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Riletture,nostalgie adolescenziali,, Ronsard e Werther......

Post n°1205 pubblicato il 23 Agosto 2024 da giuliosforza

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   Procedo con la rilettura dei romantici tedeschi e ho ormai quasi esaurito la scorta estiva.

   Ho purtroppo dovuto trascurare il caro De Musset e i suoi colleghi romantici francesi, che peraltro in un clima meno torrido avevo rispolverato in parte l’anno passato, come due anni fa mi ero ridedicato a Voltaire e i suoi amici, amici si fa per dire, enciclopedisti.

   Rileggere in tardissima età gli autori con entusiasmo divorati, idealizzandoli, in giovinezza, fa uno stranissimo effetto. Il dis-incanto circa tutte le vicende della vita che è caratteristico della mia età coinvolge anche, direi soprattutto, le vicende letterarie: molti miti decadono, molti entusiasmi se non si spengono si attenuano, non ci si stempera più in lacrime per gli eroi e le eroine dei romanzi e delle raccolte poetiche. Insomma, crollano i monumenti e si fruga tra le macerie per cercare di salvare il salvabile. Quante delusioni, amici miei, quanti dèi scacciati dai loro olimpi, quanti re denudati, quanti monumenti spezzati, quanti santi abbattuti dai loro piedistalli e snidati  dalle loro nicchie. Quest’anno poi, la contemporanea lettura, una lettura dovuta, di Saramago, autore d’un provocatorio, anche stilistico, che più provocatorio non si può, e di invenzioni fantastiche d’un tale verismo da sconfinare nel nauseabondo e nell’osceno, ha di più avvelenato le pietanze e mi sono spesso levato dal desco con conati di vomito. Eppure, paradosso, ho goduto: osservare la mia carne flaccida, la mia pelle raggrinzita, le mie ossa intorpidite, il mio cervello che inizia a dar di volta, e nel contempo desantificati gli Humboldt e gli Schlegel, i Tieck, i Fichte, gli Schelling, gli Hegel, i Goethe,  gli Herder le Caroline  le Dorothee  gli Heine se non gli Hӧlderlin e i Novalis, vederli litigare, invidiarsi, calunniarsi, amarsi e tradirsi e sfottersi  dalle cattedre jenensi, sui giornali  e sulle varie riviste letterarie e filosofiche, mi ha dato il gusto sadico di godere delle loro sventure, in punizione delle delusioni, veri e propri tradimenti, che mi hanno procurato.

   La realtà è un’altra: più geni e più uomini nel contempo mi sono  apparsi: tanto più geni quanto più uomini.     

    

*

    Piangete genti e lacrimate forte, il Re dei Noci è condannato a morte.
   Lugete Nymphae, Dryades Satyrique, et quantum est hominun venustiorum, Nux mea mortua est... Nacque con la casa nel mio giardino, or sono quarantasei anni, mio quarantacinquesimo anno. Ora la maledizione biblica l'ha raggiunta né io sono un manzoniano fra Galdino per arrestarla. Ma io so chi è stato lo strumento della maledizione divina, ne so nome e cognome e farò vendetta. Per ogni foglia morta crepitante sotto le mie scarpe una maledizione satanica echeggerà per i colli e le valli intorno, e raggiungerà il reo, la rea, i rei, le ree, fin nelle porte dell'Ade, e gliele spalancherà. E voi, mie Foglie morte, verrà Yves Montand a cantarvi nella veglia funebre le sue 'Feuilles mortes'  

*

   Avevo appena finito di dire dei miei sentimenti per la morte del noce, quando mi sono imbattuto nella descrizione di ben altri sentimenti, quelli vissuti da Werther al ricordo dell’abbattimento dei noci attorno alla sua parrocchia. Ecco le sue parole (ivi, pp.231-233):

   Verrebbe voglia di fare un patto col demonio, Wilhelm, se si pensa alle canaglie che Dio tollera su questa terra, prive della minima sensibilità per quel poco che ha ancora valore in questo mondo. Tu conosci gli alberi di noce presso la casa del pastore sotto la cui ombra stavo seduto con Lotte, quei magnifici noci che, Dio lo sa, mi hanno sempre riempito l’animo della più intima felicità. Come rendevano familiare e raccolta la corte della canonica, e come erano freschi e maestosi i loro rami! E poi il ricordo degli onesti parroci che li avevano piantati tanti anni prima. Il maestro di scuola ci aveva detto spesso il nome di uno di loro, sentito da suo nonno, una gran persona per bene, e la sua memoria mi è sempre stata cara, là sotto quegli alberi. Ecco, ti dico, al maestro di scuola scendevano le lacrime dagli occhi, quando ieri ci ha raccontato che quegli alberi sono stati abbattuti. - Abbattuti! Mi pare di impazzire, sarei tentato di ammazzare quel cane che ha dato il primo colpo di scure. Io che, ne sono certo, potrei impazzire di dolore se avessi nel mio cortile due alberi come questi e se uno morisse per vecchiaia, io, io dovevo vedere una cosa simile, Ma una cosa almeno rimane, mio carissimo! Rimane ciò che si chiama sentimento umano! Tutto il paese ne parla e spero che la moglie del parroco capirà dal burro, dalle uova, e dagli altri doni che le verranno meno, capirà la ferita che ha inferto a questo posto. Perché è stata lei, la moglie del nuovo parroco, anche il buon vecchio è morto, una bestia rinsecchita e malaticcia che ha tanti buoni motivi per non occuparsi del mondo, perché nessuno si occupa di lei. Una stupida, che si dà delle arie da erudita, che mette becco nella interpretazione dei testi canonici, che anzi si dà un gran daffare per la riforma clerico-morale del cristianesimo secondo l’ultimo grido della moda, e che assume atteggiamenti di sufficienza di fronte a quelle che chiama le fantasticherie di Lavater; che ha una salute molto rovinata e per questo non può provare nessun piacere a stare sulla terra di nostro Signore. Solo un tipo così poteva abbattere i miei noci. Vedi, non riesco a farmene una ragione. Ma pensa un po’, le foglie cadute dall’albero le facevano sporcizia e umidità nel cortile; gli alberi gli toglievano la luce del giorno, e poi, quando le noci erano mature, i ragazzi le prendevano a sassate, e questo le dava ai nervi e la disturbava nelle sue profonde meditazioni, mentre stava comparando Kennikot, Semler e Michaelis. Vedendo poi la gente del villaggio così contenta, e specialmente i vecchi, ho provato a chieder: ma perché mai avete permesso una cosa del genere? – Se lo vuole il sindaco, risposero, che possiamo fare noi qui in campagna! Però una cosa almeno è andata per il verso giusto. Il sindaco e il pastore, anche lui voleva ricavar qualcosa dai grilli di sua moglie che certo non gli rendono più saporita la minestra, pensavano di spartirsi la legna, ma il Demanio, venuta a sapere la cosa, ha detto: qua la roba! E ha venduto gli alberi al miglior offerente, Ormai giacciono a terra! Oh, se fossi il principe! Li sistemerei io, i preti, il sindaco e anche la camera demaniale. – Sì, se fossi il principe! – Sì, ma se fossi principe, che cosa me ne importerebbe degli alberi del mio paese”.

   Che in una delle mie vite trascorse mi sia toccato di essere anche Werther? Ho incontrato Werther a braccetto di Ronsard, quello della lunga ode “contro i taglialegna della foresta di Gastine “, che però non è un invettiva ribollente d’odio come il brano di Werter, ma uno struggente compianto lirico-filosofico-monistico-panteistico per la distruzione di un’entità viva e palpitante della natura quale un bosco che le ninfe e gli dei inabitano ed animano del loro stesso respito. “Écoute, bûcheron, arrête un peu le bras / Ce ne sont pas des bois que tu jettes en bas. / Ne vois-tu pas sang lequel dégoutte à force /   des nymphes qui vivvaient dessous la dure écorce”. Così la strofa centrale dell’ode ronsardiana, più pacatamente romantica di quella dello sturmista dei Leiden. Ma in ambedue v’è spazio per lacrime amare che non sono ahimé liberatorie.

 *

   Ero in piena adolescenza, sedici anni compiuti, già da alcuni anni precocemente esiliato in terra allobroga, remotissima dalle mie ridenti regioni sabino-equo-marsicane, il mio animo si struggeva di nostalgia e trascorrevo i miei giorni e le mie notti a rimpiangere la mia pur sofferta fanciullezza, tutta trascorsa tra gli incubi e gli orrori della guerra. Tra le nostalgie più ricorrenti era quella della sorgente della Nocchia che all’epoca sgorgava ancora libera sotto due immensi pioppi ai piedi di quel ‘colle San Biagio’ che da millenni la alimenta. Un giorno che più acuta era la mia romantica Sehnsucht, durante una noiosissima lezione di filosofia tomistica, mi alienai e volai alla  ‘Nocchia’ su una decina di tetrastici di cui amo trascrivere gli ultimi cinque, mentre solitario me ne sto seduto presso l’attuale fonte rusticamente incanalata a rileggere i Leiden des jungen Werthers e il Borgo festeggia, tra processioni, fuochi d’artificio e  marcette di una volenterosa banda velletrana, la sua Patrona Maria Santissima dal bel titolo di ‘Illuminata’,  titolo che sacrilegamente, voltairianamente, un giorno osai trasformare in ‘illuminista’: oltraggio  che non mi sarà mai perdonato. Ecco le cinque ingenue, pateticamente cospicue, quartine:

   “ ………

   “O Fonte della Nocchia che ristori / le forze e dai dolcezza blanda al cuore / quant’era bello il tempo in cui alle aurore / non susseguiva il tramontar del sol! /

    Quando il sereno rimaneva terso / per tutto il giorno, quando alla mattina / non si scorgeva ancor troppo vicina / la tetra notte con i suoi terror!

………

   Dimmelo fonte, dimmi, sai il segreto / per rimanere sempre bimbi? Sai / quale è il segreto per non morir mai? / Dimmelo, se lo sai, dimmelo tu /

   che sgorghi sotto il pioppo sempre nuova, / nata dal monte ch’ora mi ridesta, / come una volta nei bei dì di festa, / il desiderio di salire su /

   con la brigata spensierata a cogliere / tra i folti rovi nido delle serpi / nude le gambe tra

i pungenti sterpi / il dolce frutto che non gusto più”.

  

________________  

 

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 
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