ElettriKaMente
Dillo, bella strega...se lo sai, Adorabile strega…Dimmi, conosci l’irremissibile? (I fiori del male, C. Baudelaire)
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incontinenze di ogni genere e tipo,
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e manie persecutorie-vittimistiche,
grazie.
Anche se il blog é moderato, ogni intervento pervenuto viene pubblicato.
Qualora il vostro non risulti, invece, visibile tra gli altri è semplicemente perché, presentando tracce delle sopracitate (incontinenze, pratiche onanistiche o manie persecutorie-vittimistiche)
vergognandosi di se stesso e di chi l'ha messo al mondo, si è autoeliminato.
Capisco che il nome del blog potrebbe trarre in inganno, ma qui non troverete il supporto psichiatrico che andate cercando.
Cordialmente,
Elettrikamente,
EleP.
« LA QUINTA STAGIONE | Solo in un luogo invisibile... » |
C’era una volta – e c’è ancora - al largo delle coste del Galles e dell’Inghilterra, la discreta e misteriosa Éire, più conosciuta come Erin, aspramente bella e fulgida di passione.
Un tempo, questa antica terra fu fieramente dominata da un popolo di guerrieri altero ed impavido oltre che seguace della religione druidica, i Celti.
Dopo aver archiviato un mese di Agosto celebrato gloriosamente sin dall’inizio con Lughnasadh, la festa del raccolto, e dopo aver ricordato attraverso Mabon - il 21 di Settembre - la festività dell'equinozio in tutta la sua carica di riflessione e raccoglimento interiore, spostando, però, questa volta l’attenzione su ben altri frutti, i personali raccolti dell’anima, i pastori irlandesi riportavano a valle le greggi alla fine dell’estate.
Ormai liberati di tutti i progetti vani e logori, attendevano di raggiungere il pieno dell'autunno per poter celebrare la fine e l’inizio dell’anno, il primo giorno di Novembre.
Avvolti dalla nebbia fredda e dalle tenebre di una stagione sempre meno ospitale, costretti in casa per ripararsi dalle asperità dei mesi invernali, gli irlandesi trascorrevano le stagioni fredde raccogliendosi nell’intimo tepore delle leggende tramandate alla luce di un focolare domestico.
Per scaldarsi, accoccolati attorno al fuoco, rievocavano le fiamme luminose di Bealtaine, il nome del mese di Maggio da cui deriva anche la festa del primo giorno d’estate in Irlanda, collocato proprio a metà tra l'equinozio di primavera ed il solstizio estivo; ma ripercorrevano anche altri ricordi e narravano le storie inerenti ad ogni periodo della vita.
Dall'antica festa di Imbolc, il primo giorno di Febbraio, a metà tra il solstizio d'inverno e l'equinozio di primavera, che celebrava il risveglio della luce nel momento in cui inizia a manifestarsi con i primi sintomi di una primavera sempre più prossima, invitando la vita ad imbastire i propri embrioni di sogni in divenire, via via fino alla rinascita completa dell’equinozio di Marzo, celebrato con la festa di Ostara e la festa di Litha, la celebrazione dell’arrivo del più lungo giorno di luce dell’anno.
Ma in attesa di una luce ancora molto lontana e già pienamente predisposti per il vicino arrivo delle tenebre, gli irlandesi celebravano la fine dell’anno nel variopinto mese di Ottobre. Ancor prima, quindi, che le notti si allungassero irrimediabilmente, dilatando le ore nel buio e sottraendo spazio a quelle luminose, sempre più brevi, con il culmine nel Solstizio invernale di Yule, c’era la festa del passaggio dall’estate all’inverno da celebrare, vale a dire quella di Samhain.
Per i Celti, infatti, l’ultimo giorno dell’anno, per l’appunto il 31 Ottobre, accadeva il compimento dell’impossibile. Per una sola notte, proprio mentre la terra si prepara ad accogliere l’inverno e la natura si predispone per il lungo sonno che ciclicamente la stagione fredda impone per potersi rinnovare in una rigenerazione sotterranea e silenziosa, alle anime dei defunti era concesso il ritorno temporaneo sulla terra.
I sottili veli che separano lo spazio ed il tempo e che, apparentemente, tengono lontane la dimensione dei viventi da quella degli spiriti, si assottigliavano fino a dissolversi e le anime di coloro che avevano abbandonato questo mondo potevano varcare le porte invisibili della vita e vagare senza ostacoli sulla terra. E come il silenzio freddo e immobile della natura durante l’inverno, in realtà, ci parla di una morte solo apparente, dal momento che nel sottosuolo già avviene quell’invisibile metamorfosi che mostrerà il suo segreto lavoro soltanto in primavera, allo stesso modo anche Samhain possiede più di un significato. La celebrazione, infatti, univa il concetto lugubre e sofferente della morte a quello spirituale e sublime della trascendenza, della vicinanza e della rinascita, da sempre connaturate nel concetto stesso di fine.
Per questo alla vigilia del Capodanno celtico il primo giorno di Novembre, i festeggiamenti implicavano tanto gli aspetti della paura quanto quelli della gioia.
Celebravano sulle colline la morte del vecchio anno con l’accensione del Fuoco Sacro ma al contempo esorcizzavano la naturale paura che accompagna l’incontro con l’ignoto, mascherandosi con pelli e maschere mostruose per mimetizzarsi e confondersi fra i defunti nel tentativo di sfuggire ai loro dispetti ed, in sostanza, per affrontare o addirittura spaventare, se non proprio vincere, la morte stessa.
Così, gli irlandesi si aggiravano tra le anime raminghe facendosi luce con rudimentali lanterne ricavate da rape, cipolle e tuberi - solo in seguito zucche intagliate - per fare posto a piccole braci di Fuoco Sacro e, prudentemente, non si scordavano di lasciare dinanzi all’uscio illuminato dalle fiaccole brillanti, cibo e latte per le anime dei propri defunti che avrebbero fatto ritorno a casa e per ingraziarsi gli altri spiriti nella speranza di evitare imprevisti o scherzi paurosi.
Questo era Samhain.
E questa l’origine della festa degli spiriti.
Una festa che poi, nei tempi successivi, in una Irlanda ormai già fortemente ammantata dall’influenza cristiana, venne identificata con la fola di quell'ormai celebre e dissoluto Jack – O’ – Lantern che, pur stringendo un patto con il diavolo, riuscì però a raggirarlo, strappandogli con l’inganno la promessa di non reclamare mai la sua anima. E così, infatti, accadde. La leggenda narra che, al momento della sua morte, lo scaltro Jack venne rifiutato tanto dal cielo quanto dagli inferi e fu costretto a vagare sulla terra, con un solo tizzone ardente custodito in una rapa intagliata, a fargli luce.
Ogni 31 ottobre, pertanto, in tutta la sua inquietudine, l'anima vagabonda diventava visibile agli occhi dei viventi intimoriti che, proprio per evitarsi una fine simile alla sua, presero l’abitudine di svuotare rape e patate per riporre al loro interno candele accese in modo da tenere il più possibile lontano il demonio, dissipando il buio dalla loro strada.
A metà del 1800, poi, quando gli Irlandesi emigrarono in America, presero l’abitudine di sostituire le rape intagliate con le zucche, più facilmente reperibili nel Nuovo Continente, e così, nella storia di Jack, magicamente si cambiò lanterna, e dalla sua lontana leggenda alla più sdoganata Halloween il passo fu decisamente breve.
Ovviamente con tutti gli annessi, connessi, scherzetti e dolcetti inclusi.
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