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Messaggi di Febbraio 2022

gner

Post n°1110 pubblicato il 26 Febbraio 2022 da giuliosforza

1015

   In questi giorni in Viale Trastevere si decreta circa forma e contenuti del prossimo esame di maturità in emergenza covid. Sarei curioso di sapere se in una prova sempre più svuotata di senso ci sarà posto per il Vate. Ne dubito. Per questo come provocazione condivido per gli amici scevri da pregiudizi un articolo informato e sereno di un giornalista non appigionato uscito su “Il Foglio” una decina di anni fa. Non posso essere più preciso circa la data perché la fonte è un ritaglio perso fra mille altri nella cartella destinata ai ritagli. Per un candidato coraggioso l’articolo può essere di valido supporto.

   D’ANNUNZIO E IL SUPERUOMO. LECTIO BREVIS AD USO DEI MATURANDI.

   Gabriele, un macho più di Nietzsche che cercava il beau geste, di Mario Bernardi Guardi

«Trenta anni fa poteva capitare di ritrovarsi tra colleghi che ritenevano ideologicamente, politicamente e scolasticamente scorrettissimo inserire le opere dannunziane nel programma dell’esame di maturità. Il Vate aveva due grosse colpe: quella di essere stato, col suo vitalismo erotico, “macho” ed estetizzante, un fascista prima ancora che il fascismo apparisse all’orizzonte; e quella di aver fatto proprio il mito del Superuomo, condividendo le frenesie pagane di Nietzsche che, allora e benché Colli e Montinari ci lavorassero già da tempo per denazificarlo, era da non pochi considerato il battistrada delle orde crociuncinate. Poi accadde che De Felice, su cui la sinistra faceva piover maledizioni un giorno sì e un giorno no, scrivesse un D’Annunzio politico (Laterza 1978) che, documenti alla mano, mostrava come il Vate con le Camicie Nere e con Mussolini si fosse in più circostanze trovato tutt’altro che d’amore e d’accordo e come addirittura alcuni esponenti dell’antifascismo avessero pensato di utilizzarne il carisma contro lo strapotere ducesco. Quanto a Nietzsche, l’intellettualità progressista, di giorno in giorno in crescente crisi di astinenza, dopo essersi attaccata fino all’ultimo alla barba del giovane Marx, fu folgorata dallo Zarathustra trasgressivo, ludico e libertario che cominciava a farsi largo tra le belle bestie bionde da preda care ad Elizabeth Forster Nietzsche, sorellina antisemita di Friedrich, nonché a Hitler, gerarchi ed SS in ordine sparso. Insomma, diventato quasi antifascista o, per lo meno, un fascista molto ‘sui generis’ e non più colpevole di esser stato nicciano, perché ormai nicciani (e, in contemporanea, molto schmittiani e un po’ popperiani) erano diversi intellettuali della sinistra che contava, D’Annunzio cominciò ad essere riscoperto e a ricomparire nei programmi dei licei. A dispetto di un superomismo che non lascia spazio ad ambiguità: perché è decisamente virilista, impregnato di miti eroici ed erotici, aristocratico e barbarico nella sua vocazione al dominio. Per certi versi si può dire che D’Annunzio sia più nicciano di Nietzsche: e nicciano nel senso che si dava a questo termine prima della “denazificazione”.

   È il 25 settembre 1892 quando il nome di Nietzsche (che inquietamente aveva girovagato nel nostro paese, cercando conforto a malanni di ogni genere e agli oscuri tormenti della nevrosi: si legga il geniale, ribaldo e irriverente “Nietzsche” di Massimo Fini, Marsilio) appare per la prima volta in Italia. Proprio in un articolo di Gabriele D’Annunzio, pubblicato dal “Mattino” di Scarfoglio. Il titolo è “La bestia elettiva”: divagazioni sulla “morale dei signori” e “morale egli schiavi”, secondo quel che ne scrive lo sconosciuto filosofo Nietzsche. Il “pezzo” del Vate funziona da lancio: lo stesso anno compare un libro di Ettore Zoccoli, nel 1898 la traduzione italiana di “Al di là del bene e del male”, nel ’99 lo “Zarathustra”, nel 1903 uno studio di Francesco Orestano, mentre un appello antidemocratico, individualista, pagano, antiumanitario, anticristiano viene lanciato dai giovani del “Leonardo” (in testa Papini e Prezzolini) che evidentemente qualcosa di Nietzsche hanno letto. Nel 1905 compare “La gaia scienza”, mentre sarà Benedetto Croce a patrocinare, due anni dopo, la traduzione di “La nascita della tragedia”: lo stesso don Benedetto, in quegli anni affascinato dalle eresie culturali di segno antiliberale e antidemocratico, che nel 1909 scriverà la presentazione alle “Considerazioni sulla violenza” di Sorel, stravagante pensatore caro a Mussolini, Lenin e Gobetti. Ma torniamo al Vate.

   Il suo Nietzsche è lo spirito libero scatenato contro la mediocrità piccolo borghese. La pienezza vitale. La gioia creativa e la sfida alle convenzioni. L’ebbrezza dionisiaca e la forma apollinea. L’eccesso nella bellezza e nella potenza. La sovrabbondanza delle immagini, dei suoni, delle emozioni, delle visioni. La riscoperta del corpo e il suo affrancamento da ogni mortificazione ascetica. L’unità tra uomo e natura. E ancora: l’individuo contro la massa, il culto degli eroi, della forza, dell’espansione, della guerra. E del “beau geste”, compiuto da chi se lo può permettere. Come, per l’appunto D’Annunzio. Nicciano prima di Nietzsche, più di Nietzsche: o meglio zarathustriano, se Zarathustra è, a legger la biografia di Fini, quel che il borghese piccolo piccolo Federico Nietzsche avrebbe voluto essere e non fu. Superuomo, come sensuale pienezza che si effonde, c’è già in “Primo vere” che è una raccolta di poesie del D’Annunzio adolescente. Superuomini sono i protagonisti dei romanzi: il raffinatissimo esteta Andrea Sperelli del “Piacere”; lo spirito raro Tullio Hermil dell’“Innocente”, convinto che agli uomini di sensibilità eccezionale tutto sia consentito: il Giorgio Aurispa del “Trionfo della Morte”, che detesta l’umanità brutta e volgare ed entra in conflitto con la donna che, in nome dei sensi e dei sentimenti, lo trattiene dall’azione; il Claudio Cantelmo delle “Vergini delle rocce”, alla ricerca della fanciulla dalla quale generare il dominatore, il Re di Roma, l’Aristocratico per eccellenza; lo Stelio Effrena del “Fuoco”, l’Artista, l’Immaginifico secondo cui “la fortuna d’Italia è inseparabile dalle sorti della Bellezza cui ella è madre”.

   Ma a D’Annunzio piace anche teorizzare e lo fa, diciamo così, “pro domo sua”, allorquando, nell’estate 1893, pubblica sulla “Tribuna” tre articoli per “bacchettare” Nietzsche in nome di Wagner. Se in Nietzsche c’è infatti la tentazione a superare il proprio tempo in nome di un ideale ascendente e solitario, D’Annunzio gli dice di no: vuole un Superuomo “nel tempo” e alla ribalta, che trionfi sui palcoscenici, che trasformi il suo eccesso in successo. L’aristocratico cerca il trionfo “democratico”, lo “splendido isolamento” non fa per lui. Gli inattuali e i trasgressivi meritano la pubblica celebrazione, gli “osanna”, non i “crucifige”. E se “la fortuna d’Italia è inseparabile dalle sorti della Bellezza”, vuol dire che la fortuna d’Italia è inseparabile dalle sorti del Superuomo. Da una parte, allora, grande poesia: è il D’Annunzio delle “Laudi”: “Maia”, “Elettra”, “Alcyone”. Vengono celebrati la bellezza del creato, l’immersione nella natura fino alla metamorfosi, gli spiriti eletti. Tra questi Nietzsche che, prigioniero della sua follia, muore il 25 agosto 1900. Innalzandogli un’ode in “Elettra” (“In morte di un Distruttore”), D’Annunzio celebra un Maestro, ma anche un suo pari. I toni sono suggestivi, solenni, squillanti (“Grande sarà l’estate sui monti / con gelide fonti /e silenzio infinito. / L’aquile ci porteranno il cibo / coi lor curvi rostri. / Vivremo come i venti forti. Negli occhi profondi / avremo la terra futura”). Ma le parole della grande poesia preparano l’appuntamento del Superuomo con la grande politica.

   La creazione letteraria anticipa la creazione storica. D’Annunzio aspetta dagli italiani – che lo imitano, lo incensano, lo idolatrano – l’appello a fare un’altra Italia. Quando, nel 1914, scoppia la Prima guerra mondiale, è in Francia. Lo hanno costretto a fuggire i creditori imbufaliti dal suo incessante spendere e spandere. Gentuccia “usuriera” che vorrebbe che il Superuomo pagasse i debiti. Ma, nel Maggio del ‘15, l’Italia chiama. D’Annunzio interviene nel nome dell’interventismo. A 52 anni suonati va al fronte, combattendo e sbeffeggiando i nemici per terra, mare ed aria. Poi, ci sarà l’impresa di Fiume. E D’Annunzio, per dirla con Pound, “sarà l’unico poeta al mondo che abbia conquistato una città”. Il suo carisma esploderà dai balconi, anticipando Mussolini, tra folle di legionari, chierici vaganti, avventurieri di tutte le razze, patrioti e sovversivi. Il Soldato ce la metterà tutta per farsi Legislatore. Ma il Nitti “Cagoia” e il “malavitoso” Giolitti saranno più forti di lui. E l’amico/nemico Mussolini, che ben conosceva le debolezze degli uomini e le velleità dei superuomini, e che di Nietzsche aveva fatto una spregiudicata lettura utile ai suoi scopi, gli soffierà la Marcia su Roma».

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Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et        absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

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Baudelaire e Wagner

Post n°1109 pubblicato il 18 Febbraio 2022 da giuliosforza

 

1017

  Ciò che Richard Wagner, il mio prediletto fra tutti gli amanti di Frau Musika, rappresentò anche per Charles è molto ben raccontato da Claude Pichois e Jean Ziegler nel loro Baudelaire (414-416 e passim, Il Mulino 1990). La reciproca stima fra i due Geni a lungo in patria incompresi la dice molto sulla loro grandezza, ed è un vero peccato che il Lipsiense non abbia potuto trovare posto in Les Phares, la sesta lirica delle Fleurs, fra i Rubens, i da Vinci i Buonarroti. Certo Charles ne avrebbe detto ‘quel che non fue mai detto d’alcuno’. Già nel 1849, seconda permanenza di W. a Parigi per la rappresentazione del Tannhäuser, quando la canea dei critici si levò contro il Lipsiense assicurandone brevissima sopravvivenza, Charles fu il primo e il solo a intuirne la grandezza e a celebrarla. Ne trovo testimonianza anche su un numero  della  Gazette Musicale che ho la ventura di possedere, scovato per caso tra i mucchi polverosi di libri e riviste di ogni epoca presso un bouquiniste del Lungosenna negli anni Ottanta, in occasione di uno dei miei numerosi pellegrinaggi alla Ville Lumière.

   “Gran gioia e consolazione, in quegli anni, scrivono gli autori del Baudelaire, la scoperta di Richard Wagner che, nel 1849, giudicava già colui che l’avvenire consacrerà come il più illustre tra i Maestri, ma di cui non doveva avere se non una conoscenza superficiale. Wagner ha soggiornato a Parigi dal 1839 al 1842, nel 1849, dopo essere stato cacciato dalla Sassonia in seguito alla repressione, nel 1850, nel 1853 – sorvegliato dalla polizia che lo considera un pericoloso rivoluzionario -, nel gennaio 1858. Vi ritornerà nel settembre 1859, accolto con entusiasmo e ammirazione dai francesi, tra i quali Champfleury. Per preparare il suo debutto all’Opéra, il 25 gennaio, l’1 e l’8 febbraio 1860 dà tre concerti al Théâtre des Italiens, dirigendo personalmente l’orchestra e i cori. In programma l’ouverture del Vascello fantasma, brani del Tannhäuser e del Lohengrin, e il preludio del Tristano. Baudelaire vi assiste e confida a Malassis, intorno al 10 febbraio: «è stato un avvenimento nel mio cervello»; poi il 16; «Non oso più parlare di Wagner: mi sono fatto troppo prendere in giro. Quella musica è stata uno dei grandi godimenti della mia vita; erano 15 anni che non provavo un simile rapimento». E il 17, la grande lettera allo stesso Wagner, piena di ammirazione appassionata, così bella che merita di essere riportata per esteso:

 

   «Signore,

   Ho sempre pensato che per quanto un grande artista possa essere avvezzo alla gloria, non sia insensibile a un complimento sincero, se questo complimento è quasi un grido di riconoscenza, e che questo grido può avere un valore tutto particolare venendo da un francese, ossia da un uomo poco portato all’entusiasmo e nato in un paese in cui si è perso il senso della poesia e della pittura oltre che della musica. Voglio dirvi prima di tutto che devo a voi il più grande godimento musicale che io abbia mai provato. Ho un’età in cui non si ha più il gusto di scrivere alle celebrità, e avrei esitato ancora a lungo a esprimervi per lettera la mia ammirazione, se non mi capitassero ogni giorno sotto gli occhi degli articoli indegni, ridicoli, in cui si fanno tutti gli sforzi possibili per diffamare il vostro genio. Voi, signore, non siete il primo per cui ho dovuto soffrire e arrossire del mio paese. Alla fine, l’indignazione mi ha spinto ad esprimervi la mia riconoscenza; mi sono detto: voglio che mi si distingua da tutti quegli imbecilli.

   La prima volta che sono andato alla Salle des Italiens per ascoltare le vostre composizioni, ero mal disposto, e, lo confesso, pieno di pregiudizi sbagliati; ma in questo sono scusabile; tante volte sono stato deluso; mi è accaduto così spesso di ascoltare la musica di qualche pretenzioso ciarlatano, Con voi, sono stato subito conquistato. Quello che ho provato è indescrivibile, e se avete la bontà di non ridere, tenterò almeno di tradurlo. In un primo momento mi è sembrato già di conoscere quella musica, e più tardi, ripensandoci, ho capito da cosa derivava un tale miraggio; mi pareva che fosse la mia musica, e la riconoscevo come ogni uomo riconosce le cose che è destinato ad amare. Per chiunque non sia un uomo d’ingegno, questa frase sarebbe immensamente ridicola, soprattutto scritta da uno, come me, che non conosce la musica, e che, in fatto di educazione, si limita ai pochi bei brani di Weber e di Beethoven che ha ascoltato (con grande piacere, è vero).

   Poi l’elemento che mi ha principalmente colpito in questa musica è la grandezza. Rappresenta cose grandi, e nel tempo stesso spinge a grandi cose. Ho ritrovato sempre nelle vostre composizioni la solennità dei grandi rumori e delle grandi visioni della Natura, e la solennità delle grandi passioni umane. Ci si sente subito rapiti e soggiogati.  Uno dei pezzi più strani, che mi ha dato una sensazione musicale nuova, è quello che evoca un’estasi religiosa. L’effetto prodotto dall’ingresso degli invitati e dalla festa nuziale è immenso.

Ho sentito tutta la maestà di una vita più vasta della nostra. Ancora una cosa: ho provato sovente un sentimento di natura alquanto strana, l’orgoglio e il piacere di comprendere, di lasciarmi penetrare, invadere, voluttà veramente sensuale, che assomiglia a quella di sollevarsi nell’aria o di andare per mare: e al tempo stesso dalla musica emanava a tratti l’orgoglio della vita. In generale quelle profonde armonie mi parevano paragonabili a quegli eccitanti che accelerano il polso dell’immaginazione. Infine ho provate anche, e vi supplico di non ridere, certe sensazioni che dipendono probabilmente dalla forma del mio spirito e dalle mie frequenti preoccupazioni. C’è ovunque qualcosa di esaltato e di esaltante, qualcosa che aspira a levarsi più in alto, qualcosa di eccessivo e di superlativo. Per esempio, per ricorrere ai paragoni tratti dalla pittura, immagino davanti ai miei occhi una vasta distesa di un rosso scuro. Se questo rosso rappresenta la passione, lo vede arrivare gradualmente, attraverso tutte le sfumature intermedie di rosso e di rosa, fino all’incandescenza della fornace. Sembrerebbe difficile, per non dire impossibile, arrivare a qualcosa di più ardente; e tuttavia un ultimo razzo viene a tracciare un solco più bianco sul bianco che fa da sfondo. Sarà questo, se volete, il grido supremo dell’anima giunta al parossismo.

   Avevo cominciato a scrivere qualche riflessione sui brani di Tannhäuser e di Lohengrin che abbiamo ascoltato; ma ho dovuto riconoscere che è impossibile dire tutto.

   Così potrei continuare la mia lettera all’infinito. Se siete riuscito a leggermi ve ne ringrazio. Mi resta solo da aggiungere qualche parola. Dal giorno in cui ho ascoltato la vostra musica, mi dico di continuo, soprattutto nei momenti difficili: se almeno, stasera, potessi ascoltare un po’ di Wagner! Senza dubbio ci saranno altri uomini fatti come me. In conclusione, dovete essere stato contento di un pubblico che ha dato prova di un istinto ben superiore alla falsa scienza dei giornalisti. Perché non date ancora qualche concerto aggiungendo dei brani nuovi? Ci avete fatto sentire un presagio di godimenti nuovi; avete il diritto di privarci di tutto il resto? – Ancora una volta, signore, vi ringrazio; in un momento difficile mi avete restituito a me stesso e a quanto v’è di più grande.

   Ch. Baudelaire

   Non aggiungo il mio indirizzo, perché potreste credere che io abbia qualcosa da chiedervi».

*        

   Io amo la musica tedesca, in particolare quella di Wagner, perché possiede il senso del sacro e del mistero, quel sacro e quel mistero che che sono dentro le cose, che sono anzi le cose, e che essa è chiamata a disvelare traducendoli in suono. La stessa ragione che mi fa amare Baudelaire, che della musica, pur umilmente professandosene ignorante, intuisce l’arcana natura e ne traduce in versi l’essenza sonora. Prendendomi la libertà di leggere l’une mer del primo verso anche come une mère, dirò subito che il rapporto di B. con la musica è un rapporto da madre (che la parola mare in francese anche foneticamente evoca) a figlio: egli inabita già ‘armonico’ il ventre materno, Euterpe assiste alla sua nascita, mai   una vita turbata come le onde del mare profondo riuscirà a recidere quel cordone ombelicale. Nel mare-madre egli vivrà sempre affogato ed Armonia sarà la sua pronuba. La poesia che Wagner gli chiede onde meglio conoscerlo, in realtà esiste già: è la 69 della prima sezione, Spleen et Idéal. Si tratta di un intenso sonetto anomalo nei soliti 14 versi, ma in questo caso alessandrini i pari, senari i dispari: un ritmo che non è unico in B. per ragioni estetiche che non sta a me qui esaminare e valutare, Ma l’esito è gradevole al mio orecchio e ben traduce l’effetto dell’onda sonora nell’animo del Poeta. De Nardis nella sua versione non tiene conto del ritmo anomalo e traduce tutto in endecasillabi, fedelmente come sempre: scelta che per altro, data la l’iniziale decisione di una versione ritmica, mi appare discutibile.     

   La Musique

   La musique souvent me prend comme une mer!
   Vers ma pâle étoile,
   Sous un plafond de brume ou dans un vaste éther,
   Je mets à la voile;

   La poitrine en avant et les poumons gonflés
   Comme de la toile;
   J'escalade le dos des flots amoncelés
   Que la nuit me voile;

   Je sens vibrer en moi toutes les passions
   D'un vaisseau qui souffre;
   Le bon vent, la tempête et ses convulsions

   Sur l'immense gouffre
   Me bercent. D'autres fois, calme plat, grand miroir
   De mon désespoir!

   Come un mare la musica sovente / mi rapisce! E inalbero la vela / sotto nebbiosa volta o nell’azzurro / verso la mia pallida stella. / Petto in avanti, come vela gonfio, / scavalco dei gran flutti accavallati / le creste, che la notte mi nasconde. / In me sento vibrare affetti opposti / come una nave che patisce. Il vento / che l'asseconda ed i convulsi strappi / della tempesta sull'immenso abisso / mi cullano. – Altre volte, poi, bonaccia: / specchio alla mia disperazione!

   Tranne il primo verso, non trovo il sonetto il massimo per Baudelaire. Ed idem dicasi della traduzione, il cui quarto verso s’inceppa in un novenario.

*

   Quanto Charles s’auspicava da Wagner, altra grande musica rivoluzionaria, sarebbe arrivato. Il Ring e Parsifal, i capolavori assoluti, erano in laboriosa gestazione. Ma egli, destinato a morte precoce nel ‘67, non avrebbe assistito alla loro venuta alla luce. Non li avrebbe mai ascoltati, se non dalle orchestre angeliche. Non sarebbe stato travolto, con Isotta (unbewusst, hochste Lust!) nel gran Mare dell'Assoluto, nel polypèlagos tou kalou', il grande oceano del Bello. Che ne avrebbe scritto se avesse potuto udirli? Wagner da parte sua leggerà la lettera di B. pubblicata sulla ‘Revue européenne’ e manifesterà la sua gratitudine: “il vostro articolo mi onora e (…) mi incoraggia più o di tutto quanto sia stato detto del mio misero talento”.

   L’incontro di due Geni.

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Fortunella margarita. I servi del Potere. Nenia blu. Cos'è 'classico'

Post n°1108 pubblicato il 13 Febbraio 2022 da giuliosforza

1016

   Avevo dimenticato, smarrita nella steppa sconfinata e gelida della mia memoria, la mia renna. L'ha ritrovata Fiamma. Ed ora è di nuovo qui, dolcissima e tenerissima, a tenermi compagnia nella mistica solitudine.

*

   Ho scritto:

   “Mi è stato donato, ‘con Amore’, questo 'Citrus Kumquat', vulgo 'Fortunella margarita', alias mandarino giapponese. Ho trascorso il bel mattino di sole a trapiantarlo, e mentre lo trapiantavo lo amavo, e amavo la Donatrice, e invano la mia stessa ombra tentava di celarmelo/a. Le sue energie passavano in me ed in Lui (ché Me ormai è, non un esso impersonale) le mie. E un fascio di Vita luminosa e di Luce vivente ci avvolgeva e come un'unica Natura nutriva. E fummo tutt'uno: 'Iulius-L-Citrus-kumquat-Fortunella-margarita', ormai. Ne tengano memoria Linnaeus e la prof amica Maria Salvi, eccelsa botanica”.

   Uno dei commenti, tanto più gradito quanto inatteso: 

   Che bello. Ora per fortuna vivrà, non tanto per il pollice verde , ma per il solo fatto di avergli dato un nome e di vivere nel tuo giardino .... fortunato chi sarà ora degno di assaggiare i suoi / i tuoi frutti.

Felice proseguimento di nuovo anno .

Nike

*

   Oggi voglio un poco turbare il clima da 'volemose bene" di questi giorni di "quiete alcionia" e abbandonarmi a pensierini corsari, suggeritimi dalla visione di due programmi televisivi.

   Le trasmissioni che si contendono il primato di ascolti nelle tv di stato e nella maggiore delle private sono, sulla prima, "L'Eredità", sulla seconda "Caduta libera", i cui rispettivi noti presentatori, insopportabilmente manierosi e ciarlieri, fanno a gara nel celebrar le lodi della propria azienda da una parte e, a fini d'ascolto e quindi di lucro, nel blandire il pubblico degli spettatori, di quei babbei beoti che siamo noi che li stiamo ad ascoltare.

Il fine vorrebbe essere, dicono gli ideatori di programmi del genere, divertire, rilassare e, nel contempo, educare. Ohibò! In quanto a far ridere i presentatori dei due programmi ci riescono alla perfezione! Ma in quanto ad educare (termine che continuo a usare con diffidenza, come molti miei amici ben sanno) ho i miei dubbi.

   Io ho sempre ritenuto l'intento di una educazione che non sia ipocrita volontà di massificazione, di asservimento, di assopimento di coscienze, dover essere, detto in termini essenziali, quello della formazione di menti il più libere possibile, sì da "strappare pecore al gregge, servi ai padroni, schiavi ai tiranni". Ove il gregge siamo noi, i tiranni e i padroni gli asservitori di coscienze, i procacciatori, con ogni strumento, di adoratori ai baconiani "idola specus, tribus, fori, theatri". E Dio, se ci riescono! E Dio se ci riescono i loro mediatori, i presentatori, dio come bene adempiono al ruolo, non certo invidiabile, di servi alla seconda potenza, perché nello stesso tempo dei tiranni e delle loro vittime!

   Ho o no il diritto di compiangerli, se non di odiarli? Ho o no il diritto di avere un poco di fastidio della maniera servile con cui conducono il programma? Sì, ne ho, e tanta, tanta da trasformarsi in pietà: pietà per il loro mestiere di procacciatori di pecore al gregge, di servi ai padroni, di schiavi ai tiranni, mestiere non certo invidiabile anche se ben remunerato.

   Era solo un pensierino corsaro in fondo innocuo di un che il Natale, pardon la quiete alcionia, un poco ha tediato.

*

   Due endecasillabi poco natalizi:

   Nacqui e vissi impastato d'Utopia.

   A morire m'avvio di Distopia.

*

"Nenia blu al Bambino Gesù".

Ebbene sì, fra le mie composizioncelle (Péchés de jeunesse!) per quattro voci dispari a cappella destinate al mio Coro "Metanoesi", una ve n'è che prediligo: una ‘Ninna Nanna’ che era nata con la nascita della mia prima figlia, una semplice melodia con parole ancor più semplici, venute da un cuore e da una mente ancora non corrotti dai cerebralismi ...demonici, se non demoniaci. dei successivi "Canti di Pan e ritmi del thiaso". Si intitola "Nenia blu al Bambino Gesù" e suona così (spero di riuscire ad affidare in un secondo momento a you tube la melodia):

   "Vorrei scavar nel profondo del cuore

   Per ritrovare il mio antico candore

   E sussurrare al Bambino Gesù

   Questa dolcissina mia Nenia Blu.

   Blu come il cielo blu come il mare

   Blu come tutte le cose da amare,

   Come la gioia che in cuore mi danza,

   Come i sentieri della Speranza.

   Io guardo il cielo, guardo le stelle

   Del Bambinello son meno belle,

   Egli ha negli occhi tale splendor

   Che al paragone è spento il Sol.

   Quando il Bambino chiude gli occhietti

   Scendon dall cielo quattro angioletti,

   Uno lo culla, uno gli canta

   Uno di tremule stelle lo ammanta;

   E il quarto angelo che è il più piccino

   Carezza in volto il Bimbo divino

   E poi lo bacia sugli occhi celesti

   E sulle seriche sue bianche vesti.

   Quando il Bambino s'è addormentato

   Quell'Angioletto che l'ha cullato

   Torna nel cielo, nel cielo blu

   Perché il Bambino non piange più".

*

   Mi chiedi, cara, quale sia il mio concetto di "classico". Ti risponderò con le parole di Piero Bargellini (sindaco di Firenze durante l'alluvione del 1966, letterato finissimo, il piu' fine della cerchia dei papiniani coi vari Betocchi, Lisi, Giuliotti, De Luca, Fabretti ecc, e deputato e senatore lapiriano) che così chiude l'introduzione al suo "Pian dei Giullari", godibilissimo Panorama della letteratura italiana in più volumi: "Ci penserà l'autunno a far seccumi. Mentre i sempreverdi resisteranno alle tramontane, il Tempo farà fascine della stipa; il Tempo, molto più crudele del vostro Piero Bargellini".

   Soddisfatta, cara? Classico è ciò di cui il Tempo non farà presto, anzi mai, seccumi.

   (Con Bargellini fui in rapporto epistolare a fine Anni Cinquanta, all'epoca del mio Circolo culturale giovanile "Giovanni Papini")

*

 Autoritratto con sogno

 Ero a Vienna a prendere un caffè al ‘Café Central’. E al tavolo con me chi c’era? C’erano Klimmt, Klee , Koschuska e Schiele, tutti e quattro insieme, il vanto della pittura austriaca e svizzero-tedesca: stavamo lì, silenziosi, ognuno chiuso nei suoi pensieri, il cui tenore era facile intendere dal loro rivelarsi sui volti in sorrisi o in aggrottar di ciglia o in ammiccar di sguardi. S’era nella prima decade del Novecento, ma il Café Central era contemporaneamente il mio angusto studiolo ed era la notte scorsa. Come a un sogno s’addice, relativizzazione totale dello spazio-tempo. Peccato che nel sogno non sia intervenuto Freud, anch’egli, e nella stessa epoca, abituale frequentatore del locale viennese. Ora Sigmund mi sarebbe utile per l’interpretazione del mio strano sogno. Da notare che io non sono un frequentatore assiduo dei quattro pittori e che le mie conoscenze sono nei loro riguardi assai poco profonde.

   Non so perché appena sveglio m’è venuta voglia di autoritrarmi nell’angusto passetto. Lo specchio ovale dalla cornice d’argento sbalzato è situato sulla parete del piccolo passo e in parte copre un delicato dipinto cinese a rotolo. Oltre me nella foto vengono riflessi, alle mie spalle, i due grandi posters delle Università di Bologna e Cracovia e la copertina del Calendario ‘Deutschland 1999’, che riproduce l’incantata visione dell’Alpensee e dei Königschlösser Neuschwanstein e Heimgarten, che in esso si specchiano, i due castelli da sogno voluti dal ’folle’ di Wagner Ludwig II di Baviera illuso di poter fondare, novello Nerone, uno stato estetico, e per questo condannato, dall’ottuso governo, al suicidio. Sulla superficie ovale dello specchio è visibile un cartiglio anch’esse ovale che riproduce alcuni miei versi tratti dai Canti di Pan, che presero spunto dai frammenti di una composizione floreale di Murano, distrutta in un incidente domestico, finiti incollati nella parte bassa dello specchio, nella foto solo in parte visibili.

   Recitano i versi:

   Frammenti. Luminosi

   Frammenti. Questo è quanto

   Della compatta luce

   Muranese rimane.

   Tra i frammenti di luce di che splende

   Policromatica la mia memoria

   Sono volti di donne che dal soffio

   Dell’Arte mia furono modellate

   Nella sostanza fusa. Qual mai Arte

   In unità i frammenti

   Ricomporre potrà? Novella vita

   Da me invocano. Ed io

   Farò il portento e di novella Luce

   Sfolgorante il mio volto

   Rifletterà lo specchio,testimone

   Silenzioso e beffardo

   Della mia decadenza.

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Chàirete Dàimones!

   Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et        absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

  Gelobt seist Du jederzeit, Frau Musika!

 

 
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