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la verità non è assoluta, ma è relativa

Post n°32 pubblicato il 09 Ottobre 2007 da p_i_a_n_o
 
Foto di p_i_a_n_o

Scrive il filosofo Raimon Panikkar:
"Non dico che funzionerà, ma ancora non se ne è fatta una autentica
prova. Nella pratica personale funziona. E ciò non vuol dire affatto
sottomettersi a un´altra civiltà o perdere la propria identità.
L´identità culturale la si perde così facilmente?
Quando il
cristianesimo è stato potente? Quando era perseguitato. Quindi anche
nelle persecuzioni una civiltà matura, cresce, acquista una propria
identità. Avere paura del nemico non è la stessa cosa del non resistere
al nemico. Il Vangelo lo dice chiaramente. Di cosa ho paura, di
perdere un´identità che è così debole che non si sostiene da sola? Se
ho così poca fiducia in me così come nella civiltà occidentale,
qualsiasi venticello mi farà pensare che saremo attaccati. Ogni civiltà
contiene tutto - l´amore e l´odio, una cosa e il suo opposto - e io
devo averne una visione particolareggiata. Qual´è, per essere
concreti, lo Stato musulmano più popoloso al mondo? L´Indonesia. E gli
indonesiani non sono così pericolosi! Il secondo: l´India. Poi il
Pakistan. Io fin´ora non ho incontrato, in queste popolazioni,
nazionalismi e fondamentalismi così feroci. India e Pakistan si sono
combattute tante volte, ma per ragioni storiche e politiche molto
concrete. Voglio dire che non dobbiamo fare una caricatura delle
altre civiltà, in caso contrario non lamentiamoci se anche loro ne
fanno una simmetrica di noi e della nostra civiltà. La logica della
ritorsione non funziona come difesa contro il crimine o contro il
disordine. Gli ultimi fatti che lo dimostrano sono gli esiti delle
guerre in Afganistan e Iraq. C´è una strada da esplorare per non
cadere negli scontri di civiltà ideologicizzati: è quella della pace e
del perdono. A mio parere c´è una relazione diretta tra pace e perdono.
Ho scritto tanti anni addietro che soltanto il perdono rompe la legge
del karma, dell´occhio per occhio e dente per dente. Il perdono ha una
dimensione che lo rende così grande e difficile: è un atto
eminentemente religioso. Il perdono se non esce dal cuore non è tale.
Io posso non vendicarmi, ma la ferita continua. Detto in termini
teologici: il perdono è una decreazione. Se la creazione è fare dal
nulla una cosa, il perdono è fare che quella cosa torni al nulla. E
perciò non ho bisogno di vendetta, non ho bisogno di restituzione, non
ho bisogno di nulla. La grande difficoltà consiste in come sia
possibile tradurre ciò in termini politici. Non ho una soluzione, ma ho
due commenti.
Il primo commento è che tutti i nostri grandi sforzi
per chiedere la restituzione di un danno subito (evitando il perdono)
non hanno funzionato per quaranta secoli. Mentre il perdono, realmente,
ancora non lo abbiamo provato. Il secondo commento è che il perdono
ha un effetto catartico, purificatore così importante che cambia
l´altro. L´altro si rende conto che ha fatto una cosa che non andava
bene e che tu lo hai ripagato con un atto unilaterale di perdono: per
tutta la vita sarà felice e fedele, perché lo hai guarito, per sempre,
con il tuo perdono. Però bisogna essere chiari su un tema così
delicato. Il perdono non è azione-reazione. Ha bisogno di un tempo di
maturazione, per perdonare è necessario aspettare. Sapere aspettare
costa, e noi viviamo in una civiltà che vorrebbe fare tutto
immediatamente. C´è un tempo per il perdono che non è la reazione
istantanea all´offesa. Sarebbe quasi una burla, o un´impunità. Il
perdono ha un tempo di maturazione, è una decisione che arriverà a suo
tempo. Se non c´è stata questa maturazione interiore, io non sarò
disposto a perdonare, perché ancora sento la ferita, né l´altro sarà
pronto a riconoscerlo, perché si sentirebbe impunito. Trovare questo
equilibrio tra tempo e atto del perdonare è importantissimo. Questo
appartiene alla virtù reale della prudenza. E' necessario
rilevare che gli scontri di civiltà, storicamente, hanno a che fare con
il problema della verità e del suo possesso esclusivo. Non si può
negare, infatti, che in nome della verità si siano fatti crimini
spaventosi e trovate giustificazioni orribili. Noi non siamo i padroni
della Verità. Citando San Tommaso: «chi ha trovato la Verità è
posseduto dalla verità, non ne è il padrone». La verità ci possiede. La
verità è relazione, è sempre un essere con l´altro, altrimenti non è
verità. La verità assoluta è una contraddizione, proprio perché la
verità è relazione. Il grande pericolo, e qui non vorrei
scandalizzare nessuno, è il monoteismo. Il monoteismo pensa che Dio è
la Verità, perché il monoteismo pensa un Dio isolato, un Dio solo. Non
è così in tutti i monoteismi, la questione è molto complessa, ma vi è
questo costante pericolo: benché io non possieda la Verità, c´è un Dio
che la possiede e questo Dio ce l´ha rivelata. Non mi convince il
monoteismo. Penso che il monoteismo non sia cristiano, perché il
cristianesimo crede nella Trinità. Ma anche per la mistica
dell´Islam ci sono tre realtà: l´amore, l´amante e l´amato. Per la
Cabala sono tre le cose increate da Dio: la Torà, la Legge e il popolo.
La Trinità è molto più estesa, anche nelle religioni cosiddette
monoteiste, di quanto non si creda. Pur riconoscendo che in nome della
verità assoluta si sono fatti tantissimi crimini, dico questo: quella
non è la verità.
Una verità che io immagino come assoluta,
togliendole quindi ogni relazionalità – che è l´essenza della verità -
per definizione non è verità, nemmeno quella che viene presentata come
divina. Quindi smascherare questa piaga dell´umanità è un progresso,
che è necessario operare in questo momento storico. Dove il contrario
non è l´indifferenza, non è affermare che la verità non esiste. La
verità esiste, ma è relativa: a noi, ad una mente, a qualsiasi cosa. A
questo proposito devo dire subito ai puritani, non per consolarli ma
per chiarificare, che la relatività che io difendo e di cui sono
convinto, non è il relativismo, dove tutto è uguale. La relatività non
è relativismo: la verità è relativa. Ma per superare il relativismo non
si deve cadere nell´assolutismo. Il rimedio sarebbe peggio della
malattia. Il relativismo non va bene, ma la relatività implica di non
perdere la misura umana. Non si progetta su un punto omega infinito. E'
la nostra vita quella che conta e la mia verità (per essere sincero
direi la mia convinzione, e sono convinto pienamente di tutto quello
che dico) non la assolutizzo perché può esserci un punto di vista
diverso e un´angolatura differente. Quindi, pur riconoscendo che, in
nome della verità, si sono commessi grandi crimini, io ancora difendo
l´idea della verità come relazionalità e non come assolutismo. L´uomo
isolato, solo – e la solitudine dell´uomo contemporaneo è una malattia
dell´anima – non regge, non può respirare, non esiste. Ha bisogno
dell´altro, l´altro come portatore di un messaggio. Come dice la
tradizione musulmana: «lo sconosciuto può essere un angelo». Dobbiamo
aiutarci reciprocamente e essere consapevoli, proprio nel confronto tra
culture e spiritualità diverse, che la verità non è possesso personale,
io non sono l´unico essere buono di questo mondo, l´unico che capisce
cos´è la verità. Abbiamo necessità di comprendere che la verità, forse,
«quando cade dal cielo sulla terra si rompe in cento pezzi, un pezzetto
a disposizione di ciascuno"

 
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