elaborando

 cosa non mi piacque, manco per niente: frugando nelle statistiche di ShinyStat, scoprii che qualcuno era arrivato sul mio blog cercando su Google la frase: tette vichinghe.
L'intento del navigatore appare trasparente, quindi il malcapitato dev'essere rimasto deluso dal contenuto, che Google tutt'ora suggerisce come più rilevante per quella chiave di ricerca: un mio vecchio post che parlava di archeologia. Ecco, forse in tono un po' scherzoso, si, ma senza riferimenti osé.

Da dove nascono questi "abbagli" dei motori di ricerca?
Il fatto è che l'essere umano è capace di cogliere il senso del testo, mentre un motore di ricerca utilizza solo le parole del testo stesso e poche altre cose, come i "tag" inseriti nel codice html: titolo, descrizione di immagini e link, ad esempio; e poi ragiona su semplici correlazioni tra questi elementi. Ecco allora un post diventare un autorevole trattato sulle tette vichinghe, solo perché è intitolato: «Le vichinghe, i Maya e il blu», e ha all'interno frasi del tipo: «Quindi "fastened to the breasts", che traduco con: "fissato alle tette"».

C'è rimedio a questa situazione?
Si, c'è. Il tema generale è quello del "Web semantico", ed è lo sforzo di associare un significato "umano" agli oggetti disponibili sul web, siano essi articoli, foto, link o altro.
Di web semantico se ne parla dalla fine degli anni 90, e diversi studi e tentativi sono stati effettuati per capire come realizzarlo.
Si potrebbe adottare un approccio "sociale": se, una volta arrivati sul mio post, il navigatore potesse sfogare la sua delusione cliccando su una faccina arrabbiata (Brunetta docet), allora Google realizzerebbe rapidamente che è meglio togliere il mio post dai risultati di quella ricerca. Altro che rilevante.
Un altro modo potrebbe essere quello di consentire al navigatore di "taggare" l'oggetto. Se, dopo 100 visite, il mio post ha 99 tag "boiata pazzesca", qualcosa vorrà dire, no?

Infine può essere lo stesso autore della pubblicazione dell'oggetto a descriverne il significato umano.
È esattamente quello che si propongono standard come l' RDFa (Resource Description Framework [in] attributes) e il Microformats, che danno all'autore gli strumenti per marcare l'oggetto in modo comprensibile alle macchine.
Il successo di queste iniziative era stato modesto fino a poco fa: i due motori di ricerca più diffusi, Google e Yahoo!, non le avevano sposate, quindi non c'era motivo per farlo nemmeno per gli autori. E i motori di ricerca ignoravano RDFa & co, perché pochi oggetti erano taggati. Un perfetto Comma 22, insomma.
Poi la svolta: cambiano idea prima Yahoo!, poi da ieri anche Google, che al Searchology 2009 ha annunciato diverse novità sul suo motore di ricerca; incluso, per l'appunto, il supporto di RDFa e Microformats.

C'è da attendersi quindi, mano a mano che gli oggetti web si arricchiranno di "descrizioni semantiche", risultati meglio descritti e più aderenti alle intenzioni del navigatore.
E può darsi che il mio post debba cedere il passo a informazioni più rilevanti sul tema. Mi rassegnerò.

Buon mercoledì.

ps. per Google: questo post NON tratta di "tette vichinghe", ma le cita solo a scopo didattico.
Ecco, scrivendolo mi sa che ho peggiorato la situazione.