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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Post n°341 pubblicato il 08 Giugno 2012 da enodas



[...]

Osservo le pareti, attraverso l'aria densa di un luogo chiuso colmo di gente. Densa di luce, della tapezzeria alle pareti, di ogni possibile oggetto appeso alle travi di legno a vista. Medaglie di stagno, strumenti musicali, pentole di rame e lanterne, vecchie e nuove, neanche si riesce ad immaginare come sia possibile raggruppare in tale spazio tante cose diverse. Diverse come le voci che si mescolano ed amalgano, tra i tavili di legno ruvido, il bancone con le 'ales' riconoscibili dalle placche giganti, ed in piedi, dove c'é posto; anche di questo l'aria é densa. Iniziano a suonare, due chitarre ed una voce, ogni tanto un giovene cameriere si unisce con la tromba. A lato, un vecchio minutosiede sulla panca di legno, proprio a ridosso della finestra chiusa sulla strada, a vetri colorati, un po' rannicchiato, con quella posizione raggomitolata a gambe incrociate, un po' sorridente, lo sguardo vispo. Ed é un attimo, nemmeno ci fai caso, e la melodia di una nuova canzone passa tutta attraverso i fori di un'armonica grande un niente. Magistralmente. E ti accorgi che é lui, sì proprio lui, raggomitolato e sorridente, ed un'armonica nascosta tra le mani, gli occhi su di lui, e lui che suona per sé, per divertimento, perché chissà quante sere, quante notti, tra le stelle e lo spazio familiare di un pub a metà strada tra lago e montagna, ha ripetuto questo gesto.


Ci sono altri cancelli da varcare, e sono quelli delle chiesette di paese. Due pietre ed un giardino attorno. Ma non un prato qualsiasi. Perché tra uso medievale e tradizione nordica, nel chiostro della chiesa, tutto attorno, si seppelliscono i morti. Sono cimiteri, sì, vecchi di almeno duecento anni, lo si vede dalle pietre crepate, storte e dalle scritte quasi cancellate dal vento. Solo pochi passi e si ha sempre la sensazione di aver varcato il portone di un mondo surreale. Tra croci celtiche e qualche colonnina scolpita, figure prestate dal mito per narrare l'arte ed alleviare la disperazione della morte, tra l'erba che cresce semi-incolta e ceppi nascosti, ci sono anche nomi di artisti e poeti. Silenzio infinito, vento gelido e nubi. Senza tempo, non fosse per quelle scritte erose negli anni, che accomunano nomi sconosciuti ed esistenze dimenticate, altro non resta, che poche lettere, davanti un muretto di pietra e, oltre, la distesa ondulata della campagna.





Aumenta il fiato, respira profondo, sbuffa. E guarda in alto, il sentiero che si arrampica. Fino ad un punto che non sembra mai troppo lontano, ma che é sempre un po' più in la. Anche quello é un punto d'arrivo, quasi nascondesse un traguardo segreto dove infine per un attimo soltanto ci si possa sentire in pace con se stessi. Qualche gradone accennato tra la pietra ed i sassi aguzzi che tracciano la via, spina dorsale della montagna. E guardi da un lato, si stende ai piedi una valle, qualche paesino, ed una conca verde smeraldo racchiusa da montagne, altre, di fronte, attorno, fin dove arriva la vista, ilusione ottica che nasconde un passaggio. Dall'altra, invece c'é acqua. Quella di un lago, da nord a sud, se ne vede la forma e si trema davanti al panorama. alla vista, aperta a trecentosessanta gradi. Tutto ai tuoi piedi, nel senso di altezza, almeno, perché siamo puntini su questo paesaggio. Con quel senso di vertigine, vertiginosa bellezza, che ti coglie a guardare in basso, oppure oltre, verso l'orizzonte. Ed il respiro che accenna un affanno, le gocce di sudore sulla fronte per la camminata in salita. Col vento che passa, un brivido, un brivido soltanto sul volto, ed uno profondo nell'anima.





Questo mio racconto si chiude qui, un po' com'era iniziato, un sentiero ed un cancello che si chiude alle spalle, ed i passi che scricchiolano sul terreno. Con una lente rotta, dopo un paio di giorni, ed i paesaggi sfuocati, le foto come il dipinto del viandante. Con gli occhi colmi, ed un mare di nebbia di ricordi. E acqua, quale altro elemento venendo dai Laghi, nel cuore. Altri viandanti che incrociano e salutano, scambiano una cartina, magari qualche volta anche una lente, visto che quella é bloccata, e frammenti di conversazione, che si tratti di cascate del Galles, un viaggio di anniversario o una foto rubata ad un cigno in volo.





"...
For oft, when on my couch I lie
In vacant or in pensive mood,
They flash upon that inward eye
Which is the bliss of solitude;
And then my heart with pleasure fills,
And dances with the daffodils."

 
 
 
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