ElettriKaMente
Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)
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Tutti i passanti sono gentilmente invitati a lasciare fuori da questo blog:
incontinenze di ogni genere e tipo,
pratiche onanistiche finalizzate alla pubblicazione
e manie persecutorie-vittimistiche,
grazie.
Anche se il blog é moderato, ogni intervento pervenuto viene pubblicato.
Qualora il vostro non risulti, invece, visibile tra gli altri è semplicemente perché, presentando tracce delle sopracitate (incontinenze, pratiche onanistiche o manie persecutorie-vittimistiche)
vergognandosi di se stesso e di chi l'ha messo al mondo, si è autoeliminato.
Capisco che il nome del blog potrebbe trarre in inganno, ma qui non troverete il supporto psichiatrico che andate cercando.
Cordialmente,
Elettrikamente,
EleP.
Post n°377 pubblicato il 10 Maggio 2025 da ElettrikaPsike
Si legge su più testate - alcune più attendibili ed accurate, altre meno - e poi, confusamente, a rimorchio anche sui social, che lo psicoanalista, filosofo e sociologo (ma non linguista) Umberto Galimberti, avrebbe sostenuto che gli adolescenti italiani di oggi possiedono un lessico di poche centinaia di parole. In realtà, la cosa è del tutto inverosimile perché sappiamo bene che, in media, già un bambino di tre anni arriva a conoscerne più del doppio. Per affrontare un linguaggio "normale" dovremmo avere un piccolo bagaglio di almeno 7.500 parole e con poche centinaia non potremmo neppure balbettare con un infante. Premesso questo, però, tanto che Galimberti abbia utilizzato o meno un'iperbole, resta il fatto che nella sostanza ha comunque ragione. Non è un mistero che stiamo diventando tutti realmente orfani di un lessico prospero e, aggiungo, non è nemmeno un segreto che, grazie all'ignoranza, si stia diventando anche un tantino "handicappati emotivi”. Ma la responsabilità è nostra. Platone sosteneva senza mezzi termini che se gli ateniesi non fossero stati abbastanza istruiti, nessun tipo di educazione sarebbe stata davvero praticabile, pertanto finché non ci fosse stata una effettiva formazione sarebbe stato meglio che venissero regolati dal governo dei "migliori" (ἀριστοκρατία) vale a dire tutti coloro che - al di là dei privilegi dettati dalla nascita e dalla ricchezza - erano ritenuti superiori per virtù, capacità e valore. Oggi è vistosamente il contrario. E, per quante possano effettivamente essere le parole conosciute da un ragazzo nel 2025, sono comunque poche. Galimberti ha ragione anche sul fatto che esiste una cosa fantastica chiamata letteratura. Difatti è da essa che tutto parte e s'impara. Morte, vita, amore e dolore, gioia, malinconia; ma anche noia, etica ed estetica, erotismo e misticismo. Tutto. Eppure, la letteratura è stata messa in un angolo e trascurata. Va bene, mi verrebbe da dire a chi la reputa inutile, credendo di potersi occupare puramente di discipline ben più pragmatiche e apparentemente funzionali, pensando stoltamente che queste possano prescindere da essa. Allora fatelo, trascuratela; ma poi non lamentatevi se siete disarmati e impotenti, aggressivi e sciocchi, inebetiti e vuoti, banali e prevedibili, mediocri e volgari, inutilmente fastidiosi e ridicolmente provocatori. E non lamentatevi nemmeno se per questo la gente vi evita. È una vostra libera scelta. La letteratura salva, un ambiente linguisticamente impoverito affossa. E in un contesto deprivato di stimoli linguistici, inevitabilmente, ci si abitua anche a pensare poco e male, perché il pensiero si struttura proprio attraverso le parole. Un tempo si leggeva per noia, per curiosità, per immaginare; ma se oggi i ragazzini vengono esposti prevalentemente (e precocemente) ad immagini, reels, contenuti brevi, frasi spezzate, emoticon, emoji (et similia) e se il fatto stesso di parlare in modo preciso viene guardato con sospetto o lo scrivere con proprietà viene scambiato per ostentazione, di chi è la responsabilità? In un film "horror" di qualche anno fa, Vivarium, ambientato in un contesto immobile e solo apparentemente perfetto come un quadro di Magritte, una coppia disperata e in trappola alleva un piccolo mostro. Ma il punto reale della storia è: era già un mostro o semplicemente lo è diventato di riflesso al suo ambiente e per come è stato educato? Se neppure si richiede ai ragazzi d'imparare a scrivere con accuratezza e si tollera bonariamente qualsiasi nefandezza - banalità, errori logici e grammaticali, scarsità linguistica - in un tacito elogio alla pochezza ed è proprio la scuola stessa a smettere di correggere chi dovrebbe erudire nel timore di “mortificarlo", preferendo abbandonarlo al suo analfabetismo funzionale senza troppi rimorsi, che cosa si può pretendere? Se per comunicare “ci 6?”, “ok”, “lol”, “like” non servono neppure 300 parole, perché mai la cultura dovrebbe avere ancora un senso per un bambino o per un adolescente? Come possono conoscere il valore di un linguaggio, se nessuno si preoccupa di insegnarglielo? I ragazzi non sono stupidi mostriciattoli, a meno che non siano gli adulti a volerli plasmare come tali. E se offriamo loro una cultura composta da 600 parole scarse, li stiamo obbligando a vivere, a porte chiuse, in una stanza senza finestre. Ed allora i veri mostri siamo noi.
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In alcune lingue sono chiamate “quelle che sanno” (witch in inglese, vèd’ma in russo), nel senso che sanno già, senza aver imparato da nessuno. Non hanno apprendisti, perchè a comunicare la loro sapienza ci mettono un attimo: ti guardano attentamente per vedere se anche tu hai il coraggio di sapere senza aver imparato e, se ne hai, tutt’a un tratto ti dicono: “Và, scopri chi sei e cosa puoi fare, non ti occorre altro.” Poi proseguono per la loro strada. Le streghe sono state detestate per questo. Ricordavano troppo quella frase censuratissima di Gesù: “Voi non fatevi chiamare maestri” (Matteo 23,8). A lungo vennero perseguitate perché “al mondo” non va che le ricchezze, inclusa la sapienza, circolino troppo liberamente. Così scrive Igor Sibaldi. E tutto ciò solo per dire che “si fa presto a dire strega”. E per ricordare che nell’immaginario collettivo la parola si presta a molteplici interpretazioni e significati decisamente contrastanti tra loro. Le “streghe”, infatti, non sono mai state solo quelle figure perfide e diaboliche tramandate da un folclore che le voleva collegate ai malefici e che la chiesa cattolica ha utilizzato come capro espiatorio per dare un volto al male, associandolo al genere femminile un pó per convenienza, un pó per paura e probabilmente per ignoranza (e questo indipendentemente dal fatto che l’istituzione cattolica avesse o meno rinnegato l’esistenza dell’anima nelle donne, oltre che negli animali). Il termine si riferisce a ben altro. E chi ha orecchie per intendere intenderà. Gli altri, a suo tempo, o anche mai (e va bene così). Parola di strega…
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Post n°375 pubblicato il 24 Febbraio 2025 da ElettrikaPsike
Sono nata il 21 a primavera, scriveva Alda Merini.
Io, invece, sono nata sul finire dell’inverno, quando ancora la primavera doveva svegliarsi ma già si stava crogiolando in un febbricitante dormiveglia. Per il resto, però, potrei fare mie le sue parole, magari mistificando un po’ per adattare i versi alla mia realtà; ma nemmeno troppo. Così, in questo compleanno troppo tondo e troppo adulto, mi sento di ricalcare il suo nascere folle e tutte le tempeste storicamente ereditate dal bizzarro mese primaverile che, tra pochi giorni, tornerà a pungerci con un vento nuovo.
Sono nata il 24 nell’inverno, ma quasi a primavera, non sapendo che nascere a pochi passi dalla follia, potesse aprire in me zolle di tempesta. Come Persefone, ancora nascosta nel ventre dell’Ade, guardo le lacrime di pioggia riversarsi sull’erba nascente. E in attesa di teneri frumenti, soffio sopra i sogni di un compleanno dopo l’altro, spegnendo le lanterne dell’inverno. Sono nata il 24 nella bruma, ma ho imparato come risalire dagli abissi per respirare luce in primavera. Ed è questa, forse, la mia preghiera.
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Post n°374 pubblicato il 26 Gennaio 2025 da ElettrikaPsike
Domani sarà il 27 gennaio. Esisterà mai una Giornata della Memoria senza atti e dichiarazioni deliranti e negazioniste? No. Evidentemente no. Perché l’essere umano è anche questo. E la menzogna, l’ignoranza, la stoltaggine e l’odio ne fanno parte. Non meritano, pertanto, nè parole, nè spazio. Per quanto mi riguarda, non sottrarrò un secondo al mio tempo nel tentativo di spiegare a chi non ha la facoltà di capire o semplicemente non è interessato a farlo. Dedicherò, invece, tutta la mia attenzione a ciò che reputo importante. Ed è importante, anzi essenziale, non dimenticare. Mai. La scrittrice partigiana Joyce Lussu ci ha mostrato in versi ciò che più di ogni altra cosa la mente umana si rifiuta di accettare – lo scandalo per la ragione – qualcosa che è contrario all’essenza stessa dell’etica: i bambini che furono portati al massacro perché troppo piccoli per lavorare. Un altro sistematico sterminio nel lager dell’orrore umano.
Un paio di scarpette rosse C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove: sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco”. C’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buckenwald erano di un bambino di tre anni e mezzo chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni; ma il suo pianto lo possiamo immaginare si sa come piangono i bambini anche i suoi piedini li possiamo immaginare, scarpa numero ventiquattro per l’eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono. C’è un paio di scarpette rosse a Buckenwald quasi nuove perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole. -Joyce Lussu-
PER NON DIMENTICARE. LO SCHIFO, L’ATROCITÀ, IL CRIMINE COMMESSO. LE VITTIME TUTTE. E I BAMBINI UCCISI, DEI QUALI LE GUERRE – DI IERI E DI OGGI – HANNO INVANO TENTATO DI CANCELLARE LE PICCOLE IMPRONTE.
E ancora non è contenta di sangue, la bestia umana…
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Post n°373 pubblicato il 07 Gennaio 2025 da ElettrikaPsike
Lo cantava già Dalla. E l’unica novità è proprio questa.
Ma dal momento che neppure T.S. Eliot, alla fine, aveva torto – le parole dell’anno scorso appartengono solo alla lingua dell’anno scorso, mentre quelle del prossimo attendono un’altra voce – e visto che, oramai da 16 anni, i miei inizi d’anno sono tutti rigorosamente eremitici (prima per necessità, poi per disillusione, in seguito per idiosincrasia ed, infine, per una certa volontà noncurante) mi sono trovata a rileggere alcune frasi che prenderò in prestito, giusto per salutare il “25” con una piccola, furtiva, concessione. E dirò, con altra voce, che…
"Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un'azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, etc. etc. È un torto in genere delle date." - Antonio Gramsci -
Ma, in fondo, per dirla proprio tutta, aggiungo anche questo (tralasciando che sia stato annotato decine di anni fa nei Diari e taccuini di Patricia Highsmith, al secolo, Mary Patricia Plangman): “SPERO, PRIMA O POI, DI PASSARE UN CAPODANNO IN CUI IL MIO CUORE NON SIA IN UN LUOGO DIVERSO DA DOVE IO SONO.”
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