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Riflessione filosofico-poetico-musicale
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Messaggi del 14/02/2024
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Ho recentemente condiviso su fb la copertina del saggio di Marcello Veneziani dedicato, lepidamente, a Vico dei miracoli (con riferimento alla zona di Napoli ove è situata via San Biagio dei Librai, a lungo residenza del Filosofo) perché lo ritengo, oltre che istruttivo, assai divertente. Il prof Luciano Pranzetti, presentissimo su questi spazi, che onora con la sua formidabile scienza e intelligenza, ha così reagito: “lo acquisterò per tre motivi: 1) - per essere proposto dal migliore docente italiano: Giulio Sforza; 2) - per essere Vico il miglior filosofo italiano; 3) - per essere scritto da Veneziani, il migliore pensatore libero italiano.
Mi son limitato per il momento all'area italiana”.
Per quanto mi riguarda non negherò ipocritamente di essere andato in sollucchero per l’esagerato e birboncello elogio, che solletica non poco la mia innata nota modestia. Ma mi piacciono soprattutto le altre due motivazioni, che condivido con una riserva: metterei Vico, per la vita e per l’Opera, se non sopra alla pari sì con gli altri tre geniacci della Magna Grecia, gloria del Rinascimento filosofico italiano: Telesio, BRUNO (la maiuscola non è un refuso) e Campanella; pari, se non per sistematicità, indubbiamente per originalità e complessità.
Per Veneziani, d’accordissimo; di lui prossimamente su questo diario virtuale, a conferma, mi prenderò la libertà di condividere un suo coraggiosissimo, visti i tempi, articolo apparso su La Verità del 6 febbraio scorso.
*
Mi sono appena regalato uno dei libri più lodati e reclamizzati, in questi giorni, dalle amanti e dagli amanti di Sophia: "Magnifici ribelli. I primi romantici e l'invenzione dell'Io' (editrice la Luiss University Press, l' italianissima Libera Università Internazionale di studi sociali Guido Carli', traduzione di Antonella Salzano) della scrittrice tedesco-indiano-inglese Andrea Wulf. I 'Magnifici ribelli' sono quei giovani, giovani chi più chi meno, famosissimi Pensatori rispondenti ai nomi di Fichte Hegel Schelling Novalis Schiller eccetera, dibattenti (e trincanti) nel così detto Circolo di Jena attorno al tavolo moderato da un tal Johann Wolfgang Goethe, personaggi che stavano davvero cambiando il mondo.
A vent'anni, nel pieno della mia conversione (anzi presa di coscienza: chi perde una fede seria non l'ha mai posseduta, chi la trova l'ha sempre posseduta ) all'Idealismo presto maturato in Neo-Idealismo, sentivo di essere stato, circa tre vite fa, ragazzo-garzone in quel ritrovo di Geni (al quale ho poi molte volte pellegrinato in vita), ragazzo curioso e distratto perché incantato dai discorsi rivoluzionari di quei Profeti della nuova Bibbia filosofica, presto diventato loro intimo e familiare, e vezzeggiato come loro mascotte. Questo avverto ancora e perciò, sfidando il freddo pungente e imprudentemente non tenendo conto dei miei mal d'ossa ormai quasi invalidanti, salgo in macchina, corro alla mia libreria di riferimento che è a pochi minuti da casa, ed eccomi a leggere il prologo dell 'autrice che fa ben sperare dopo le solite presentazioni laudative di critici illustri, fra le quali una, per fortuna breve, perché nociva, di Andrew Roberts che evidentemente non ha letto il libro se ne colloca le vicende "nella Germania di fine Ottocento".
Sento che si tratta del libro che mancava alla mia curiosità vorace. Lo divorero'. E ne riparleremo presto, se i Fati lo consentiranno.
Nota.
Luciano Pranzetti, l’onnisciente (non scherzo) e onnipossente mio ex discepolo, lettomi mi condivide la sua pessima opinione e del libro e dell’autrice. Secondo lui l’autrice non sarebbe né una storica né una filosofa e non farebbe che incollare una appresso all’altra citazioni di seconda mano. Gli rispondo: Sesto Empirico a me consiglia prudenza ed epoké, la scettica ‘sospensione del giudizio’. Invidio la tua categoricità e le tue sicurezze, stai come ‘torre che non crolla per soffiar di venti', ti è consentito esser "dogmatico", abbarbicato come sei alla roccia delle tue certezze. Me la Conoscenza ha reso fragile, vacua ombra 'che la luna attraversa scintillando'...
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Il mio fine settimana. Ascoltato e visto o solo visto:
un Uto Ughi splendido nella beethoveniana Sonata a Kreutzer, da cui il vecchio Tolstoi trasse il titolo del suo omonimo romanzo ultramoralistico, non certo un capolavoro. Oltretutto Lev fraintende, anzi calunnia, il compito di Frau Musika, rendendola colpevole del decadimento morale ecc. ecc. Da ridere. Saepe etiam magnus dormitat Homerus…
di Feydeau, Sarto per signora, uno spasso;
di Dumas figlio, La signora dalle camelie, riduzione per la tv di Cottafavi, con Rossella Falk e Arturo Dominici. Qualche differenza dalla Traviata di Verdi, libera trasposizione in note, come è risaputo, della Dame aux camélias. A proposito di Traviata, ecco un’opinione di Daniel Oren, espressa oggi in un Prima della prima di rai5, che dirige cantando e saltando da sfondare, gigantesco come è, il podio. Secondo lui la Traviata è un’opera più francese e soprattutto più tedesca che italiana, il che le farebbe onore. Originale, ma discutibile. Per metà convengo. Ricordo la sua prima direzione a Roma, Auditorium Conciliazione, tanti tanti anni fa. Era giovanissimo e come sempre indossava il kippah. Con Maria Teresa crepammo dal ridere, non per il kipah, per il personaggio, destinato a rimanere tale. Oggi, a quasi settanta anni, numero biblico, lo ho visto tale e quale, solo un po’ più in carne. Ma la sua voce baritonale e intonatissima è ancora intatta (ben si vede che studiò canto) salta un po’ meno, ma è identica la gestualità. Settanta volte sette può essere il suo finale traguardo. Auguri, Maestro!
*
Notte Santa come è descritta nel Protovangelo apocrifo di Giacomo.
Una delle mie più frequenti citazioni bibliche è quella ripresa dal Libro della Sapienza XVIII, 15-16 della Vulgata: “Dum medium silentium tenerent omnia et nox in suo cursu medium iter haberet, omnipotens Sermo tuus, Domine, a regalibus sedibus venit” . Mentre tutte le cose erano immerse nel più profondo silenzio e la notte era a metà del suo corso, il tuo onnipotente Verbo, Signore, discese dalle sue sedi regali”. Questa mi par di ritrovare nella descrizione del Protovangelo di Giacomo della Notte Santa immersa nel suo panico attonimento, nel cuore della stagione della Quiete alcionia. Come in un infantile gioco delle belle statuine il moto dell’Universo s’arresta, la musica dei mondi si tace perché quella solo del Verbo incarnato risuoni. Tutto ciò ed altro ritrovo nelle prime pagine dell’apocrifo Protovangelo di Giacomo.
“…E io Giuseppe stavo camminando, ed ecco non camminavo più. Guardai in a ria e vidi che l’aria stava come attonita, guardai la volta del cielo e la vidi immobile e gli uccelli del cielo erano fermi. Guardai a terra e vidi posata lì una scodella e degli operai sdraiati intorn, con le mani nella scodella; e quelli che stavano masticando non masticavan più, e quelli che stavano prendendo del cibo non lo prendevanopiù, e quelli che stavano prottgandolo alla bocca non lo portavano più, ma i i visi ditutti erano rivolti in alto. Ed ecco delle pecore erano condotte al pascolo, e non camminavano, ma stavano ferme; e il pastore alzava la mano per perquterle col bastrone, e l sia mano restava per aria . Guardai alla corrente del fiume e vidi che i capretti tenevano il muso appoggiato e non bevevano;… e insomma tutte le cose, in un momento, furono distratte dal loro corso”. (I Vangeli apocrifi, a cura di Marcello Craveri, Biblioteca Einaudi 2014, p.20)
Gioco universale delle belle statuine che Diego Valeri, citato dal curatore (op.cit. p.20 in nota), in una ingenua poesia così descrive: “Maria dentro la grotta si posò / E Giuseppe a Betlemme si avviò. /Ma un momento sentì che mentre andava / a mezzo il passo il piè gli si arrestava. / Vide attonita l’aria e il cielo immoto / e uccelli stare fermi in mezzo al vuoto. / E poi vide operai sdraiati a terra / e posata nel mezzo una scodella: / e chi mangiava, ecco, non mangia più / chi ha preso il cibo non lo tira su, / chi levava la man la tien levata, / e tutti al cielo volgono la faccia. / Le pecore condotte a pascolare / sono lì che non possono più andare: / fa il pastor per colpirle con la verga / e gli resta la man sospesa e ferma. / E i capretti che all’acqua aveano il muso / ber non possono al fiume in sé rinchiuso… E poi Giuseppe vide in un momento / ogni cosa riprender movimento”.
Gioco universale delle cose alle belle statuine!
*
Sarà veramente di Menandro l’abusata affermazione on oi theòi philoùsin, apothneskei neos, muor giovane colui che gli dei amano? O gliela avranno messa in bocca gli oligarchi guerrafondai per mandare a morire in guerra milioni di giovani, come fanno da sempre le grandi potenze belligeranti? Non è allora da preferire la retorica patriottarda di una canzonetta, come quella musicata nel 1826 da Mercadante nella sua opera Donna Caritea, su parole del conte Paolo Pola?
Chi per la patria muor
vissuto è assai;
la fronda dell’allor
non langue mai.
Più tosto che languir
per lunghi affanni,
è meglio di morir
sul fior degli anni.
Chi muore e che non dà
di gloria un segno
alla futura età,
di fama è indegno. “
O vivere e morire è parimenti insignificante?
Pensieri negativi crepuscolari. Nuove albe s’annunciano. S’avvicina il tempo delle rinascite.
*
Ho sognato il Venosino e la commemorazione (‘Orazio educatore’) che ne tenni tanti anni fa, all’aperto tra il fitto verde e l’ombra dei pioppi, presso i ruderi della Villa di Orazio al Fons Bandusiae splendidior vitro, dulci digno mero non sine floribus di Licenza di Roma, chiamato a sostituire indegnamente Ettore Paratore malato, e l’ho di nuovo in sogno declamato per un ristretto pubblico di amatori.
Fuori di sogno:
Invitare un modesto teorico dell’educazione, ‘anarchico’ e nicciano, a sostituire un filologo e latinista eccelso, uno dei ‘conservatori’ più contestati dai sessantottini della Sapienza, fu certo un azzardo, ma la novità non dispiacque al pubblico e forse nemmeno ad Orazio. Non piacque molto a qualcuno degli organizzatori, che a posteriori si pentì della scelta e si chiese: ma come ha potuto venirci in mente di chiamare uno come costui, teorico della dis-educazione estetica e della de-gregazione? Anche io me lo chiesi e continuo a chiederlo. Probabilmente la colpa fu di un mio ex alunno musicista diplomato al Conservatorio che aveva voluto laurearsi in Pedagogia e faceva parte del comitato. (Ciao Maestro Prof Moscetti. Organizzate ancora costì l’annuale celebrazione?)
Naturalmente non fui più richiamato. Ma ogni tanto mi richiamo da solo e mi ritmo perfettamente in solitudine i bei saffici del birbone venosino, e anche me li canticchio e me li suono all’organo sulla musica dell’Inno a Roma pucciniano: i versi saffici di Fausto Salvatori musicati dal Lucchese ne adottano alla perfezione il ritmo e s’adattano splendidamente a quelli dell’autore del Carmen saeculare.
Per il mio sogno stanotte, biblico vecchione novantenne ormai ridotto a voyeur, ho scelto la lascivetta Ode C. I 30 del primo libro. Provate a cantarla con me e vi renderete conto della perfetta intesa Quinto Orazio Flacco venosino- Giacomo Puccini lucchese.
O Venus regina Cnydi Paphique
Sperne dilectam Cypron et vocantis
Thure te multo Glycerae decoram
Transfer in aedem.
Callidus tecum puer et solutis
Gratiae zonis, properentque Nymphae
Et parum comis sine te Iuventas
Mercuriusque.
Quanti sogni simili amerei tornare a fare, per ripagarmi della conturbante, per cervello e muscolo cardiaco, solita fantasmagoria orrifica delle mie notti inquiete!
*
Vengo da un bel pianto liberatorio all’ascolto di Amarilli Nizza in Suor Angelica. Chi ama Puccini non può non amare Suor Angelica, l’atto unico, Opera-capolavoro, tra le sue Opere, che egli, per sua stessa confessione, amò di più.
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Chàirete Dàimones!
Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)
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Qualcuno mi spieghi il senso del seguente sogno.
Mentre un Venditti giovane, che non ho mai amato, biascica parole senza senso passando tutto felice lo strofinaccio sul vasto pavimento inesistente di un immenso salone vuoto inesistente d’una mia casa inesistente, io scrivo per lui una canzone, parole e musica, con pasta di fagioli grandi di Spagna schiacciati coi piedi.
Sogno realizzato in una strana notte in cui non mi sono alzato più volte, come ormai da anni, ma ho fatto, come suol dirsi, tutta una tirata dalle 22.00 di ieri sera alle 04.25. Ieri mattina avevo assistito in Tivoli, col cuore straziato, in una mattinata serenissima ma glaciale, nella orrenda chiesa-ghiacciaia parrocchiale di San Michele Arcangelo nota come ‘il Gesù’, orrendamente e miracolosamente incuneata tra il mucchio di case affastellate lungo il versante est (quello che guarda verso l’Abruzzo) della una volta amena collina Braschi devastata dall’abusivismo politico post bellico, all’ennesimo funerale (ciò ormai mi tocca alla mia età, che qualcuno ha il coraggio di invidiarmi); il funerale, questa volta, del carissimo Pino, di circa vent’ anni di me più giovane, già anima del fu Coro Polifonico Tiburtino che egli mi aveva circa quaratacinque anni fa chiamato a dirigere.
Balugina ora l’alba di una giornata serenissima e prevista freddissima (0°C). Il parco è paralizzato e gli uccelli lo disertano. Quiete panica. Inaugurerò il nuovo colbacco giuntomi a tempo di record da Amazon. E leggerò e scriverò, con Elaine Pagels, Geno Pampaloni e Marcello Craveri, di Vangeli apocrifi gnostici e di storia scritta dai vincitori.
Amo la cristologia gnostica.
P. S. Ecco due fra i commenti
“Direi…il tuo per fortuna inguaribile senso del bello e dell’armonico vorrebbe sostituirsi al becerume del comunemente orecchiabile. Quanto ai fagioli non so se conosci la fiaba dei fagioli magici che crescevano fino al cielo affinché il bambino che li aveva piantati potesse avere una gallina dalle uova d’oro e un’arpa dal suono meraviglioso…nel tuo sogno quei mezzi di facile ricchezza del corpo e dell’anima li hai tenuti a bada sotto i piedi perché potessi essere tu su questa terra ad elargire quei doni”.
Claudio Leoni
“Mi sembra facile. Volevi rimettere a posto le cose: via il superfluo e avanti con ciò che conta davvero. I fagioli e la Terra origine di tutto! Buona giornata Giulio!
*
Mi sono sempre interessato ai Vangeli ‘apocrifi’ ma senza accedere direttamente alle fonti. L’ultimo saggio che lessi al riguardo fu l’interessante studio di Elaine Pagels, I Vangeli gnostici (Arnoldo Mondadori Editore 1981, pp. 233) che in sei capitoli riassume gli aspetti fondamentali dello Gnosticismo diffuso nei primi anni del cristianesimo: 1) La controversia sulla resurrezione di Cristo: evento storico o simbolo; 2) «Un solo Dio, un solo vescovo»: la politica del monoteismo; 3) Dio Padre, Dio Madre; 4) La passione di Cristo e la persecuzione dei cristiani; 5) Quale vera chiesa?; 6) Gnosi: conoscenza di sé come conoscenza di Dio. Quando poi studiai Plotino e il suo Gnosticismo più prettamente filosofico, mi si riacuì la curiosità ma non potei saziarla, distratto da altri interessi. Solo recentemente e casualmente (ma come è vero che i veri problemi resistono fino alla morte!) essa mi si è risvegliata, in occasione della scelta dei libri da regalare a Natale: mentre frugavo tra testi di archeologia mi imbattei nel libro che capii subito fare al mio caso: I Vangeli apocrifi. Biblioteca Einaudi 2014, prefazione di Dario Fo, saggio introduttivo di Geno Pampaloni, curatela di Marcello Craveri.
Se il nome di Fo, indubbiamente grande giullare, ma non certo filosofo e critico, insignito di uno strano Nobel, mi insopettì e non poco infastidì, fui subito rassicurato dai nomi di Geno Pampaloni e di Marcello Craveri. E acquistai per me il bel volume di seicentotre fittissime pagine con la copertina arricchita dalla riproduzione di un particolare del “Riposo durante la fuga in Egitto” del Caravaggio, che amo, al quale mi sto da un mese con grande piacere dedicando. Ora ho modo di verificare alla fonte la lettura della Pagels, approfondire le questioni più rilevanti sollevate dal fenomeno gnostico, quelle stesse che nella mia gioventù mi crearono inquietudine durante i miei studi di teologia neotomistica che affiancavano quelli filosofici universitari. Avevo avuto sentore, nel 1945, appena tredicenne, della scoperta fatta casualmente da un contadino, a Nag Hammadi nell’Alto Egitto, di una giara di terracotta contenente tredici volumi di papiro rilegati in cuoio, che si sarebbero rivelati i Vangeli apocrifi (nascosti”, “segreti”, “proibiti” da chi ne temeva la diffusione). Ma chiaramente quei codici furono subito riseppelliti dentro di me e troppo a lungo vi restarono. Leggerli oggi mi dà la sensazione di abbeverarmi all’acqua cristallina delle fonti, non ancora inquinate dal veleno delle ideologie politiche e religiose. Non mi sono mai fidato della storia scritta dai vincitori e delle fonti così dette “canoniche”. I codici di Nag Hammadi mi sanno di autenticità proprio in quanto dai vincitori dannati a non essere ricordati (oh dannata damnatio memoriae!), ma provvidenzialmente riemersi alla luce. Se poi anche di essi dovessi sentirmi insoddisfatto non sarà un problema: mi resterà sempre la speranza, non cieca e prossima a realizzarsi, di un Oltre che anche su questo faccia luce! Per ora mi cullo nella rasserenante fiducia della scoperta, tutto è possibile, che tutta la cristologia “ortodossa” e le sue implicazioni morali politiche sociali intellettuali vengano dagli “apocrifi” rivoluzionate.
Che il Cristo dagli apocrifi consegnatomi sia quel Cristo che da sempre ‘io nel pensier mi fingo’?
Staremo a vedere.
*
In un momento di entusiasmo alquanto irrazionale m’ero auspicata la rinascita del nostro “Gruppo corale Metanoesi”. Oggi ho così scritto ai membri:
“Bei giovani, il 2024 ha già preso il galoppo. La rinascita è stata una pia illusione. Ma bella, no? Eppure, eppure qualche cantatina estemporanea alla memoria ce la dovremo pur fare! Magari allo scadere del mio 91esimo, di cui già ho eroso ben cinque mesi!
Vi riauguro un sacco di cose belle. Celebrate a scapicollo la Vita anche per me! E cantatela sempre, nonostante tutto, senza mai maledirla. Ubriacatevi di Vita, seguendo i consigli, ricordate? di quei due nostri immensi Amici e Protettori: man muss immer trunken sein, il faut être toujours ivres. Tenete sempre desti i dèmoni a legioni che vi inabitano. E ricordatevi ogni tanto del vostro Pan”.
Condivido con piacere a tutti gli amici di FB.
*
Biblioteca-Enoteca dello Spirito
Si dice alla mia età bleffando: io non rimpiango nulla! Io dico: quante cose rimpiango! Per esempio, di non aver fatto, almeno per gioco (a tempo perso, nel mio caso ritrovato), il sommelier. E dire che, essendo stato io oltretutto cultore appassionato di cose hegeliane e gentiliane, ed avendo prediletto del primo la fresca giovanile e perciò fondamentale (diceva Goethe che di un autore, filosofo letterato artista o scienziato che sia, un solo libro è veramente originale, il primo, attorno al quale poi tutta l’ulteriore produzione divaga) Fenomelogia dello Spirito, e del secondo la Teoria generale dello Spirito come Atto puro (copia del quale, non so quanto celiando, Gentile diceva di aver visto esposta per la prima volta nella vetrina di una farmacia!) c’erano in me tutte le premesse per avere successo nel campo. Tra Spirito divino e Spirito di-vino non è forse mirabile analogia? Non è forse Dioniso un dio al par d’Atena e d’Apollo? Trascorrere una vita ad ‘assaggiare degustando’, con tutti i sensi, interni ed esterni, il nettare di turno nel chiuso-apertissimo di una enoteca, immersi in una atmosfera di sensuali e sensuosi aromi, è forse meno nobile dolce e decoroso, dignum et iustum, aequum et salutare, che viverla al chiuso, sovente stantio, di una biblioteca? Cantine ambedue, ambedue santuari ove religiosamente si custodisce e si celebra la religione dello Spirito!
Si acuisce il rimpianto ogni qual volta leggo su questi spazi un intervento del nostro amico Francesco (Franco) Cerini, squisitissimo sommelier le cui descrizioni della degustazione del nobile vino di turno sono operazioni, meglio celebrazioni, poetiche e insieme liturgiche. “Cantina dello Spirito”. Così se, in barba a Śiva e al suo e mio olismo disindividualizzante, rinascerò, e rinascerò individuale e universale insieme, ho intenzione di titolare l’immensa Biblioteca-Enoteca dello Spirito che impianterò (auspicabilmente col determinante e illuminante contributo Franco, che son disposto ad attendere volentieri mill’anni) fra le rovine di quel nostro caro Castrum belvedere, uno dei belvederi più belli del mondo, quod dicitur Vivarium in terra equo-sabino-marsicana, auspicabilmente affiancata dalla Cervisioteca (o zythoteca che dir si voglia) che Giulio iunior Mastro birraio polimusico e polimantico sta ora co-gestendo in terra gaelica.
P. S.
Su Wikipedia (controllare prego) la Fenomenologia dello Spirito viene presentata dall’anonimo estensore come ‘romanzo’ (sic) di Georg Friedrich Hegel. Straordinario. Esilarante. E bella idea per un Romanzo dello Spirito che potrebbe esser il mio canto del cigno. Ma in fondo che altro è questo mio zibaldone virtuale? Quasi quasi cambio titolo a Dis-Incanti e mi risparmio la fatica.
*
Mentre ringrazio quanti da lontano o in presenza hanno preso parte alla celebrazione apollineo-dionisiaca del mio novantesimo compleanno, voglio partecipare un fatto curioso. In seguito allo spostamento dei mobili resosi necessario per rendere più agibile il poco spazio della sala, ho rifatto caso, fra i tanti poster-ricordo dei miei viaggi-pellegrinaggi alle principali città d'Europa poeticamente e musicalmente rilevanti, a uno in particolare, quello qui riprodotto della casa editrice musicale Metzler, lipsiese se non vado errato, reclamizzante i suoi principali successi editoriali, e, come si può notare, fra gli italiani mi par presente solo Puccini: di Giuseppe Verdi nemmeno l'ombra. Evidentemente il Bussetano, coetaneo ed emulo di Wagner, fra i teutonici non fa mercato. Me la cosa non meraviglia più di tanto. Voi?
Ecco qualche risposta:
Puccini vale per tutti!
Me invece meraviglia non poco.
Onestamente sorpreso
" La Bohème" di Puccini piace molto ma Giuseppe Verdi, con tutto la sua opera, y compris Rigoletto (“Le Roi s’amuse,” di Victor Hugo) e la Traviata ("La Dame aux Camélias de Dumas fils) ha marcato un secolo
Il grande Verdi può solo compiacersi di questa biliosa dimenticanza
Ma non può essere che quella casa editrice non avesse legalmente i diritti per pubblicare certi autori?
Io non mi pongo il problema. Per non farlo avranno avuto le loro buone ragioni. Io sono più wagneriano che verdiano, anche se ritengo i due Mostri complementari
*
Il Vegliardo va ora a morire, i giovani amici vanno a vivere.
“Ora egli s’avvia a varcare serenamente, per mano a Frau Musika, le misteriose porte della Morte, essi si avviano a celebrare intensamente, come a quel ‘dono grande e terribile del Dio’ s’addice, la Vita. Ma di chi sia la sorte migliore gli Dei soli lo sanno”.
(Ultime parole consolatorie di Socrate, leggermente parafrasate, secondo il Fedone platonico).
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Mi sveglio con nelle orecchie la vecchia commovente canzone di Mireille Mathieu Mille Colombes, bellissima anche perché il refrain, il ritornello, è ripreso pari pari (e Bellini è correttamente citato come coautore) dal coro belliniano che fa da sfondo a Casta Diva.
Qualora l’intento di riorganizzare (estrema mia sfida?) il Gruppo Corale “Metanoesi” della nostra 'Associazione culturale di Varia Umanità e Musica “VIVARIUM”', riuscisse, vorrei proprio fosse reinaugurato con questa canzone, debitamente, ma semplicemente, da me trascritta per coro di quattro voci dispari, che è talmente adatta ai tempi tristi che stiamo vivendo da parer essere stata pensata in questi giorni. Ecco le parole:
"Mille colombes
L’hiver est là sur les toits du village,
Le ciel est blanc, et j’entends
la chorale des enfants'
dans la vieille église,
sur un orgue aux couleurs du temps.
Refrain':
Que la paix soit sur le monde
pour les cent mille ans qui viennent
donnez-nous mille colombes,
à tous les soleils levants.
Donnez-nous mille colombes
et des millions d’hirondelles,
faites un jour que tous les hommes
redeviennent des enfants.
Demain c’est vous, et demain plus de guerres,
demain partout les canons
dormirons sous les fleurs.
Un monde joli
est un monde où l’on vit san peur".
*
Natale di Sangue.
Nel tempo della devastazione e della morte, in cui l’umana Razionalità sembra essere ridotta all’invenzione di sempre più complessi e tragici congegni di distruzione; nell’epoca del crollo di tutte le certezze, di tutte le fedi dogmatiche e di tutte le laiche ideologie progressiste, rivelatesi incapaci di garantire un minimo di serenità all’Homo viator nel deserto di un mondo in cui par non essere più posto nemmeno per la speranza (“vero è ben, Pindemonte, anche la Speme / ultima dea fugge e i sepolcri…)” ; io, alla mia tenera età, decido, in un uggioso e funereamente silenzioso mattino di Natale, di non arrendermi, e di scavare dentro me stesso per tentar di trovare nel profondo del mio essere il bandolo di una matassa salvifica che m’aiuti ad uscire dal labirinto della disperazione. E torno a farmi guidare dallo Seelekalender, il Calendario dell’anima, del teorico goethiano della teosofia come antroposofia Rudolf Steiner, che in cinquantuno brevi strofe irregolari poetico-prosastiche, tante quante le settimane dell’anno che giustamente nel Calendario dell’Anima inizia dalla Primavera, mi conduce alla ricerca progressiva esoterica del Verbo increato negli abissi (dalla Ragione partecipativa, non da quella oggettivante -lessico marceliano- sondabili) dello Spirito, sicchè il ‘pensiero poetante’ di oggi, trentottesima settimana dell’anno steineriano, dedicato alla Weihenachtstimmung, Atmosfera di Natale, così descrive il concepimento ‘del Figlio dello Spirito’ in grembo all’ Anima:
“ Ich fühle wie entzaubert
Das Geisteskind im Seelenschoss;
Es hat in Herzenshelligkeit
Gezeugt das heilige Weltenwort
Der Hoffnung Himmelsfrucht,
Die jubelnd wächst in Weltnefernen
Aus meines Wesens Gottesgrund
che con qualche libertà traduco:
Io avverto come estasiato e sgomento
Il Figlio dello Spirito nel grembo della mia Anima;
Il santissimo Verbo universale
Ha generato nella luce del mio cuore
Il celestiale frutto della Speranza,
Che dal profondo abisso della mia Essenza
S’invola giubilando per la profondità degli Universi.
Come dire: concepimento e nascita del Verbo universale dentro di me, unico segreto per la rinascita della Speranza.
Gloria in profundis Deo.
*
Sto ascoltando, e godendomi, 'Verklärte Nacht' (Notte chiara), poemetto sinfonico del giovane Schӧnberg, che a me pare ancora tardoromantico, e perciò dal mio orecchio ancora sopportabile. Lo Schӧnberg dodecafonico non è fatto per il mio organo uditivo, che non possiede i decibel adatti; e non è un …’Belmonte’, come suona in italiano il cognome, ma una 'Dunklestal', una Vallescura. Se poi penso che 'Tal', valle, in tedesco è neutro, la valle oscura diventa, non so perché, alla mia percezione oscurissima.
Lambiccamenti poco natalizi, già da Giovedì Santo?
Forse che sì forse che no.
*
Fidelio. Capisco perché Wagner adorasse Beethoven e lo ritenesse l’ultimo e più grande compositore di musica assoluta e perciò suo maestro e precursore. Nel Fidelio ormai voce umana e strumentazione orchestrale si confondono, essa stessa diventa uno strumento fra gli altri, anche se il più nobile, e non necessita più di alcuna altra servitù strumentale o intermediazione. La lirica sarà essa stessa d’ora in poi musica assoluta.
Seguendolo oggi riproposto da rai5, quello che inaugurò la stagione del Teatro alla Scala il 7 dicembre 2014 di ciò maggiormente mi convinco, ma anche mi libero del luogo comune che fa del capolavoro beethoveniano esclusivamente un dramma politico, mentre è la storia di una donna pronta a tutto per salvare l’uomo che ama. Questa almeno l’opinione, da me attinta dalle rete e senza sforzo condivisa, del Direttore Daniel Barenboim alla sua ultima stagione da Direttore Musicale della Scala, e della regista Deborah Warner che ritiene il Fidelio “la ricerca della verità nel buio di una prigione, la scoperta dell’ingiustizia alla luce del sole e il potere dell’amore di vincere tutto: Fidelio è fatto di questo. Non credo che al centro ci sia l’idea della libertà, credo che ci sia assolutamente l’idea dell’amore”. Per parte mia ritengo le due interpretazioni non essere contrastanti, se mai complementari, quanto la vicenda dell’in-dividuus (non divisibile) è complementare a quella del naturaliter socialis (‘anthropos physei politikon zωon’ – tà politikà, 1252/a) se si accetta la concezione dello Stagirita.
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