Creato da ElettrikaPsike il 17/12/2012

ElettriKaMente

Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)

 

 

« Ciò che piace...è più di bello!RIFLESSIONI DI MEZZA EST... »

TANTO RUMORE E TANTO FUMO PER NULLA

 

 

Solo per dipanare volute nebulose di tanto fumo per nulla,

venduto insieme alla legna verde,

parliamo di cannabis.

 

 

E già da un po’ che il fumo di notizie indistinte circolava, ma soprattutto da quando -insieme alla coca(cola) light e alla birra light  - abbiamo accolto pure la cannabis light, aprendo in Italia i grow shop, si è sentito davvero di tutto: la canapa sta qui, l’erba sta di là; la canapa fa bene ma una canna non va bene; la canapa non è una droga, la marijuana lo è; la prima è legale e a prova di drug test, mentre la seconda no (et cetera).

Ciò che potrebbe - ma di fatto anche no - risultare ancora più divertente, però, è che tutto questo fumoso parlare non proviene solo da un popolo sovrano di nome e piuttosto ignorante di fatto, ma anche dai rappresentanti della classe medica e politica che di presunta sovranità, e ancor più presunto sapere, si ammantano senza sosta…

Allora divertiamoci a dipanare le nebbie del fumo che ci viene soffiato sugli occhi.

Dire "cannabis sativa" o dire "canapa", intanto, è la stessa cosa.

Perché sono semplicemente due modi diversi di chiamare la cosiddetta “canapa utile”, una specie del genere cannabis appartenente alle piante cannabaceae.

La canapa, si sa, è coltivata fondamentalmente per finalità edili e tessili oltre che per la produzione della carta; ma in ogni sua varietà, anche se in percentuali variabili, sono  rilevabili alcune sostanze psicotrope. 

Nella cannabis sativa, o canapa che dir si voglia, è quindi presente una lunga serie di fitocannabinoidi. Fra tutti, però, i due più rilevanti e sicuramente più conosciuti sono il famoso THC - abbreviazione di tetraidrocannabinolo - una sostanza psicotropa allucinogena ed euforizzante dalle proprietà antidolorifiche e prettamente antiemetiche oltre che stimolanti dell’appetito (vedi fame chimica) ed il metabolita CBD - per esteso cannabidiolo - sostanza non psicoattiva.

La percentuale di THC è naturalmente variabile a seconda della varietà di canapa, ma anche dalle varie aree geografiche in cui si trova e, non ultimo, dalle diverse parti della pianta stessa.

Le piante di cannabis sono infatti dioiche, vale a dire posseggono entrambi i generi, maschile e femminile, ma il quantitativo di TCH è sempre maggiormente localizzato nelle infiorescenze femminili.

Il THC è, in sintesi, il vero responsabile dello stato di “fattanza” tipico al post consumo - che si può manifestare attraverso l’ilarità, una lieve alterazione della percezione del tempo, stati d’ansia e di loop con pensieri o atteggiamenti paranoici ed aumento della fame - mentre il CBD trova soprattutto indicazioni terapeutiche distensive in quanto induce effetti antidistonici oltre che anticonvulsivanti, riduce la pressione endoculare, vanta proprietà antinfiammatorie ed antiossidanti, favorisce il sonno e, con buone probabilità, si sta valutando di utilizzarlo anche come un antipsicotico atipico.

Premesse queste informazioni basiche sul cosa sia o meno la canapa ed in che modo c’entri con la cannabis e con la psicoattività, procediamo dicendo che la marijuana non è altro, invece, che il nome dato alle parti della pianta con il maggior concentrato di principio attivo - foglie, fiori e gambi esiccati - in particolare della cannabis di specie indica.

In sostanza: la cannabis è tutta la pianta, il pacchetto completo con i “pro” e i “contro”, tutti i “pregi” e i “difetti” - a seconda, naturalmente, da chi e di come la si guarda - mentre la marijuana e l’hashish sono la selezione di alcune parti specificamente più concentrate di sostanza psicoattiva, rispettivamente dei fiori femminili e della resina, che possono poi essere fumate, inalate o ingerite.

 

 

Ma continuiamo a dipanare e vediamo la questione light-non light o essere-non essere…

Abbiamo visto cosa sia la cannabis, ma la consistenza e la definizione di cannabis leggera o “legale” piuttosto che “illecita" sta esclusivamente nel tasso di THC (l’agente psicoattivo) presente nella cannabis.

Quest’ultimo, infatti, per essere consentito dalla legge dovrebbe essere presente in quantità irrisoria, al di sotto del 3 per cento, e nei prodotti autorizzati viene indicato con una percentuale pari allo 0,6 o giù di lì.

Gli interrogativi, quindi, oltre a quelli riguardanti le proprietà o la sensatezza del prodotto, complici le dubbie dichiarazioni di esponenti politici e medici, si sono moltiplicati anche riguardo alla possibilità che dal test antidroga risulti comunque l’assunzione del cannabinoide, indipendentemente dal fatto che la cannabis consumata sia light o meno.

Molte dichiarazioni rilasciate in tal senso, infatti, assicuravano che nel tracciare residui di cannabis il drug test non rimarcasse alcuna distinzione tra la presenza di THC o di CBD...

In realtà non è proprio così, in quanto i test anti droga sono propriamente progettati per valutare la presenza del THC o, comunque del suo metabolita primario, e non testano affatto la presenza del CBD o di altri composti non psicoattivi.

Affinché una persona risulti positiva al test dei cannabinoidi, quindi, deve aver necessariamente consumato una dose di THC tale da poter essere almeno rilevata; ma dato il quantitativo realmente trascurabile proposto dalla cannabis light, difficilmente le minime tracce di THC, seppure presenti, potrebbero dare una risposta significativa all’esame.

C’è anche, però, chi sostiene, come il dottor Barra, fondatore di una Comunità Terapeutica nell’ambito della Croce Rossa alla fine degli anni settanta, che il disquisire o meno sul limite della percentuale di THC presente nel prodotto sia del tutto irrilevante in quanto - a detta sua - anche se si tratta di una sostanza light e legale, la cannabis resta in ogni caso uno stupefacente dal momento che ogni suo effetto trae comunque origine dal sistema nervoso, alterando gli stati di coscienza.

E per essere ancora più chiaro, utilizzando un discutibile sillogismo, aggiunge: “Se la gente la consuma è perché gli piace, e se piace è perché c’è un effetto psicoattivo, qualunque esso sia: rilassante, immunizzante, ansiolitico…” fino a concludere ponendo una bella lapide: “Possiamo chiamarla light” - dice - “o in qualunque altro modo, ma sempre di droga si tratta.”

Niente meno? Addirittura droga…

E con quante “d” iniziali?

Vediamo di capirci: Per i sostenitori della tesi del “leggera o no, aboliamola!” risulta estremamente pericoloso tutto ciò che attenta al sistema nervoso centrale, in quanto essendo la parte più differenziata e raffinata del nostro corpo è anche la più delicata. D’accordo. Ma il CBD ha davvero effetti sulla psiche umana e sul sistema neurologico tali da giustificare questi timori?

Sicuramente pensare che possa non avere nessun tipo di effetto è inesatto, ma come abbiamo già visto THC e CBD sono due cannabinoidi che interagiscono in modo molto differente con i recettori endogeni del sistema endocannabinoide.

Le molecole del THC sono conformate per legarsi con alcuni recettori specifici ed una volta connessi a loro li stimolano immediatamente. Il CBD, invece, non si lega ad essi ma agisce indirettamente intervenendo sulle attività del THC come modulatore allosterico negativo, limitandone quindi gli effetti psicotropi (da droga, appunto).

In realtà, però, entrambi generano effetti terapeutici.

Il CBD, come abbiamo già visto, di per sé non può avere nessuna caratteristica psicoattiva; ma può determinare uno stato di benessere che, seppure differente dalla condizione di “trip” indotta dal THC,  risulta, a seconda dei casi e degli individui, altrettanto piacevole o comunque gradevole, perché comunque agisce sull’attivazione dei recettori che regolano (anche) i livelli di dopamina e di glutammato nel cervello.

Pertanto, volendo riprendere le parole di Massimo Barra, potrei rispondere che no, se la gente l'apprezza e la consuma non è necessariamente perché ha un effetto psicoattivo, altrimenti anche una tavoletta di cioccolato al latte - o qualsiasi altra sostanza che ci piaccia consumare - automaticamente, e per conseguenza diretta, dovrebbe essere una droga...

Ma d'altro canto, sa che c’è?

C’è che per un neuropatico o per un individuo affetto da dolore cronico o per un paziente in cura con i chemioterapici, già solo il provare distensione, rilassamento o un vago sollievo dal dolore - seppur momentaneo - è il vero sballo…

 

 

Quindi, citando la sempre autorevole Pollon,

forse “sembra ma non è…”;

ma poco importa se, in qualche, modo “serve a darci l’allegria”.

 

 

 

 
 
 
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