrive Plutarco, più di 2000 anni fa: «Lamentarsi del proprio destino conduce a vedere il mondo come uno specchio che rimanda sempre l’immagine della propria infelicità. È una strada a fondo cieco. Eppure esiste un’alternativa. Come quando siamo abbagliati da una luce intensa e cerchiamo di riposare lo sguardo, fissandolo sulle foglie degli alberi, sui fiori o sull’erba di un prato, così dobbiamo distogliere la nostra attenzione dall’insoddisfazione che impedisce di vedere il nostro essere e dirigerla su ciò che siamo in grado di fare… Bisogna dunque apprendere l’arte di vedere il mondo dal lato giusto».
Il filosofo condensa in poche parole quanto è importante il nostro modo di guardarci dentro per stare bene. Ed è rassicurante sapere che uomini che vengono da lontano, oggi come allora, possono insegnarci le vie dell’autoguarigione, della tranquillità e della gioia di vivere. Così ho chiesto tempo fa a Maurizio Zani di curare una collana che facesse vedere gli insegnamenti pratici, eterni di cui ha bisogno l’anima. Insegnamenti tanto più utili oggi, nel frastuono della vita moderna, dove pensiamo, ragioniamo e siamo lontanissimi dall’essenza, col risultato di stare sempre più male. Zani racconta in questi libri stupendi la via della saggezza pratica: il primo, dedicato a Plutarco, è ricco di consigli che forse molti psichiatri e psicoterapeuti ignorano o hanno dimenticato. Primo tra tutti quello che ci ricorda che «siamo noi i padroni della parte migliore di noi stessi, quella in cui risiedono i beni più grandi». Perché dovremmo stare male se abbiamo tesori che ci abitano? Forse perché non guardiamo nel modo giusto. È rassicurante sapere che le leggi dell’eternità dell’anima sono sempre le stesse, come i fiori che fioriscono ogni primavera, sempre nuovi e immersi nella stessa legge.
     Riza.it

 
 
 
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