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Un Pope

Post n°24 pubblicato il 21 Novembre 2006 da effimerofranck
 

     Le ore del tardo pomeriggio di un’estate in Grecia, lasciati gli amici alle ultime carezze di un sole indolente, ci vedevano, Maby che camminava con passo svelto accanto a me, risalire la piccola collina dell’isola di Lefkas su cui adagiata nel biancore di fresca calce una chiesetta di campagna era stata depositata alla vista.
    
Siamo entrati dentro, Maby ed io e, al solito, lo sguardo si è diretto verso le pale d’altare con le ricche iconografie di santi bizantini. Candelabri pieni di lampade a forma di candela e ricco corredo di gocce di cristallo, candele ancora chi si offrivano alla devozione misericordiosa del passante. Presane una dopo aver gettato la monetina nella feritoia della scatola in lamiera lucente l’ho accostata ad un’altra già accesa, un rito che ripeto sempre quasi avesse valenze augurali quando entro in una chiesa greca, per darle vita.
    
Ho notato solo allora, adagiato compostamente su comoda sedia in legno davanti uno scuro scanno, il Pope di mezz’età, barba ben curata e capelli correttamente annodati alla nuca, che sorrideva come fosse in attesa.
     
Avevo notato il sant’uomo due giorni prima nella piazza della cittadina principale seduto con la moglie e tre figli di cui il più grande avrà avuto all’incirca 15 anni al tavolino di un bar intento a sorseggiare un ouzo ed a raccogliere il saluto rispettoso dei passanti.
    
Mi era piaciuto il quadretto, forse causa il fatto che da noi ai sacerdoti cattolici non è consentito metter su famiglia ed ora mi aveva sorpreso il trovarmelo di fronte inaspettato.
    
Maby era distante in quel momento, persa nella scrupolosa visitazione della chiesetta, la snella figurina stagliata sul muro da mille fiammelle.
     Un impulso, senza ragionar troppo mi inginocchiai lì davanti al Pope come per confessarmi. Poche parole di greco da parte mia, qualche parola in francese da parte del Pope e s’iniziò un dialogo il cui senso doveva avere, ma non ne ero affatto sicuro preso più dalla situazione insolita che non da motivazioni profonde, la confessione di colpe ed il proponimento di una riconquistata armonia.
    
Maby si accorse della cosa e, dapprima sorpresa, poi quasi divertita, mi guardava sorridendo quasi a volermi prendere in giro.
    
Il mio disincanto abituale pur nel rispetto del credo di ognuno, la nostra gioia di vita di quei giorni in cui tutto sembrava invitarci all’adesione piena e pagana ai piaceri in una scoperta reciproca delle nostre vicende che trovavano finalmente modo di fondersi ai suoi occhi sembravano giustamente incongrui con quel che si offriva alla vista.
    
Il Pope del villaggio concluse comunque il suo ufficio elargendomi esortazioni in uno stretto greco di cui percepii il senso più che le parole ed il mio farfugliare qualcosa di circostanza fu salutato dal segno della croce da lui disegnato nell’aria ad assolvermi.
    
Si avvicinò allora, il tempo di rialzarmi in piedi, Maby tutta divertita, salutò il nostro autorevole interlocutore con un bel sorriso e complimentandosi della bella conduzione della chiesetta… per uno strano meccanismo, i gesti e le movenze usano talvolta sopperire alla mancanza delle parole, le nostre sei mani si ritrovarono strette in un saluto cordiale.
    
Fuori il sole era ormai prossimo ad immergersi nel blù del mare, Maby ed io, teneramente abbracciati, ci sottraemmo alla vista del Pope…

 

 
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