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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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35852 versi. Evento surreale alla Scala. Croce e Dante. E' Primavera?

Post n°1073 pubblicato il 09 Aprile 2021 da giuliosforza

985  

   Nunc est ridendum!

   In un periodo in cui si fa tanto parlare - e, come è giusto, per fortuna un poco anche discutere, se non sparlare - di Divina Commedia, e si fanno paragoni tra essa e gli altri grandi poemi di tutti i tempi, è frequente pure il riferimento al numero di versi di cui essa si compone. Coi suoi 14223 è inferiore solo all’Iliade, ma di molto superiore a Odissea ed Eneide. E a me viene un pensiero bizzarro: se si dovesse valutare un poeta anche col criterio del numero dei versi, io sarei tra i più grandi, se non il più grande, versificatore - in metri rigorosamente classici, dai greco-latini agli alessandrini, con prevalenza dell’endecasillabo e del settenario - di ogni tempo e di ogni luogo: 35852 circa di fatti  sono i versi che ho finora dato alle stampe in tre volumi - per la gioia mia, per quella, spero, degli amici e per quella, indubbia, dei tipografi - da donarsi, non da mercanteggiarsi,  e così distribuiti: Canti di Pan e Ritmi del Thiaso 22680, L’Evità 5698, Aqua Nuntia Aquae Iuliae 7474. Ai quali saranno presto da aggiungere, dovessi un poco ancora campare, quelli del volumetto in preparazione che avrà per titolo assai appropriato …La Sera di Pan.

   Dovesse nei secoli a venire qualche critico imbattersi per caso in me, chissà che colpo, chissà che clamore, chissà che fragore per la scoperta di un cotanto sconosciuto! E che goduria io vedermi, dai miei cieli, come un    Orfeo da uno stuolo di critici-menadi   o come un Pier delle Vigne da uno stormo di critici-arpie, nelle mie povere carni, ogni volta ricomponentisi per nuovi martìri, dilacerato!

 *  

   Storico evento …surreale alla Scala.

   In una sala vuota di pubblico, con gli orchestrali regolarmente mascherati in platea, i solisti distanziati sul palcoscenico, i coristi distribuiti ognuno in uno dei palchi delle prime tre balconate, voci maschili e femminili le une di fronte alle altre, divise dal baratro del teatro vuoto, il bravo Myung-Whun Chung fa quel che può per ottenere il meglio da orchestra e coro. Sono in programma lo Stabat di Rossini e la Trauer Symphonie di Franz Josef Haydn. L’esito è facilmente immaginabile. L’esperimento, unico ritengo nella storia della Scala e di qualsiasi Altro Teatro al mondo, ha sicuramente un suo fascino scenografico, ma solo scenografico. Per il resto bisogna aver bocca buona e rassegnarsi alla dispersione delle voci umane e dei suoni strumentali, ai rimbombi, agli echi, alle sfrangiature, ai ritardi o agli anticipi dei singoli attacchi, facilmente da orecchi minimamente educati percettibili, agli unisoni con comprensibili incrinature, ai finali non netti. Ma credo fosse questo il massimo in tale circostanza ottenibile. Bene hanno perciò fatto direttore orchestra e coro a ironicamente a lungo autoapplaudirsi. Ne hanno avuto del coraggio ad accettare un impegno tanto improbo! E, nei limiti consentiti, sono stati dunque assai bravi. Ho applaudito anch’io in solitudine, felice e triste insieme, come a un Compianto ed una Sinfonia funebre sempre s’addice, ma particolarmente in congiunture come le attuali. E perciò anche ora come non mai Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika, che divinamente ci aiuti a contrastare, o semplicemente a sopportare (e magari, con l’aiuto della presuntuosa mercantile Scienza, a sconfiggere) l’Infame.

*  

   Rai5 mattino: La forza del Destino 1958 San Carlo con Renata Tebaldi Corelli Christoff. Che cast!

   Pomeriggio, teatro: Il Candeliere di De Musset con Piera degli Esposti, Grassilli, Pistilli. Orrendo. Meno male che fa da sfondo il Secondo concerto per pianoforte e orchestra op. 18 di Rachmaninov.

   Nei giorni seguenti vari Feydeau, fra cui il godibilissimo L’albergo del libero scambio (L’hotel du libre échange) e La pulce nell’orecchio, in una strordinaria edizione (1988), con Calindri, Brandi, Gazzolo, Buzzanca, Solenghi, Marzia Ubaldi ed altri, che compensano il tedio dei vari Courteline, soprattutto quello di Boubouroche.

   Ed un ennesimo Elisir d’amore, questa volta con Anna Moffo. Ma ad immagini discrete corrispondono un canto e un suono quasi impercettibili. Capolavori degli anni Cinquanta andati distrutti. Peccato!

 

*

   Un pensiero poco pasquale.

   Trascorsa l’epoca dell’ottimismo della volontà, necessario per la sopravvivenza fra l’universale sfacelo, resta che la cruda verità. Tutta la vita, da quella infima, a quella più alto nella scala evolutiva, non è che un gioco al massacro, tanto più feroce quanto più si sale nella scala evolutiva. La strada alla coscienza è la strada sempre più raffinata al macello.      

*

   La tramontana sembra finalmente cessata. Il cielo è sgombro, i deliziosi piccoli parchi delle Tartarughe e della Speranza (ai quali in questi giorni un altro se ne è aggiunto, il Bettini, rendendo la nostra zona una delle più belle ed ecologicamente vivibili) sono coperti da una soffice tappeto di verde giovane e compatto appena rasato, e le piante accennano ad aprire al sole le loro prime foglioline (i loro infiniti nuovi parti), e ad offrire agli uccelli i loro rami, illusorio  riparo dalla voracità del falco che minaccioso e solitario plana sui palazzi delle cooperative dispersi tra i pini. Spuntano le prime margheritine, poche auto rompono i silenzi delle strade offerte ormai quasi solo ai massacranti rulli delle ruote degli autobus, pur semi o del tutto desolatamente vuoti. Il silenzio è surreale (l’aggettivo più abusato di questi tempi ma anche quello che più ad essi si confà). Dovrei essere sereno ma non lo sono. E come potrei se pensieri di sofferenza e di morte affollano la mia mente e vedo uno dopo l’altro ex collaboratori, ex allievi, amici cadere vittime, direttamente o indirettamente, del morbo che infesta invisibile il mondo e non accenna a placare la sua sorda   e muta violenza? Che l’esserne testimone, che il mio vivere al lungo sia il mio castigo? E inutilmente mi consolano i ‘resurrezionisti’, e non riesco più a credere, come credetti, al davidico renovabitur ut aquilae iuventus tua.

   Urlare je m’en fiche.

   A questo si ridurrebbe dunque il senso del mondo, a un volgare me ne frego?

   Mi ribello. Finché un uomo, un uomo solo, penserà il mondo, soggetto, non oggetto, sarà del mondo. Tutti gli sforzi dei pensieri pensati, le cose, non potranno annullare il pensiero pensante. Forse dovrà solo, il pensiero pensante, diversamente pensare. Forse l’occasione buona è giunta perché la Coscienza, il Pensiero che si autopensa (lo Selbstbewustsein) e pensandosi pone il mondo, cambi direzione o la recuperi.

 

*

   Perché odi et amo Benedetto Croce, e quare id faciam fortasse requiris. Tenterò una risposta.   Non ho amato, e non amo, Benedetto Croce uomo: rampollo di facoltosa famiglia borghese marsicana, quasi mio conterraneo, non ebbe bisogno di appigionarsi. Non si laureò, non gli interessò la carriera universitaria, non fu mai accademico, se mai gli accademici li faceva lui, celatamente connivente il suo amico-nemico Gentile: sedeva sullo scranno di pontefice massimo della critica storico-letteraria con uno stuolo di schiavi adoratori ai suoi piedi, e nutu capitis faceva e disfaceva scagliando fulmini a destra e a manca dalla casa che fu di Vico. Guai a chi incappava nella sua ira funesta. Fu egoista e insensibile e cinico di fronte alla sorte tragica del Filosofo di Castelvetrano, geloso del suo precocissimo successo filosofico. E quando la vita la politica e la filosofia li divisero il suo comportamento fu molto ambiguo: lanciò sì il Manifesto degli intellettuali antifascisti, ma dopo quel gesto clamoroso se ne stette buono al caldo delle sue vaste case fra i suoi innumerevoli libri e i suoi innumerevoli fantasmi. Il Regime non lo confinò né esiliò, ma egli non scelse l’esilio volontario, come in Germania e in Russia fecero i più grandi intellettuali e scienziati. E non fu una provocazione al regime, si trattò solo di una quieta convivenza, spero non contrattata sottobanco, comoda per ambedue, soprattutto per il regime che si sentiva coonestato di fronte al mondo dal fatto di nutrirsi in seno il suo (forse) più pericoloso avversario intellettuale. C’è chi continua a ritenere l’atteggiamento di Croce una mossa astuta. Io continuo a ritenerlo solo una mossa comoda.    Dunque, non amavo né amo Croce uomo. Ma anche in quanto ‘filosofo’ (egli più che filosofo fu storico e per questo forse teorizzò la riduzione della filosofia alla sua storia) ho da ridire. La sua filosofia ‘delle quattro parole’ non fu un servizio al Neo-Idealismo, fu se mai il suo tradimento: un tentativo mal riuscito di distinguersi dal rigido, quello sì, e coerentissimo Attualismo gentiliano, frantumando l’unità dello Spirito, senza il quale non v’ha Idealismo. Fu in sostanza un retaggio della sua innata tendenza positivistica. Inoltre, ma qui scado nella celia e bisogna che subito mi ricomponga, non amavo la sua solenne ingilettata obesità e la sua posa da Buddha più di quanto amassi sigaro ed epa di colui al quale “Re Giorgetto d’Inghilterra, per paura della guerra, chiese aiuto e protezione: il ministro Churchillone”, come all’incirca recitava una delle filastrocche antialbioniche che a noi balilla insegnavano al ‘bosco del Littorio’. Un Churchillome al quale molto fisicamente il Nostro somigliava.   Tutto questo preambolo per poi finire col dire che …mi piace l’Estetica crociana!  Cercherò di spiegarmi.   Come tutti sanno il trattato di Estetica non fece che sviluppare le idee contenute nel Breviario di Estetica, nel quale Croce aveva raccolto quattro sue conferenze sul tema, alla cui pubblicazione Papini se ne era uscito, non ricordo se su Leonardo o Lacerba, con l’irriverente e divertente epigramma: ‘Benedetto è quella cosa / che ti scrive anche il Breviario. / Preferisco il sillabario / ci si impara assai di più”.   Io dunque amo l’estetica crociana. E il motivo è semplice: perché condivido la definizione dell’Arte come intuizione pura, o sintesi lirica a priori di intuizione e sentimento, di forma e contenuto sicché (e qui è d’obbligo notare il …prestito gentiliano de “L’Idea senza Azione è vuota, l’Azione senza Idea è cieca”), crocianamente ‘l’intuizione senza sentimento è vuoto, il sentimento senza intuizione è cieco’. E poi amo l’Arte per l’Arte (la classica Ars gratia Artis); e, anche se con dei distinguo, condivido la polemica contro l’estetica intellettualistica, edonistica, utilitaristica, moralistica (che seconde me non esclude una Poesia pensante e un Pensiero poetante, un modo ancor più nobile di intendere la sintesi a priori estetica entro la dialettica dell’unità dello Spirito). E poi amo l’implicito concetto del primato dell’arte, che merita che il Vitam impendere Vero si traduca in Vitam impendere Pulchro, e che la dialettica dello Spirito, da Arte Religione Filosofia, si capovolga (echi schellinghiani) in Religione Filosofia Arte, predicando l’Arte il momento universale, non più particolare, dello Spirito.    Questa mia concezione radicalizzata trovo implicita nell’Estetica crociana, e per questo mi piace.   Una tale concezione estetica consentì a Croce una critica dantesca (vedi La poesia di Dante, Laterza 1921) che doveva far molto discutere, quasi fosse una demitizzazione: la Divina Commedia sarebbe un’opera più didascalica e teologica che lirica. Solo nell‘Inferno probabilmente è possibile rinvenire qua e là i tratti d’un lirismo puro. Una valutazione come si vede molto vicina a quella di Voltaire, che del Fiorentino si sentiva di salvare non più di duecento versi!

   P. S.

   Qualche tempo fa, influenzato dalle opinioni di Voltaire, di De Sanctis e di Croce, volli mettermi anch’io alla ricerca dei momenti da me ritenuti più prettamente lirici del Poema, enucleandoli pignolescamente da ognuna delle tre Cantiche. Ritrovo ora l’agenda con gli appunti e m’accorgo di essermi fermato a Purg. XV 75 (e come specchio l’uno l’altro rende), quindi precisamente a metà dell’opera. Un buon punto per ricominciare e terminare, e magari ricredermi o confermare l’opinione del Parigino, del Morrese, del Pescasserolese.

_________________

   Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

   Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika!

 

 
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