Accenna un sorriso, gli illumina appena gli occhi. "Pare sia una persecuzione oggi..." Prende un volantino, verrà a sentirla certamente se...
Già. Se. Improvvisamente torna furioso il contatto con la realtà, l'onda dei guai che arriverà come uno tsunami e che si abbatterà distruttiva su tutta la sua vita. E lui la vede, lui lo sa... e non può fare altro che aspettarla, non c'è un posto dove scappare.
Non era stato poi così difficile diventare agente di commercio, non aveva importanza la sua mediocre carriera scolastica o l'estrazione sociale: contava la sua personalità, il modo di fare, di proporsi, di convincere. In pochi anni aveva imparato quanto fosse importante la reputazione di chi proponeva un affare, più di qualunque rapporto statistico, più di un'accurata analisi economica. Aveva capito quanto fosse necessario per le persone guardare negli occhi qualcuno di cui avere una certa stima, una certa simpatia, prima di firmare un contratto. Dimenticavano che era solo un intermediario, che non era con lui che si contraeva davvero l'affare. E una volta raggiunta una certa posizione, l'integrità, la riservatezza, le capacità diventavano caratteristiche ovvie, scontate, inutile verificarle. La fiducia della gente è fumo che inganna la mente. Se dici di essere capace ed esperto, nessuno ti crederà. Ma se riesci a farlo dire a pochi altri, allora sì che lo diventerai agli occhi di tutti. Aveva creato su instabili fondamenta un palazzo dall'aspetto inviolabile. Ma l'avidità aveva accecato anche lui. Una società olandese semisconosciuta lo aveva assoldato come intermediario per il nord Italia, trattava di nuove tecnologie, un campo in espansione, e le commissioni erano da capogiro. Nel giro di sei mesi ci si buttò anima e corpo, anche lui senza pensare, senza vedere altro che la sua percentuale ad ogni firma di contratto. Ma era un errore. Ora lo sa, è un'impresa destinata al fallimento. Aveva controllato troppo tardi, aveva verificato troppo tardi. Anche lui aveva creduto alla favola del suo fiuto, del suo istinto che non sbaglia mai e si era fidato sulla parola. E ora era compromesso. Bruciato.
- Ahi!
Lo distoglie l'esclamazione della signora del bar, è lì, un po' imbronciata con l'indice in bocca, di traverso, si è tagliata forse. Una donna sui cinquantacinque anni, piccola e ammorbidita dal peso, i capelli corti, tinti, il biondo cenere più artificiale possibile, gli occhi di un azzurro limpido, stanchi e segnati da numerose rughe, e un sorriso delicato, come un saluto. La vedrebbe bene impiegata più in una balera piuttosto che in un locale del genere, ma i casi della vita, lui lo sa bene, sono sempre strani. Si accorge troppo tardi che lei ha notato il suo sguardo. Ora deve per forza intervenire in qualche modo. Di malavoglia, ma senza farlo notare, chiede
- Si è fatta male?
- No, grazie... Però vieni un attimo per favore, aiutami a sistemare questo coso...
Resta un po' perplesso dal cambio di tono, "che confidenza!", ma comunque fa il giro del bancone per aiutarla. Il "coso" in questione è uno spillatore per la birra, nuovo di zecca. Lei è un po' esasperata, un po' esasperante, e parla concitata:
- Vedi questo? E' il geniale "salvagoccia". Peccato che mi impedisce di spillare con i boccali grandi da un litro, ho provato e non si piega, dovrei cambiare bicchieri, ma io per stasera come faccio?!?!
Sotto i rubinetti in ottone c'è infatti una sorta di piatto, brutto, in plastica grigia, che fa a pugni con il resto della macchina, davvero perfetta per il bancone in legno.
- Ha un cacciavite?
Prontamente lei gli passa l'attrezzo. Lo guarda lavorare sulle viti che, nascoste sotto piccoli tappi di gomma, lei non aveva notato.
"Proprio un bel ragazzo..." Lo aveva pensato subito mentre gli serviva il caffè, sui trenta, trentacinque anni, alto, ben vestito, distinto. Gli occhi verdi, un po' lucidi, lo aveva notato distrarsi prima, una piccola ruga al centro della fronte gli aveva intristito lo sguardo. E aveva subito notato i riflessi rossi sui suoi capelli castani, il taglio era preciso e accurato "certo si serve di un berbiere serio, uno che usa forbici vere e non frettolosi rasoi elettrici" aveva pensato. Labbra strette e denti bianchissimi disegnano il suo sorriso, lo aveva visto sì, per un attimo aveva sorriso. E ora lo conosceva anche come gentile e disponibile. Già le piaceva, per questo le era sfuggita la colloquialità con cui si era rivolta a lui. Ma adesso lo trovava perfetto. Lo valutava proprio come solo una donna matura giudica un uomo. Come una che pensa già al modo di presentarlo a sua nipote.
- Io mi chiamo Anna, scusa se sono stata maleducata, ma avevo proprio perso la pazienza.
Lui sorride, le porge il cacciavite e ripone in un angolo quattro viti, poi con uno gesto secco stacca il piatto dalla base dello spillatore. Lo posa sul ripiano e con una sorta di inchino le porge la mano.
- Valerio Areti, per servirla.
Lei scoppia a ridere e anche lui. Sì, aveva visto giusto, anche nel ridere è più adatta ad una balera.
- Ecco, adesso sì che posso usarla comodamente. Grazie!
- Il più delle volte gli optional sono inutili.
- Sì, è così... E stasera sei mio ospite, ti riservo un tavolo, devi tornare per provare la nostra birra.
Il tono sicuro e fermo, non è un invito, suona piuttosto come un ordine. Dentro di lui arriva come una scossa. Come avrebbe voluto avere quella vivacità, prendere dal mondo le piccole cose che poteva offrirgli, senza sensi di colpa o tormenti o condanne. Chiedere aiuto, lasciarsi andare, godersi l'arresa, senza dover dimostrare di valere più di quello che è, di sapere di più di quello che sa, di possedere di più, di essere di più.
- No, mi spiace, stasera non credo proprio di poter venire. Anzi devo correre al lavoro. Dovrò recuperare qualche ora. Forse venerdì...
Si incupisce pensando al suo lavoro. Non sa cosa fare. Non può rinunciare a tutti i soldi guadagnati, in parte già anche spesi, non può nemmeno lasciare l'incarico così, a metà, altro che professionalità, non avrebbe più lavorato, ma non può nemmeno mandare sul lastrico gli investirori che di lui si sono fidati, avrebbe comunque perso la loro stima. E le voci circolano in fretta e lo avrebbero distrutto. Pensa scenari assurdi, fughe, sparizioni, un vago ricominciare altrove, come se fallire sul lavoro fosse peggio che continuare a truffare per salvarsi il posto, come se fallire fosse tanto indegno da meritare una latitanza.
Anna intanto prende in mano il piatto di plastica, lei aveva provato a girargli intorno, a piegarlo, non aveva pensato di smontarlo del tutto. Guarda verso di lui e gli dice:
- A volte le soluzioni migliori sono le più drastiche.
Queste parole lo illuminano. Stava prendendo la sua borsa e l'impermeabile, si gira verso di lei e sorride, davvero, di cuore.
- Anna. Sì Anna. E' una grande cosa quella che hai detto. Una soluzione drastica.
Mentre esce continua a ringraziarla, come uno che ha fatto una scoperta inestimabile, e quasi saltellando corre verso la stazione, come uno che non ha mai visto il sole o la luce o il cielo prima d'ora.
E' un attimo.
Cede buoni del tesoro e altri fondi assicurativi per accumulare piccole somme qua e là per risarcire i perdenti. Pensa un attimo alla sua stupenda casa, in una zona residenziale tranquilla, abbastanza lontana dalla città e abbastanza vicina alle sue comodità. La cede ad un amico, che la desiderava da sempre, gliel'aveva soffiata via per un pelo. Ottiene subito una bella somma, gli servono molti soldi per chiudere e lasciarsi alle spalle tutto. I dettagli poi verranno sistemati con calma, il più è fatto. Scrive lettere per dare le dimissioni dai suoi vari incarichi e subito da libero professionista impiegato nel sistema si sente rinascere come libero uomo.
Senza un soldo, senza una casa.
Ma ha il suo nome, non è scappato, ha risolto. Si è risolto.
Quella sera, da un ufficio al terzo piano di un vago palazzo in una vaga città, Valerio Areti si è ripreso la sua vita. E ricomincia.
(G, quando anche il cielo sembra scontato e invece arrivi tu a cambiarmi tutto)