Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

ElettriKaMente

Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

 

« LA FELICITA', DEA VICIN...L'IDEALISMO MISTERIOSO ... »

TUTTO PERFETTO, IN UNA TUTT'ALTRO CHE MERAVIGLIOSA REALTA'

 

 

“Prima che Logos annullasse il linguaggio del mito, l’esistente sprigionava un’essenza che già conteneva in sé il suono, il fonema. Per nominare il reale bastava lasciarsi andare ad un gemito di stupore: il suono che invadeva l’aria altro non era che la materializzazione sonora del rapporto tra individuo e realtà percepita” - Gian Carlo Zanon -

 

 

 

Tutti inseguiamo la felicità, il benessere, lo stato migliore per noi, individuandolo proprio lì, tra un suggerimento della nostra coscienza individuale e la realtà che riusciamo a percepire.

Lo si cerca nella quiete, nel silenzio, nell’agape; oppure nell’eros, nell’accoglienza o, ancora, nello studio, nella ricerca o nell’abbondanza. Di salute, di ricchezza, di riconoscimento. Nell’accumulo di stima e di appuntamenti con la socialità. Negli specchi. Nei figli. Nell’invisibile.

Ma il gemito di stupore si fa sempre più sottile e soprattutto sempre più raro.

Qualcuno suggerisce d’investire in aldilà risolutori, altri di trovare l’Eden rovesciando gli inferni quotidiani; ma alla fine del giorno, quel che resta, diligentemente puntuale, è il raccapricciante gemito della desolazione.

E nonostante sembri più o meno acquisito da tutti il linguaggio di quel El indio Dorado chiamato “benessere”: Pensare solo il positivo e sorridere in eterno come paraplegica soluzione al non mostrare la debolezza di poter essere in ombra, rabbuiati, feriti, disorientati o persi.

Ed accade che dietro gli inviti a praticare un liberatorio “let it be” dai sensi di colpa, s’inculchi la vergogna per non essere abbastanza solerti nell’esercitare tutta questa leggerezza…

E che nel rivendicare il diritto di non farsi affogare dagli “impegni doverosi”, non ci si accorge d’essere stati messi in riga da un altro dovere, quello d’essere appagati e radiosi ad ogni costo.

Paradossi della bizzarria umana, vero?

E così, siamo un po’ tutti, "credenti del benessere"? Fedeli fino a calpestare ogni confine di ogni nostro sé, proprio come si legge nel Grande Fratello di George Orwell?

Ci libera davvero un’indicazione che, per aprirci gli occhi ed insegnarci l’indipendenza o la consapevolezza e per sottrarci alla sudditanza ed al meticoloso e programmato controllo, fomenta istigando rabbia sterile ed innescando frustrazioni mortificate oltre che impotenti?

Che cosa può liberare tutta questa medicina che mentre ci promette di curare mali peggiori non fa che spostare il cappio dalla mano di un boia ad un altro carceriere?

Forse il let it be è altro…

La filosofia zen ci ricorda che tutto è perfetto così com’è. Ma è un’affermazione un tantino azzardata che facilmente può essere accolta come una provocazione, una follia o anche peggio, imboccata da un incosciente ed egoista lassismo.

Eppure… una volta ho letto una frase che esprimeva questo concetto, in altri termini.

Invitava a chiedere ad un bambino se considerasse una vita vissuta senza alcun scopo come degna di essere vissuta. Per un bambino il problema proprio non si pone: scopo, dignità e merito non esistono.

Ed in un certo senso è davvero già tutto perfetto così com’è.

Dall’avere un occhio coperto sotto gli occhiali ed un braccio ingessato, appartenere ad una famiglia di fede religiosa appoggiata dalla sinistra o di convinzioni politiche sostenute dalla destra, via via fino al ritrovarsi a vivere nelle condizioni più difficili e varie e al non sapere cosa farà domani.

Tutto normale e perfetto.

Ma il “tutto è perfetto” non significa affatto che ogni espressione d’inferno quotidiano che, in modo più o meno diretto, capita a tutti in questa realtà, sia meravigliosa o auspicabile.

Non significa neppure considerare graditi il dolore, la malattia, il disagio o la morte stessa.

E non significa nemmeno tollerare l’intollerabile.

Significa semplicemente non avere bisogno di assumere alcun atteggiamento specifico al loro riguardo…ma almeno non ci costringe a sorrisi forzati e soprattutto non fa scivolare cappi da una mano all'altra di giustizieri incappucciati.

E’ un modo per ricordarci di concentrarci laddove (davvero!) si può agire. E non farneticando e protestando a vuoto, chiocciando come le oche più confusionarie.

A volte quello che accade fuori non è in nostro potere (perlomeno nell’immediato) modificarlo. Ma sempre, invece, possiamo modificare quello che avviene dentro di noi.

Si dice che bellezza e felicità ci siano, comunque e sempre ma che siano solo i nostri occhi ad essere (o meno) in grado di afferrarle.

Probabilmente la maggioranza di noi ha innegabili deficit visivi che impediscono di mettere a fuoco bellezza e felicità o ancora non ha trovato lenti adatte per poterle vedere in modo più nitido; di sicuro, però, c'è che mai si potrà imparare davvero a vederle seguendo i tempi, i modi e le disposizioni di qualcun altro.

 

 

Le immagini utilizzate per il post sono di Rafal Olbinski e Marc Chagall.

 

 

 
 
 
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